la via oltre la morte
la meditazione secondo l’insegnamento del venerabile Ajahn Sumedho
– PARTE PRIMA –
La consapevolezza è la via della non-morte
La distrazione è la via della morte
Chi è consapevole non muore
Chi è distratto è come fosse già morto.
(Dhammapada 21)
© Associazione Santacittarama, 1999. Tutti i diritti sono riservarti.
PUBBLICATO SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Titolo originale: Mindfulness: The Path to the Deathless (© Amaravati
Publications),
Traduzione di Letizia Baglioni
INTRODUZIONE
Scopo di questo libro e offrire istruzioni chiare e spunti di riflessione circa la meditazione buddhista secondo l’insegnamento di Ajahn Sumedho, un bhikkhu (monaco) appartenente alla tradizione Theravada. I capitoli che seguono sono estratti da discorsi tenuti da Ajahn Sumedho a praticanti di meditazione per introdurli in concreto alla saggezza buddhista. A tale saggezza si allude in genere con il termine ‘Dhamma’, ossia le cose ‘cosi come sono’.
Vi consigliamo di utilizzare questo libretto come un manuale graduale. Il primo capitolo e un’introduzione alla pratica meditativa in generale, mentre i capitoli della seconda sezione possono essere letti in sequenza e fatti seguire da un periodo di meditazione. Il terzo capitolo e una riflessione sul tipo di comprensione che scaturisce dalla pratica. In appendice si spiega come prendere i Rifugi e i Precetti, che collocano la pratica meditativa nel piu ampio contesto del tirocinio spirituale. Rifugi e Precetti si possono richiedere formalmente a un membro del Sangha monastico o essere semplicemente oggetto di impegno personale. Sono alla base dei mezzi tramite cui i valori spirituali sono portati nel mondo.
La prima edizione del libro (2.000 copie) usci nel 1985, in occasione dell’apertura del Centro buddhista di Amaravati, e fu presto esaurita. Visto il favore incontrato, c’e’ chi si offri di finanziarne una ristampa. A parte una piu’ attenta correzione delle bozze e l’aggiunta di disegni per migliorare l’effetto complessivo, il testo e rimasto invariato. Essendo il frutto di liberi contributi e atti di servizio al Dhamma, chiediamo ai lettori di rispettare questa offerta e renderla disponibile gratuitamente.
Possano tutti gli esseri realizzare la Verita.
(Venerable Sucitto, Amaravati Buddhist Centre, maggio 1986)
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0.1 Due parole prima di cominciare
La maggior parte delle istruzioni possono essere eseguite indifferentemente nella posizione seduta, camminando o stando fermi in piedi. Tuttavia, la consapevolezza del respiro (anapanasati) di cui si parla nei primi capitoli viene generalmente praticata nella posizione seduta, in quanto si giova dell’associazione con uno stato fisico di immobilita e calma. A tale scopo l’importante e sedersi tenendo la colonna vertebrale eretta ma non tesa, con il collo allineato alla colonna e la testa bilanciata in modo che non ciondoli in avanti. Molti trovano che la postura del loto (seduti a gambe incrociate su un cuscino o una stuoia con uno o due piedi sulla coscia opposta con la pianta rivolta in su) offre un equilibrio ideale fra stabilita e vigore – si intende dopo alcuni mesi di pratica. E’ bene allenarsi ad assumere questa posizione con gentilezza, un poco alla volta. Se risultasse troppo difficile, si puo usare una sedia con lo schienale diritto. Dopo aver trovato una posizione equilibrata e stabile, rilassate le braccia e il volto, lasciando che le mani riposino in grembo una sull’altra. Chiudete gli occhi, rilassate la mente, e rivolgete l’attenzione all’oggetto di meditazione prescelto. la lingua in cui sono redatte le scritture buddhiste
Jongrom e una parola in lingua tailandese che deriva dal pali (la lingua in cui sono redatte le scritture buddhiste) cankama, che significa camminare su e giu in linea retta. Il tratto di strada, che misura idealmente dai venti ai trenta passi, va scelto fra due oggetti chiaramente distinguibili, in modo da non dover contare i passi. Le mani vanno unite ma non strette e tenute davanti o dietro la schiena, con le braccia rilassate. Lo sguardo va diretto in modo non focalizzato sul sentiero, su un punto a circa dieci passi davanti a se, senza osservare nulla in particolare ma solo per mantenere un’inclinazione del collo il piu possibile confortevole. Quindi si inizia a camminare con passo misurato e una volta arrivati in fondo al tratto prescelto si resta fermi per la durata di uno o due respiri, ci si volta consapevolmente e consapevolmente si torna indietro.
0.2 Che cos’è la meditazione?
Il termine ‘meditazione’ e ampiamente in uso al giorno d’oggi a designare una vasta gamma di pratiche. Nel Buddhismo indica due tipi di meditazione, che si definiscono rispettivamente samatha e vipassana. Samatha e una pratica in cui ci si concentra su un oggetto determinato invece di lasciare la mente a briglia sciolta. Si sceglie un oggetto, ad esempio la sensazione del respiro, e si rivolge tutta l’attenzione alle sensazioni prodotte dall’inspirazione e dall’espirazione. Questa pratica conduce all’esperienza della calma mentale – una tranquillita che e dovuta all’esclusione di tutti gli altri stimoli che giungono attraverso i sensi.
Per sviluppare la calma mentale ci si serve (inutile dirlo!) di oggetti `calmanti’. Se volete una mente eccitata l’ideale e una situazione eccitante – magari una discoteca – non certo un monastero buddhista! E’ facile concentrarsi sull’eccitazione, vero? E’ una vibrazione cosi forte che vi risucchia completamente. Al cinema, se il film e veramente emozionante, si resta come ipnotizzati. Non si deve fare uno sforzo per guardare una scena molto eccitante, o romantica, o avventurosa. Ma per chi non e abituato, osservare un oggetto calmante puo risultare terribilmente noioso. Cosa c’e di piu noioso che osservare il respiro, per chi e abituato a cose piu’ stimolanti? Questo particolare talento richiede un certo sforzo mentale, perche il respiro non e interessante, non e romantico, non e avventuroso, non e divertente: e semplicemente cosi com’e. Quindi c’e bisogno di sforzo, perche manca lo stimolo esterno.
In questo tipo di meditazione non si cerca di visualizzare un’immagine; ci si concentra semplicemente sulla normale condizione del corpo cosi com’e in questo momento: si mantiene un’attenzione sostenuta sul respiro. Cosi facendo, il respiro diventa sempre piu sottile e a poco a poco ci si calma… so di un medico che ha prescritto la pratica di samatha come cura per la pressione alta, perche calma il cuore.
Quindi questa e la pratica della tranquillita. Si possono scegliere oggetti diversi su cui concentrarsi, esercitandosi a sostenere l’attenzione fino ad immergersi nell’oggetto, a fondersi con l’oggetto. C’e’ la sensazione di essere tutt’uno con l’oggetto su cui ci si concentra, ed e cio’ che si definisce ‘assorbimento meditativo’.
L’altra pratica e definita vipassana, meditazione `di visione profonda’. Con la vipassana, il campo dell’attenzione si apre ad abbracciare tutto. Non si sceglie un oggetto particolare su cui concentrarsi o nel quale assorbirsi, ma si osserva per comprendere la natura delle cose. Ora, cio che possiamo vedere circa la natura delle cose e che l’esperienza sensoriale nel suo complesso e impermanente. Tutto cio che si vede, si ode, si annusa, si gusta e si tocca, tutte le condizioni mentali – sentimenti, ricordi e pensieri – sono mutevoli condizioni della mente, che sorgono e passano. Nella vipassana, ogni esperienza sensoriale osservabile mentre siamo seduti qui e vista attraverso questa caratteristica dell’impermanenza (o del cambiamento).
Non si tratta di un atteggiamento filosofico o di aderire a una certa teoria buddhista: l’impermanenza va conosciuta intuitivamente aprendo la mente all’osservazione, ed essendo consapevoli delle cose cosi come sono. Non si tratta di analizzarle partendo dal presupposto che debbano essere in un certo modo, e se poi non e cosi cercare di capire perche’ non sono come pensiamo che dovrebbero essere. Nella pratica della visione profonda non cerchiamo di analizzarci, e nemmeno di cambiare le cose secondo i nostri desideri. In questa pratica ci limitiamo a notare pazientemente che tutto cio che sorge passa, mentale o fisico che sia.
Quindi anche gli stessi organi di senso, i rispettivi oggetti e la coscienza che scaturisce dal contatto fra i due. Poi ci sono le condizioni mentali di attrazione o repulsione rispetto a quanto vediamo, annusiamo, gustiamo, sentiamo o tocchiamo; i nomi che gli diamo e le idee, le parole e i concetti che creiamo attorno all’esperienza sensoriale. Gran parte della nostra vita si basa su presupposti infondati che derivano dal non capire e non investigare a fondo la realta’ delle cose. Quindi per chi non e sveglio e consapevole la vita tende a diventare deprimente o sconcertante, specialmente in occasione di delusioni o eventi drammatici. In quei momenti ci sentiamo sopraffatti, perche non abbiamo osservato la natura delle cose.
In termini buddhisti si parla di Dhamma, o Dharma, che significa appunto `la realta’ delle cose’, `la legge di natura’. Quando osserviamo e `pratichiamo il Dhamma’, apriamo la nostra mente alla realta delle cose. Cosi facendo, non stiamo piu’ reagendo ciecamente all’esperienza sensoriale ma la comprendiamo, e attraverso la comprensione cominciamo a lasciarla andare. Cominciamo a liberarci dal nostro essere sopraffatti o accecati e illusi dall’apparenza delle cose. Ora, essere consapevoli e svegli non significa diventarlo, ma appunto esserlo. Quindi osserviamo la realta’ delle cose in questo preciso momento, piuttosto che adoperarci ora per diventare consapevoli in futuro.
+Osserviamo il corpo cosi com’e, seduto qui. Il corpo appartiene in tutto e per tutto alla natura, vi pare? Il corpo umano appartiene alla terra, si sostenta grazie a cio che viene prodotto dalla terra. Non potete vivere di aria o importare il cibo da Marte e da Venere. Dovete nutrirvi di cio’ che vive e cresce su questa Terra. Quando il corpo muore torna alla terra, marcisce e si decompone e torna a essere tutt’uno con la terra. Segue la legge di natura, di creazione e distruzione, di nascita e morte. Tutto cio che nasce non resta sempre nello stesso stato, ma cresce, invecchia e poi muore. Tutto in natura, incluso l’universo stesso, ha una sua durata, una nascita e una morte, un principio e una fine. Tutto cio che percepiamo e che possiamo immaginare e mutevole, e impermanente. Quindi non potra mai darvi soddisfazione duratura.
Nella pratica del Dhamma, osserviamo anche questo carattere insoddisfacente dell’esperienza sensoriale. Nella vostra vita quotidiana avrete notato che quando vi aspettate di ricavare soddisfazione dagli oggetti o dalle esperienze sensoriali, potete sentirvi soddisfatti solo temporaneamente, forse gratificati, momentaneamente felici, ma poi le cose cambiano. Questo perche’ non c’e’ nulla nella coscienza sensoriale che abbia una qualita’ o un’essenza permanente. Quindi l’esperienza dei sensi e sempre mutevole, e noi per ignoranza o per mancanza di comprensione tendiamo a nutrire grosse aspettative al riguardo. Abbiamo la tendenza a pretendere, sperare e immaginare ogni sorta di cose, solo per ritrovarci delusi, disperati, addolorati e spaventati. E sono proprio queste nostre aspettative e speranze a condursi alla disperazione, all’angoscia, alla tristezza e al dolore, all’afflizione, alla vecchiaia, alla malattia e alla morte. Si tratta quindi di un modo per esplorare la coscienza sensoriale. La mente e capace di astrazione, puo generare ogni sorta di idee e di immagini, pensare cose sublimi o estremamente volgari. C’e’ tutta una gamma di possibilita’, dagli stati mentali piu sublimi di beatitudine e di estasi alle miserie del dolore piu’ crudo: dal paradiso all’inferno, per usare termini piu coloriti. Ma non c’e’ un paradiso permanente o un inferno permanente, ne d’altronde alcuno stato permanente che possa essere percepito o immaginato. Nella meditazione, quando si comincia a prendere coscienza dei limiti, dell’insoddisfazione e del cambiamento connaturati a ogni esperienza sensoriale, si comincia anche a percepire che tutto questo non sono io e non e mio, ma anatta, non-io.
Quindi, prendendone coscienza, cominciamo ad affrancarci dall’identificazione con le condizioni sensoriali. E questo avviene non sull’onda dell’avversione, ma comprendendole per quelle che sono. E’ una verita’ che va realizzata, non un credo. Anatta non e un credo buddhista, e un’esperienza concreta. Ma se non dedicate del tempo al tentativo di investigarla e di comprenderla, e probabile che tutta la vostra vita andra’ spesa nella convinzione di essere questo corpo. Anche se di quando in quando potra’ capitarvi di pensare “non sono il corpo” – magari ispirati da una poesia o da un nuovo approccio filosofico. Potra’ sembrarvi una buona idea, questa di non essere il corpo, ma non lo avrete sperimentato. Qualche intellettuale potra’ affermare che non siamo il nostro corpo, che il corpo non e il se; facile a dirsi, ma saperlo e tutt’altra cosa. Grazie alla pratica della meditazione, attraverso l’investigazione e la comprensione della realta’ delle cose, cominciamo ad affrancarci dall’attaccamento. Quando aspettative e pretese vengono meno, e naturale non provare piu la disperazione, la tristezza e il dolore che ne conseguono quando non si ottiene cio che si desidera. Quindi la meta e questa, il Nibbana, la condizione in cui non ci si aggrappa a nessun fenomeno che abbia un principio e una fine. Quando lasciamo andare questo insidioso e abituale attaccamento a cio’ che nasce e muore, cominciamo a realizzare l’Immortale.
Alcuni di noi vivono la loro vita semplicemente reagendo alla vita perche’ sono condizionati a farlo, come i cani di Pavlov. Se non vi risvegliate alla realta’ delle cose, di fatto non siete altro che creature intelligenti condizionate, piuttosto che stupidi cani condizionati. Si puo’ guardare con sussiego ai cani di Pavlov che sbavano quando suona il campanello; ma notate quanto anche noi ci comportiamo in modo simile. Questo perche’ l’esperienza sensoriale e tutta fatta di condizionamento, non e una persona, un’anima, una sostanza personale. Questo corpo, le sensazioni, i ricordi e i pensieri sono percezioni mentali condizionate dal dolore, dall’essere nati come esseri umani, dall’essere nati in una certa famiglia, dall’appartenenza a una certa classe, razza e nazionalita’; dipendono dall’avere un corpo femminile o maschile, attraente o non attraente e cosi via. Tutte queste sono semplicemente le condizioni che non ci appartengono, che non sono ‘io’ ne ‘mie’. E queste condizioni seguono le leggi della natura, le leggi naturali.
Non si puo’ dire “non voglio che il mio corpo invecchi”; o meglio, possiamo dirlo, ma per quanto insistiamo il corpo invecchia lo stesso. Non possiamo aspettarci che non provi mai dolore, o non si ammali mai o conservi sempre una vista e un udito perfetti. Ce lo auguriamo pero, non e vero? “Spero di essere sempre in buona salute, di non diventare mai invalido e avere sempre una buona vista, di non diventare cieco e conservare un buon udito, cosi non saro’ mai uno di quei vecchietti a cui bisogna strillare nelle orecchie; di non diventare un rimbambito e conservarmi padrone delle mie facolta’ finche arrivero’ a novantacinque anni sveglio, lucido e arzillo e moriro’ nel sonno senza dolore”. Ci piacerebbe che andasse cosi. Alcuni di noi camperanno a lungo e avranno una morte idilliaca, ma domani potremmo perdere all’improvviso tutti e due gli occhi. E’ improbabile, ma potrebbe succedere! Certo e che il peso della vita si allevia considerevolmente quando riflettiamo sui suoi limiti intrinseci. Allora sappiamo cosa e possibile ottenere, cosa possiamo imparare dalla vita. Tanta parte della miseria umana nasce da aspettative esagerate e dall’impossibilita di ottenere tutto cio ‘che avevamo sperato.
Quindi nella meditazione e nella comprensione intuitiva della natura delle cose vediamo che la bellezza, il sublime, il piacere, sono condizioni impermanenti tanto quanto il dolore, la miseria e la bruttezza. Se arrivate a capire questo, siete in grado di godere e tollerare tutto quanto potra’ capitarvi. Di fatto, la lezione della vita consiste in gran parte nell’imparare a tollerare quello che non ci piace, in noi stessi e nel mondo che ci circonda; imparare a essere gentili e pazienti senza fare una tragedia per le imperfezioni dell’esperienza sensoriale. Possiamo adattarci, tollerare e accettare le caratteristiche mutevoli del ciclo della nascita e della morte sensoriali mollando la presa e smettendo di attaccarci. Quando ci liberiamo dall’identificazione con questo ciclo, sperimentiamo la nostra vera natura, che e luminosa, limpida, consapevole; ma non e piu’ un fatto personale, non e `me’ o `mio’, niente da conquistare o a cui attaccarsi. Possiamo attaccarci solo a cio’ che non siamo!
Gli insegnamenti del Buddha sono solo utili strumenti, modi di osservare l’esperienza sensoriale che ci aiutano a capire. Non sono comandamenti, non sono dogmi religiosi da accettare o in cui credere. Sono solo indicazioni che additano la realta’ delle cose. Quindi non ci serviamo degli insegnamenti del Buddha come qualcosa di fine a se stesso a cui aggrapparci, ma solo per ricordarci di essere svegli, vigili e consapevoli che tutto cio che sorge passa. E’ un’osservazione, una riflessione continua e costante sul mondo sensoriale, perche’ il mondo sensoriale esercita un’influenza estremamente potente. Avere un corpo come questo nella societa’ in cui viviamo ci espone tutti a pressioni incredibili. Tutto si muove cosi rapidamente – la televisione e la tecnologia moderna, le macchine – tutto tende a muoversi a un ritmo vertiginoso. E’ tutto cosi attraente, eccitante e interessante, ed esercita un forte richiamo sui nostri sensi. Passeggiando per Londra, notate come i cartelloni pubblicitari richiamano la vostra attenzione su bottiglie di whisky e sigarette!
L’attenzione viene risucchiata da oggetti che si possono comprare, sospinta immancabilmente verso una rinascita nell’esperienza sensoriale. La societa’ materialistica cerca di stimolare l’avidita’ per farvi spendere denaro, senza pero sentirvi mai appagati di cio’ che avete. C’e’ sempre qualcosa di meglio, di piu’ nuovo, di piu’ squisito di quello che ieri era il piu’ squisito… e cosi via all’infinito, alienati e risucchiati negli oggetti dei sensi.
Ma quando entriamo nella sala dell’altare, non siamo qui per guardarci a vicenda o farci attrarre e risucchiare da questo o quell’oggetto nella stanza, ma tutto serve a ricordarci di noi stessi. Ci ricorda di concentrarci su un oggetto tranquillo, o di aprire la mente e investigare e contemplare la natura delle cose. E’ un’esperienza che va vissuta, da ognuno in prima persona. L’illuminazione degli altri non ci fara’ diventare illuminati. Dunque si tratta di un movimento verso l’interno, non di cercare un illuminato fuori di noi che ci illumini. Offriamo questa opportunita’ come incoraggiamento e guida, per dare a chi e interessato la possibilita’ di farlo. Qui, generalmente, si puo’ stare tranquilli che nessuno cerchera’ di rubarvi la borsetta! Di questi tempi non si puo’ essere certi di nulla, ma si corrono meno rischi qui che in Piccadilly Circus; i monasteri buddhisti sono rifugi che facilitano questa apertura mentale. E’ un’opportunita’ che ci e data in quanto esseri umani.
In quanto esseri umani, abbiamo una mente capace di riflessione e osservazione. Potete osservare se siete felici o depressi. Potete osservare la rabbia, la gelosia o la confusione nella vostra mente. Quando nel corso della seduta vi sentite confusi e irritati, c’e qualcosa in voi che lo sa. Potete scegliere se odiare quei sentimenti e reagire ciecamente, o essere piu’ pazienti e osservare che si tratta di una condizione temporanea e mutevole di confusione, di rabbia o di avidita’. Un animale invece non puo’ farlo; quando e arrabbiato non c’e’ altro, ci si perde dentro completamente. Provate a dire a un gatto arrabbiato di osservare la sua rabbia! Con la nostra gatta non c’e’ stato verso, lei non e in grado di contemplare l’avidita’. Ma io si, e sono certo che lo siete anche voi. Se vedo di fronte a me un piatto saporito, il moto della mia mente non e diverso da quello della gatta Doris. Noi pero possiamo osservare l’attrazione animale verso cio che ha un buon odore e un bell’aspetto.
Cio’ significa usare la saggezza per osservare l’impulso e comprenderlo. Cio’ che osserva l’avidita’ non e avidita: l’avidita’ non puo’ osservare se stessa, ma cio’ che non e avidita’ puo’ osservarla. Questo osservare e cio’ che chiamiamo ‘Buddha’, la saggezza di Buddha, la consapevolezza delle cose cosi come sono.
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