Consapevolezza: la via oltre la morte 1
– la meditazione secondo l’insegnamento del venerabile Ajahn Sumedho –
(prima parte)
La consapevolezza la via della non-morte La distrazione la via della morte Chi consapevole non muore Chi distratto come fosse gi morto. (Dhammapada 21)
Associazione Santacittarama, 1999. Tutti i diritti sono riservarti. PUBBLICATO SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA. Titolo originale: Mindfulness: The Path to the Deathless ( Amaravati Publications), Traduzione di Letizia Baglioni
– Contenuti –
Introduzione Due parole prima di cominciare Che cos’ la meditazione?
ISTRUZIONI
La consapevolezza del respiro (anapanasati) Il mantra Buddho Sforzo e rilassamento La meditazione camminata (jongrom) Benevolenza (metta) Consapevolezza dell’ordinario Ascoltare i pensieri Gli impedimenti e la cessazione degli impedimenti Vuoto e forma Vigilanza In conclusione: Nel mondo c’ bisogno di saggezza I Rifugi e i Precetti
0. INTRODUZIONE
Scopo di questo libro offrire istruzioni chiare e spunti di riflessione circa la meditazione buddhista secondo l’insegnamento di Ajahn Sumedho, un bhikkhu (monaco) appartenente alla tradizione Theravada. I capitoli che seguono sono estratti da discorsi tenuti da Ajahn Sumedho a praticanti di meditazione per introdurli in concreto alla saggezza buddhista. A tale saggezza si allude in genere con il termine ‘Dhamma’, ossia le cose ‘cos come sono’.
Vi consigliamo di utilizzare questo libretto come un manuale graduale. Il primo capitolo un’introduzione alla pratica meditativa in generale, mentre i capitoli della seconda sezione possono essere letti in sequenza e fatti seguire da un periodo di meditazione. Il terzo capitolo una riflessione sul tipo di comprensione che scaturisce dalla pratica. In appendice si spiega come prendere i Rifugi e i Precetti, che collocano la pratica meditativa nel pi ampio contesto del tirocinio spirituale. Rifugi e Precetti si possono richiedere formalmente a un membro del Sangha monastico o essere semplicemente oggetto di impegno personale. Sono alla base dei mezzi tramite cui i valori spirituali sono portati nel mondo.
La prima edizione del libro (2.000 copie) usc nel 1985, in occasione dell’apertura del Centro buddhista di Amaravati, e fu presto esaurita. Visto il favore incontrato, c’ chi si offr di finanziarne una ristampa. A parte una pi attenta correzione delle bozze e l’aggiunta di disegni per migliorare l’effetto complessivo, il testo rimasto invariato. Essendo il frutto di liberi contributi e atti di servizio al Dhamma, chiediamo ai lettori di rispettare questa offerta e renderla disponibile gratuitamente.
Possano tutti gli esseri realizzare la Verit.
(Venerable Sucitto, Amaravati Buddhist Centre, maggio 1986)
0.1 Due parole prima di cominciare
La maggior parte delle istruzioni possono essere eseguite indifferentemente nella posizione seduta, camminando o stando fermi in piedi. Tuttavia, la consapevolezza del respiro (anapanasati) di cui si parla nei primi capitoli viene generalmente praticata nella posizione seduta, in quanto si giova dell’associazione con uno stato fisico di immobilit e calma. A tale scopo l’importante sedersi tenendo la colonna vertebrale eretta ma non tesa, con il collo allineato alla colonna e la testa bilanciata in modo che non ciondoli in avanti. Molti trovano che la postura del loto (seduti a gambe incrociate su un cuscino o una stuoia con uno o due piedi sulla coscia opposta con la pianta rivolta in su) offre un equilibrio ideale fra stabilit e vigore – si intende dopo alcuni mesi di pratica. E’ bene allenarsi ad assumere questa posizione con gentilezza, un poco alla volta. Se risultasse troppo difficile, si pu usare una sedia con lo schienale diritto. Dopo aver trovato una posizione equilibrata e stabile, rilassate le braccia e il volto, lasciando che le mani riposino in grembo una sull’altra. Chiudete gli occhi, rilassate la mente, e rivolgete l’attenzione all’oggetto di meditazione prescelto. la lingua in cui sono redatte le scritture buddhiste
Jongrom una parola in lingua tailandese che deriva dal pali (la lingua in cui sono redatte le scritture buddhiste) cankama, che significa camminare su e gi in linea retta. Il tratto di strada, che misura idealmente dai venti ai trenta passi, va scelto fra due oggetti chiaramente distinguibili, in modo da non dover contare i passi. Le mani vanno unite ma non strette e tenute davanti o dietro la schiena, con le braccia rilassate. Lo sguardo va diretto in modo non focalizzato sul sentiero, su un punto a circa dieci passi davanti a s, senza osservare nulla in particolare ma solo per mantenere un’inclinazione del collo il pi possibile confortevole. Quindi si inizia a camminare con passo misurato e una volta arrivati in fondo al tratto prescelto si resta fermi per la durata di uno o due respiri, ci si volta consapevolmente e consapevolmente si torna indietro.
0.2 Che cos’ la meditazione?
Il termine ‘meditazione’ ampiamente in uso al giorno d’oggi a designare una vasta gamma di pratiche. Nel Buddhismo indica due tipi di meditazione, che si definiscono rispettivamente samatha e vipassana. Samatha una pratica in cui ci si concentra su un oggetto determinato invece di lasciare la mente a briglia sciolta. Si sceglie un oggetto, ad esempio la sensazione del respiro, e si rivolge tutta l’attenzione alle sensazioni prodotte dall’inspirazione e dall’espirazione. Questa pratica conduce all’esperienza della calma mentale – una tranquillit che dovuta all’esclusione di tutti gli altri stimoli che giungono attraverso i sensi.
Per sviluppare la calma mentale ci si serve (inutile dirlo!) di oggetti `calmanti’. Se volete una mente eccitata l’ideale una situazione eccitante – magari una discoteca – non certo un monastero buddhista! E’ facile concentrarsi sull’eccitazione, vero? E’ una vibrazione cos forte che vi risucchia completamente. Al cinema, se il film veramente emozionante, si resta come ipnotizzati. Non si deve fare uno sforzo per guardare una scena molto eccitante, o romantica, o avventurosa. Ma per chi non abituato, osservare un oggetto calmante pu risultare terribilmente noioso. Cosa c’ di pi noioso che osservare il respiro, per chi abituato a cose pi stimolanti? Questo particolare talento richiede un certo sforzo mentale, perch il respiro non interessante, non romantico, non avventuroso, non divertente: semplicemente cos com’.
Quindi c’ bisogno di sforzo, perch manca lo stimolo esterno.
In questo tipo di meditazione non si cerca di visualizzare un’immagine; ci si concentra semplicemente sulla normale condizione del corpo cos com’ in questo momento: si mantiene un’attenzione sostenuta sul respiro. Cos facendo, il respiro diventa sempre pi sottile e a poco a poco ci si calma… so di un medico che ha prescritto la pratica di samatha come cura per la pressione alta, perch calma il cuore.
Quindi questa la pratica della tranquillit. Si possono scegliere oggetti diversi su cui concentrarsi, esercitandosi a sostenere l’attenzione fino ad immergersi nell’oggetto, a fondersi con l’oggetto. C’ la sensazione di essere tutt’uno con l’oggetto su cui ci si concentra, ed ci che si definisce ‘assorbimento meditativo’.
L’altra pratica definita vipassana, meditazione `di visione profonda’. Con la vipassana, il campo dell’attenzione si apre ad abbracciare tutto. Non si sceglie un oggetto particolare su cui concentrarsi o nel quale assorbirsi, ma si osserva per comprendere la natura delle cose. Ora, ci che possiamo vedere circa la natura delle cose che l’esperienza sensoriale nel suo complesso impermanente. Tutto ci che si vede, si ode, si annusa, si gusta e si tocca, tutte le condizioni mentali – sentimenti, ricordi e pensieri – sono mutevoli condizioni della mente, che sorgono e passano. Nella vipassana, ogni esperienza sensoriale osservabile mentre siamo seduti qui vista attraverso questa caratteristica dell’impermanenza (o del cambiamento).
Non si tratta di un atteggiamento filosofico o di aderire a una certa teoria buddhista: l’impermanenza va conosciuta intuitivamente aprendo la mente all’osservazione, ed essendo consapevoli delle cose cos come sono. Non si tratta di analizzarle partendo dal presupposto che debbano essere in un certo modo, e se poi non cos cercare di capire perch non sono come pensiamo che dovrebbero essere. Nella pratica della visione profonda non cerchiamo di analizzarci, e nemmeno di cambiare le cose secondo i nostri desideri. In questa pratica ci limitiamo a notare pazientemente che tutto ci che sorge passa, mentale o fisico che sia.
Quindi anche gli stessi organi di senso, i rispettivi oggetti e la coscienza che scaturisce dal contatto fra i due. Poi ci sono le condizioni mentali di attrazione o repulsione rispetto a quanto vediamo, annusiamo, gustiamo, sentiamo o tocchiamo; i nomi che gli diamo e le idee, le parole e i concetti che creiamo attorno all’esperienza sensoriale. Gran parte della nostra vita si basa su presupposti infondati che derivano dal non capire e non investigare a fondo la realt delle cose. Quindi per chi non sveglio e consapevole la vita tende a diventare deprimente o sconcertante, specialmente in occasione di delusioni o eventi drammatici. In quei momenti ci sentiamo sopraffatti, perch non abbiamo osservato la natura delle cose.
In termini buddhisti si parla di Dhamma, o Dharma, che significa appunto `la realt delle cose’, `la legge di natura’. Quando osserviamo e `pratichiamo il Dhamma’, apriamo la nostra mente alla realt delle cose. Cos facendo, non stiamo pi reagendo ciecamente all’esperienza sensoriale ma la comprendiamo, e attraverso la comprensione cominciamo a lasciarla andare. Cominciamo a liberarci dal nostro essere sopraffatti o accecati e illusi dall’apparenza delle cose. Ora, essere consapevoli e svegli non significa diventarlo, ma appunto esserlo. Quindi osserviamo la realt delle cose in questo preciso momento, piuttosto che adoperarci ora per diventare consapevoli in futuro.
Osserviamo il corpo cos com’, seduto qui. Il corpo appartiene in tutto e per tutto alla natura, vi pare? Il corpo umano appartiene alla terra, si sostenta grazie a ci che viene prodotto dalla terra. Non potete vivere di aria o importare il cibo da Marte e da Venere. Dovete nutrirvi di ci che vive e cresce su questa Terra. Quando il corpo muore torna alla terra, marcisce e si decompone e torna a essere tutt’uno con la terra. Segue la legge di natura, di creazione e distruzione, di nascita e morte. Tutto ci che nasce non resta sempre nello stesso stato, ma cresce, invecchia e poi muore. Tutto in natura, incluso l’universo stesso, ha una sua durata, una nascita e una morte, un principio e una fine. Tutto ci che percepiamo e che possiamo immaginare mutevole, impermanente. Quindi non potr mai darvi soddisfazione duratura.
Nella pratica del Dhamma, osserviamo anche questo carattere insoddisfacente dell’esperienza sensoriale. Nella vostra vita quotidiana avrete notato che quando vi aspettate di ricavare soddisfazione dagli oggetti o dalle esperienze sensoriali, potete sentirvi soddisfatti solo temporaneamente, forse gratificati, momentaneamente felici, ma poi le cose cambiano. Questo perch non c’ nulla nella coscienza sensoriale che abbia una qualit o un’essenza permanente. Quindi l’esperienza dei sensi sempre mutevole, e noi per ignoranza o per mancanza di comprensione tendiamo a nutrire grosse aspettative al riguardo. Abbiamo la tendenza a pretendere, sperare e immaginare ogni sorta di cose, solo per ritrovarci delusi, disperati, addolorati e spaventati. E sono proprio queste nostre aspettative e speranze a condursi alla disperazione, all’angoscia, alla tristezza e al dolore, all’afflizione, alla vecchiaia, alla malattia e alla morte.
Si tratta quindi di un modo per esplorare la coscienza sensoriale. La mente capace di astrazione, pu generare ogni sorta di idee e di immagini, pensare cose sublimi o estremamente volgari. C’ tutta una gamma di possibilit, dagli stati mentali pi sublimi di beatitudine e di estasi alle miserie del dolore pi crudo: dal paradiso all’inferno, per usare termini pi coloriti. Ma non c’ un paradiso permanente o un inferno permanente, n d’altronde alcuno stato permanente che possa essere percepito o immaginato. Nella meditazione, quando si comincia a prendere coscienza dei limiti, dell’insoddisfazione e del cambiamento connaturati a ogni esperienza sensoriale, si comincia anche a percepire che tutto questo non sono io e non mio, ma anatta, non-io.
Quindi, prendendone coscienza, cominciamo ad affrancarci dall’identificazione con le condizioni sensoriali. E questo avviene non sull’onda dell’avversione, ma comprendendole per quelle che sono. E’ una verit che va realizzata, non un credo. Anatta non un credo buddhista, un’esperienza concreta. Ma se non dedicate del tempo al tentativo di investigarla e di comprenderla, probabile che tutta la vostra vita andr spesa nella convinzione di essere questo corpo. Anche se di quando in quando potr capitarvi di pensare “non sono il corpo” – magari ispirati da una poesia o da un nuovo approccio filosofico. Potr sembrarvi una buona idea, questa di non essere il corpo, ma non lo avrete sperimentato. Qualche intellettuale potr affermare che non siamo il nostro corpo, che il corpo non il s; facile a dirsi, ma saperlo tutt’altra cosa.
Grazie alla pratica della meditazione, attraverso l’investigazione e la comprensione della realt delle cose, cominciamo ad affrancarci dall’attaccamento. Quando aspettative e pretese vengono meno, naturale non provare pi la disperazione, la tristezza e il dolore che ne conseguono quando non si ottiene ci che si desidera. Quindi la meta questa, il Nibbana, la condizione in cui non ci si aggrappa a nessun fenomeno che abbia un principio e una fine. Quando lasciamo andare questo insidioso e abituale attaccamento a ci che nasce e muore, cominciamo a realizzare l’Immortale.
Alcuni di noi vivono la loro vita semplicemente reagendo alla vita perch sono condizionati a farlo, come i cani di Pavlov. Se non vi risvegliate alla realt delle cose, di fatto non siete altro che creature intelligenti condizionate, piuttosto che stupidi cani condizionati. Si pu guardare con sussiego ai cani di Pavlov che sbavano quando suona il campanello; ma notate quanto anche noi ci comportiamo in modo simile.
Questo perch l’esperienza sensoriale tutta fatta di condizionamento, non una persona, un’anima, una sostanza personale. Questo corpo, le sensazioni, i ricordi e i pensieri sono percezioni mentali condizionate dal dolore, dall’essere nati come esseri umani, dall’essere nati in una certa famiglia, dall’appartenenza a una certa classe, razza e nazionalit; dipendono dall’avere un corpo femminile o maschile, attraente o non attraente e cos via. Tutte queste sono semplicemente le condizioni che non ci appartengono, che non sono ‘io’ n ‘mie’. E queste condizioni seguono le leggi della natura, le leggi naturali. Non si pu dire “non voglio che il mio corpo invecchi”; o meglio, possiamo dirlo, ma per quanto insistiamo il corpo invecchia lo stesso. Non possiamo aspettarci che non provi mai dolore, o non si ammali mai o conservi sempre una vista e un udito perfetti.
Ce lo auguriamo per, non vero? “Spero di essere sempre in buona salute, di non diventare mai invalido e avere sempre una buona vista, di non diventare cieco e conservare un buon udito, cos non sar mai uno di quei vecchietti a cui bisogna strillare nelle orecchie; di non diventare un rimbambito e conservarmi padrone delle mie facolt finch arriver a novantacinque anni sveglio, lucido e arzillo e morir nel sonno senza dolore”. Ci piacerebbe che andasse cos. Alcuni di noi camperanno a lungo e avranno una morte idilliaca, ma domani potremmo perdere all’improvviso tutti e due gli occhi. E’ improbabile, ma potrebbe succedere!
Certo che il peso della vita si allevia considerevolmente quando riflettiamo sui suoi limiti intrinseci. Allora sappiamo cosa possibile ottenere, cosa possiamo imparare dalla vita. Tanta parte della miseria umana nasce da aspettative esagerate e dall’impossibilit di ottenere tutto ci che avevamo sperato.
Quindi nella meditazione e nella comprensione intuitiva della natura delle cose vediamo che la bellezza, il sublime, il piacere, sono condizioni impermanenti tanto quanto il dolore, la miseria e la bruttezza. Se arrivate a capire questo, siete in grado di godere e tollerare tutto quanto potr capitarvi. Di fatto, la lezione della vita consiste in gran parte nell’imparare a tollerare quello che non ci piace, in noi stessi e nel mondo che ci circonda; imparare a essere gentili e pazienti senza fare una tragedia per le imperfezioni dell’esperienza sensoriale. Possiamo adattarci, tollerare e accettare le caratteristiche mutevoli del ciclo della nascita e della morte sensoriali mollando la presa e smettendo di attaccarci. Quando ci liberiamo dall’identificazione con questo ciclo, sperimentiamo la nostra vera natura, che luminosa, limpida, consapevole; ma non pi un fatto personale, non `me’ o `mio’, niente da conquistare o a cui attaccarsi. Possiamo attaccarci solo a ci che non siamo!
Gli insegnamenti del Buddha sono solo utili strumenti, modi di osservare l’esperienza sensoriale che ci aiutano a capire. Non sono comandamenti, non sono dogmi religiosi da accettare o in cui credere. Sono solo indicazioni che additano la realt delle cose. Quindi non ci serviamo degli insegnamenti del Buddha come qualcosa di fine a se stesso a cui aggrapparci, ma solo per ricordarci di essere svegli, vigili e consapevoli che tutto ci che sorge passa.
E’ un’osservazione, una riflessione continua e costante sul mondo sensoriale, perch il mondo sensoriale esercita un’influenza estremamente potente. Avere un corpo come questo nella societ in cui viviamo ci espone tutti a pressioni incredibili. Tutto si muove cos rapidamente – la televisione e la tecnologia moderna, le macchine – tutto tende a muoversi a un ritmo vertiginoso. E’ tutto cos attraente, eccitante e interessante, ed esercita un forte richiamo sui nostri sensi. Passeggiando per Londra, notate come i cartelloni pubblicitari richiamano la vostra attenzione su bottiglie di whisky e sigarette! L’attenzione viene risucchiata da oggetti che si possono comprare, sospinta immancabilmente verso una rinascita nell’esperienza sensoriale. La societ materialistica cerca di stimolare l’avidit per farvi spendere denaro, senza per sentirvi mai appagati di ci che avete. C’ sempre qualcosa di meglio, di pi nuovo, di pi squisito di quello che ieri era il pi squisito… e cos via all’infinito, alienati e risucchiati negli oggetti dei sensi.
Ma quando entriamo nella sala dell’altare, non siamo qui per guardarci a vicenda o farci attrarre e risucchiare da questo o quell’oggetto nella stanza, ma tutto serve a ricordarci di noi stessi. Ci ricorda di concentrarci su un oggetto tranquillo, o di aprire la mente e investigare e contemplare la natura delle cose. E’ un’esperienza che va vissuta, da ognuno in prima persona. L’illuminazione degli altri non ci far diventare illuminati.
Dunque si tratta di un movimento verso l’interno, non di cercare un illuminato fuori di noi che ci illumini. Offriamo questa opportunit come incoraggiamento e guida, per dare a chi interessato la possibilit di farlo. Qui, generalmente, si pu stare tranquilli che nessuno cercher di rubarvi la borsetta! Di questi tempi non si pu essere certi di nulla, ma si corrono meno rischi qui che in Piccadilly Circus; i monasteri buddhisti sono rifugi che facilitano questa apertura mentale. E’ un’opportunit che ci data in quanto esseri umani.
In quanto esseri umani, abbiamo una mente capace di riflessione e osservazione. Potete osservare se siete felici o depressi. Potete osservare la rabbia, la gelosia o la confusione nella vostra mente. Quando nel corso della seduta vi sentite confusi e irritati, c’ qualcosa in voi che lo sa. Potete scegliere se odiare quei sentimenti e reagire ciecamente, o essere pi pazienti e osservare che si tratta di una condizione temporanea e mutevole di confusione, di rabbia o di avidit. Un animale invece non pu farlo; quando arrabbiato non c’ altro, ci si perde dentro completamente. Provate a dire a un gatto arrabbiato di osservare la sua rabbia! Con la nostra gatta non c’ stato verso, lei non in grado di contemplare l’avidit. Ma io s, e sono certo che lo siete anche voi. Se vedo di fronte a me un piatto saporito, il moto della mia mente non diverso da quello della gatta Doris. Noi per possiamo osservare l’attrazione animale verso ci che ha un buon odore e un bell’aspetto. Ci significa usare la saggezza per osservare l’impulso e comprenderlo. Ci che osserva l’avidit non avidit: l’avidit non pu osservare se stessa, ma ci che non avidit pu osservarla. Questo osservare ci che chiamiamo ‘Buddha’, la saggezza di Buddha, la consapevolezza delle cose cos come sono.
2. ISTRUZIONI
2.1 Consapevolezza del respiro (anapanasati)
L’anapanasati (consapevolezza (sati) dell’inspirazione e dell’espirazione) un metodo in cui si concentra la mente sul respiro; perci, che siate gi esperti o abbiate deciso che una partita persa, c’ sempre un momento buono per fare attenzione al respiro. E’ un’occasione per coltivare il samadhi, la concentrazione, chiamando a raccolta tutta la vostra attenzione sulla sensazione di respirare. Quindi in questo momento concentratevi con il massimo impegno su quest’unica cosa per la durata di un’inspirazione e la durata di un’espirazione. Non cercate di farlo per quindici minuti, perch non ci riuscireste mai se fosse questo il lasso di tempo stabilito per la concentrazione su un oggetto. Quindi riferitevi alla durata di un’inspirazione e di un’espirazione.
Riuscirci questione pi di pazienza che di forza di volont, perch l’attenzione tende a divagare e occorre sempre riportarci pazientemente al respiro. Se ci accorgiamo di esserci distratti, notiamo di che si tratta: pu essere perch tendiamo a essere troppo energici all’inizio senza poi sostenere lo sforzo, ci sforziamo troppo senza sostenere l’energia. Quindi prendiamo la durata di un’inspirazione e la durata di un’espirazione come lasso di tempo in cui applicare lo sforzo di sostenere l’attenzione. Fate uno sforzo al principio dell’espirazione e sostenetelo fino alla fine, e ricominciate nello stesso modo con l’inspirazione. Alla fine verr naturale, e quando sembra di non sforzarsi pi si dice di aver raggiunto il samadhi.
All’inizio sembra faticoso o perfino impossibile, perch non ci siamo abituati. La mente per lo pi abituata al pensiero associativo. E’ allenata dalla lettura dei libri o simili a procedere parola per parola, a formulare pensieri e concetti basati sulla logica e sulla ragione.
Invece anapanasati un tirocinio di tipo diverso, in cui l’oggetto su cui ci si concentra cos semplice da non rivestire il minimo interesse sul piano intellettuale. Quindi non si tratta di provare interesse, ma di produrre uno sforzo e usare questa funzione naturale del corpo come oggetto di concentrazione. Il corpo respira, che ne siamo consapevoli o no. Non come il pranayama, in cui il respiro ci serve per sviluppare certe facolt; si tratta piuttosto di sviluppare la concentrazione e la presenza mentale attraverso l’osservazione del respiro, il respiro normale cos com’ in questo momento. Come in tutte le cose, anche qui c’ bisogno di esercizio per riuscire; in teoria tutto chiarissimo, ma nella pratica quotidiana ci si pu facilmente scoraggiare.
Quello scoraggiamento, per, che nasce dall’incapacit di ottenere il risultato voluto, qualcosa di cui essere consapevoli, perch proprio questo che ostacola la pratica. Notate quella sensazione, riconoscetela, poi lasciatela andare. Tornate di nuovo al respiro. Siate consapevoli dell’attimo in cui cominciate a sentirvi stufi, irritati o impazienti, prendetene atto, poi lasciate andare e tornate al respiro.
2.2 Il mantra ‘Buddho’
Nel caso di una mente molto attiva sul piano discorsivo pu essere utile ricorrere al mantra ‘Buddho’. Inspirate sul ‘Bud’ ed espirate sul ‘dho’, concentrandovi su quest’unico pensiero per la durata dell’atto respiratorio. E’ un modo per sostenere la concentrazione: quindi, per i prossimi quindici minuti praticate anapanasati mettendoci tutta la vostra attenzione, raccogliendo la mente attorno alla parola ‘Buddho’. Imparate a portare la mente a quel livello di chiarezza e di vivacit, invece di sprofondare in uno stato passivo. C’ bisogno di uno sforzo sostenuto:
un’inspirazione sul ‘Bud’ – deve stagliarsi chiaro e nitido nella mente, mantenendo in primo piano questo pensiero dal principio alla fine dell’inspirazione – e l’espirazione sul ‘dho’. In questo momento non occupatevi d’altro. Ora il momento di dedicarsi solo a questo – i vostri problemi e i problemi del mondo potrete risolverli pi tardi. In questo momento la situazione non richiede altro. Fate emergere il mantra alla coscienza. Sostenetelo deliberatamente, che non sia una cosa meccanica e ripetitiva buona solo a intontirvi. Infondete energia alla mente, in modo tale che l’inspirazione sul ‘Bud’ sia un’inspirazione viva, non un ‘Bud’ meccanico che si affievolisce subito perch non mai ravvivato e rinnovato dalla mente. Potete visualizzarlo come se fosse scritto, in modo da concentrarvi pienamente sulla sillaba per tutta la durata dell’inspirazione, dal principio alla fine. Poi ‘dho’ sull’espirazione segue la stessa modalit, in modo da dare una certa continuit allo sforzo pi che procedere per tentativi sporadici e intermittenti.
Notate l’eventuale presenza di pensieri ossessivi, di frasi senza senso che occupano lo spazio mentale. Sprofondare in uno stato di passivit lascia mano libera ai pensieri ossessivi. Invece, imparare a capire come funziona la mente e come adoperarla con intelligenza implica che si scelga un determinato pensiero – l’idea di Buddho, ossia il Buddha, il Conoscitore – e che lo si sostenga in quanto pensiero. Non come un pensiero abituale e ossessivo, ma come un’applicazione intelligente del pensiero, allo scopo di sostenere la concentrazione per la durata di un’inspirazione, di un’espirazione, per quindici minuti.
La pratica sta nel fatto che, tutte le volte che non ci si riesce e la mente divaga, si prende atto semplicemente di essersi distratti, o che si sta pensando all’esercizio, o che si preferirebbe lasciar perdere ‘Buddho’ – (“non ho nessuna voglia di farlo; mi piacerebbe starmene seduto a riposare senza sforzarmi di fare niente; proprio non mi va”). O forse in questo momento c’ qualcos’altro che vi preoccupa, che cerca di venire a galla nella mente conscia – in tal caso notate di che si tratta. Notate lo stato d’animo predominante al momento, non per criticare o scoraggiarvi, semplicemente notate con calma, spassionatamente, se l’esercizio vi calma o vi rende opachi e sonnolenti, se non avete fatto altro che pensare o vi siete concentrati. Semplicemente saperlo.
L’ostacolo alla pratica della concentrazione l’avversione per il fallimento e un intenso desiderio di riuscire. Nella pratica non in gioco la forza di volont, ma la saggezza, la saggezza del fare attenzione. Questo esercizio vi dar modo di conoscere i vostri punti deboli, dov’ che tendete a perdervi. Siete testimoni dei tratti del carattere che avete sviluppato fino ad ora nella vostra vita, non per criticarli ma solo per imparare a lavorarci sopra e non esserne schiavi. Ci implica un’accurata e saggia riflessione sulle cose cos come sono. Sicch, invece di evitarle a tutti i costi, anche le situazioni pi disperanti vengono osservate e riconosciute. E’ in gioco la capacit di tollerare. Spesso il Nibbana viene descritto in termini di ‘freddezza’. Deprimente, eh? Ma la parola allude a qualcosa di preciso. Freddezza rispetto a cosa? E’ qualcosa che d sollievo, che non travolto dalle passioni ma distaccato, vigile ed equilibrato.
La parola ‘Buddho’ pu essere coltivata nella vita come qualcosa con cui riempire la mente al posto delle preoccupazioni e di ogni sorta di abitudini malsane. Prendetela, osservatela, ascoltatela: Buddho! Significa ‘colui che sa’, il Buddha, il risvegliato, la qualit dell’essere svegli. La potete anche visualizzare. Ascoltate il chiacchierio della mente – bla bla bla – che secerne senza sosta ogni sorta di paure e avversioni represse.
Sicch, adesso ne prendiamo atto. Non usiamo Buddho come una mazza con cui annientare e reprimere tutto, ma come un abile espediente. Anche gli strumenti pi raffinati si possono usare per uccidere e danneggiare gli altri, no? Si pu prendere una pregevole statua del Buddha e spaccarla in testa a qualcuno, volendo! Non questa la ‘Buddhanussati’, la riflessione sul Buddha, di cui parliamo! Per proprio cos che potremmo usare la parola ‘Buddho’, come un mezzo per reprimere pensieri e sentimenti. E sarebbe un uso malsano. Ricordate che il nostro scopo non sopprimere, ma lasciare che le cose si dissolvano spontaneamente. E’ una pratica delicata in cui pazientemente si sovrappone ‘Buddho’ ai pensieri, non per esasperazione, ma in modo fermo e deliberato.
Il mondo ha proprio bisogno di imparare a farlo, vero? Gli Usa e l’Unione Sovietica, invece di ricorrere alle mitragliatrici e alle armi nucleari per annientare qualunque opposizione… o invece di dirci orribili cattiverie a vicenda. Lo facciamo anche noi, non vero? Quanti di voi hanno preso a male parole qualcuno di recente, lo hanno ferito, criticato impietosamente, solo perch vi irritava, vi ostacolava, o vi faceva paura? Allora cominciamo a praticare con queste piccole cose cattive e irritanti nella nostra mente, con le cose che riteniamo futili e sciocche. Usiamo ‘Buddho’ non come una mazza ma come un abile espediente che permette alle cose di passare, che le lascia andare. Ora, per i prossimi quindici minuti tornate al vostro naso con il mantra ‘Buddho’. Cercate di capire come funziona e come lavorarci.
2.3 Sforzo e rilassamento
Sforzo significa semplicemente fare quel che c’ da fare. Varia a seconda delle caratteristiche e delle abitudini individuali. Alcune persone hanno molta energia, cos tanta che sono sempre in movimento, in cerca di cose da fare. Sono quelli che si danno da fare continuamente, sempre proiettati all’esterno. In meditazione non ci proponiamo di fare nulla come un mezzo di fuga, ma piuttosto coltiviamo uno sforzo di natura interiore. Osserviamo la mente, e ci concentriamo sul soggetto.
Se lo sforzo eccessivo si finisce col diventare irrequieti, se viceversa non ci si sforza abbastanza la mente si annebbia e il corpo tende ad accasciarsi. Il corpo un buon parametro per misurare lo sforzo: lo si mantiene eretto, si pu infondere energia nel corpo; tenetelo allineato, tirate su il petto, tenete diritta la spina dorsale. Ci richiede una grossa dose di forza di volont, quindi una buona cosa tenere presente il corpo per valutare lo sforzo. Se siete pigri, sceglierete la postura pi facile, la forza di gravit vi tira gi. Quando fa freddo bisogna stirare energicamente la spina dorsale per dare al corpo pienezza e slancio, invece di rannicchiarsi sotto le coperte. Nell’anapanasati, la consapevolezza del respiro, ci si concentra sul ritmo. Io lo trovo particolarmente utile per imparare a rallentare invece di fare tutto rapidamente – alla velocit del pensiero; ci si concentra su un ritmo che molto pi lento di quello del pensiero. Invece l’ anapanasati vi chiede di rallentare, ha un ritmo dolce. Quindi smettiamo di pensare: ci accontentiamo di un’inspirazione, un’espirazione, prendendoci tutto il tempo del mondo solo per essere con un’inspirazione, dal principio alla met alla fine.
Se praticando anapanasati vi sforzate di raggiungere il samadhi, vi siete gi posti un obiettivo, lo state facendo per ottenere qualcosa, quindi la pratica diventa un’ esperienza molto frustrante che tender a suscitarvi rabbia. Riuscite a stare semplicemente con un’inspirazione? A contentarvi di una semplice espirazione? Per contentarsi di quel semplice piccolo lasso di tempo dovete rallentare, vero?
Quando mirate a ottenere il (uno stato di meditazione profonda) e vi sforzate al massimo per ottenerlo, non state rallentando, state cercando di ricavarne qualcosa, di conquistare e ottenere invece di contentarvi umilmente di un respiro. Il successo dell’anapanasati tutto qui: essere consapevoli per la durata di un’inspirazione, per la durata di un’espirazione. Ponete l’attenzione al principio e alla fine, oppure al principio, alla met e alla fine. Avrete cos dei punti di riferimento precisi per la contemplazione, dimodoch se nel corso della pratica tendete a distrarvi parecchio potete applicare una particolare attenzione all’osservazione del principio, della met e della fine. Diversamente, la mente tender a divagare.
Tutti i nostri sforzi tendono solo a questo; tutto il resto momentaneamente annullato o messo da parte. Riflettete sulla differenza fra inspirazione ed espirazione, esaminatela. Quale preferite? A volte sembrer che il respiro scompaia, diventa molto sottile. Sembra che il corpo respiri da solo e si ha la strana sensazione di non respirare pi. Fa un po’ paura.
Ma questo un esercizio; centratevi sul respiro, senza cercare di controllarlo. A volte, concentrandovi sulle narici, vi sembrer che tutto il corpo respiri. Il corpo continua a respirare, per conto suo.
A volte prendiamo tutto troppo sul serio, manchiamo completamente di gioia e felicit, di senso dell’umorismo; ci reprimiamo e basta. Perci, rasserenatevi, rilassatevi e state tranquilli, prendendovi tutto il tempo del mondo, senza l’assillo di dover raggiungere qualcosa di importante; non niente di speciale, niente da ottenere, niente da guadagnare. E’ una cosa senza pretese; anche una sola inspirazione consapevole in tutta la mattinata sempre meglio di quello che fa la maggior parte della gente, sicuramente meglio che essere distratti per tutto il giorno.
Se avete un carattere ipercritico, cercate di essere pi gentili e pi accettanti nei vostri confronti. Rilassatevi e non prendete la meditazione come un compito gravoso. Consideratela un’occasione per essere in pace e a vostro agio con il momento presente. Rilassate il corpo e siate sereni.
Non siete in guerra contro le forze del male. Se l’ anapanasati vi suscita avversione, prendete nota anche di questo. Non vivetela come qualcosa che dovete fare, ma come un piacere, come qualcosa che vi piace fare. Non dovete fare nient’altro, potete rilassarvi completamente. Avete tutto quello che vi serve, avete il respiro, dovete solo stare seduti qui, non c’ niente di difficile da fare, non si richiedono capacit particolari, non c’ nemmeno bisogno di essere particolarmente intelligenti. Quando vi viene da pensare “non ci riesco”, riconoscetela come una semplice resistenza, paura o frustrazione, e poi rilassatevi.
Se vi accorgete che la pratica dell’anapanasati vi suscita particolare tensione e preoccupazione, smettete. Non complicatela, non trasformatela in un compito gravoso. Se non ci riuscite, limitatevi a stare seduti. Quando mi capitava di ridurmi in questo stato, prendevo ‘pace’ come unico oggetto di contemplazione. Quando cominciavo a pensare: “devo… devo… devo farcela”, mi dicevo: “Stai calmo, rilassati”.
Dubbi e irrequietezza, insoddisfazione, avversione – presto fui in grado di contemplare la pace, ripetendomi la parola pi e pi volte, quasi volessi ipnotizzarmi: “Rilassati, rilassati”. Venivano fuori dubbi egocentrici di ogni tipo: “Cos non combino niente, inutile, voglio dei risultati”. Presto fui in grado di fare pace con queste cose. Prima calmatevi, poi, quando siete rilassati, praticate anapanasati. Se cercate qualcosa da fare, fate questo.
All’inizio la pratica pu essere molto noiosa; ci si sente disperatamente impacciati, come un chitarrista alle prime armi. Quando si comincia a suonare le dita sono goffe; sembra un’impresa impossibile, ma poi, con l’esercizio, ci si impratichisce e diventa facile. Ora state imparando a essere testimoni di quello che accade nella vostra mente, cos potete sapere quando state diventando irrequieti e tesi, ostili a tutto, e ne prendete atto, non cercate di convincervi che non sia cos. Siete pienamente consapevoli di come stanno le cose: che fare quando siete preoccupati, tesi e nervosi? Rilassarsi.
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