Consapevolezza: la via oltre la morte 3f
– la meditazione secondo l’insegnamento del venerabile Ajahn Sumedho –
(terza parte e fine)
2.8 Gli impedimenti e la cessazione degli impedimenti
Praticando l’ascolto interiore, cominciamo a riconoscere il sussurro del senso di colpa, del rimorso e del desiderio, dell’invidia e della paura, della brama e dell’avidit. A volte ascolterete cosa dice la brama: “Vorrei, devo avere, devo avere, voglio, voglio!”. A volte non ha neppure un oggetto preciso. Pu esserci una brama senza oggetto, per cui le troviamo un oggetto. Il desiderio di ottenere: “Voglio qualcosa, voglio qualcosa! Devo averlo, voglio…” Ascoltate la mente, forse lo sentirete. Di solito riusciamo a trovare un oggetto per la nostra brama, per esempio il sesso, oppure passiamo il tempo a fantasticare.
La brama pu prendere la forma del cercare qualcosa da mangiare, o in cui immergersi completamente, del diventare qualcosa, unirsi a qualcosa. La brama sta sempre di vedetta, sempre alla ricerca di un oggetto. Pu essere un oggetto gradevole permesso ai monaci, come una bella veste o una ciotola o un cibo saporito. Notate la tendenza a volerlo, a toccarlo, cercare di procurarselo, averlo, possederlo, appropriarsene, consumarlo. E’ la brama, una forza della natura che va riconosciuta; non condannata pensando “sono un individuo spregevole perch desidero”, perch anche questo fa da rinforzo all’io, vi pare? Come se dovessimo essere completamente esenti da brama, come se esistessero esseri umani che non fanno esperienza del desiderio!
Sono condizioni naturali che dobbiamo riconoscere e notare; non per condannarle, ma per comprenderle. Cos cominciamo veramente a conoscere il movimento mentale della brama, dell’avidit, del ricercare qualcosa – come pure del desiderio di farla finita con qualcosa. Anche di questo si pu essere testimoni, del desiderio di sbarazzarci di quello che abbiamo, di una situazione o anche del dolore. “Voglio farla finita con questo dolore, con le mie debolezze, con il torpore, con la mia irrequietezza, con la mia brama. Voglio liberarmi di tutto ci che mi d fastidio. Perch Dio ha creato le zanzare? Voglio liberarmi dalle seccature”.
Il desiderio dei sensi il primo degli impedimenti (nivarana). Il secondo l’avversione; la mente ossessionata dal non volere, da irritazioni e risentimenti meschini, nonch dal desiderio di eliminarli. Quindi questo un ostacolo alla visione interiore, un impedimento. Non sto dicendo che bisogna eliminare l’impedimento – sarebbe avversione – ma che bisogna conoscerlo, conoscerne la forza, comprenderlo per esperienza diretta. Allora si prende coscienza del desiderio di sbarazzarsi di cose che sono dentro di s, o attorno a s, del desiderio di non esserci, di non essere vivi, di non esistere pi. E’ per questo che ci piace dormire, no? Perch per un po’ ci consente di non esistere. Nella coscienza caratteristica del sonno non esistiamo perch la sensazione stessa di essere vivi viene a mancare. C’ un annullamento. E’ per questo che alcune persone dormono molto, perch vivere troppo doloroso per loro, troppo noioso, troppo sgradevole. Quando siamo depressi, dubbiosi, disperati, cerchiamo scampo nel sonno, cerchiamo di annullare i nostri problemi, estromettendoli dalla coscienza.
Il terzo impedimento rappresentato da stati come sonnolenza, apatia, ottundimento, indolenza, torpore fisico e mentale, ai quali tendiamo a reagire con avversione. Ma sempre qualcosa che pu essere compreso. L’opacit pu essere conosciuta, la pesantezza fisica e mentale, il movimento lento, opaco. Osservate l’avversione per questi stati, il desiderio di sbarazzarvene. Osservate la sensazione di opacit nel corpo e nella mente. Anche la conoscenza del torpore mutevole, insoddisfacente, impersonale.
L’irrequietezza l’opposto del torpore; il quarto impedimento. Non si affatto opachi, n sonnolenti, ma viceversa agitati, nervosi, ansiosi, tesi. Anche qui pu non esserci un oggetto specifico. Diversamente dalla sonnolenza, l’irrequietezza uno stato pi ossessivo. Si vorrebbe essere attivi, correre, fare questo, fare quello, parlare, andare in giro, agitarsi. E se dovete stare seduti immobili per un po’ quando vi sentite irrequieti vi sentite in trappola, chiusi in una gabbia; non pensate ad altro che a saltare, correre in giro, darvi da fare. Anche di questo si pu essere consapevoli, specialmente quando si contenuti da una forma che non ci consente di seguire l’irrequietezza. L’abito che indossano i bhikkhu non particolarmente adatto per arrampicarsi sugli alberi e penzolare dai rami. Non potendo agire questa tendenza salterina della mente siamo costretti a osservarla.
Il quinto impedimento il dubbio. A volte i nostri dubbi ci sembrano importantissimi, e ci piace dar loro parecchia attenzione. Siamo facilmente ingannati dalla natura del dubbio, perch sembra molto reale: “Certi dubbi sono futili, vero, ma questo un Dubbio Importante. Devo sapere la risposta. Devo essere sicuro. Devo saperlo assolutamente: meglio fare questo oppure quest’altro? Sto facendo bene? Dovrei andarmene o restare un altro po’? Sto sprecando il mio tempo? Ho sprecato la mia vita? Il Buddhismo la via giusta oppure no? Forse non la religione giusta!”. Questo il dubbio. Si pu passare tutta la vita a chiedersi se sia meglio fare questo o quello, ma una cosa sola si pu sapere: che il dubbio una condizione della mente. A volte prende forme sottili e ingannatrici. Assumendo la posizione del ‘conoscitore’, conosciamo il dubbio in quanto tale. Importante o futile che sia, semplicemente dubbio, tutto qui. “Devo restare qui o andarmene altrove?”; un dubbio. “Devo fare il bucato oggi o domani?”; un dubbio. Non importantissimo, ma poi ci sono quelli importanti. “Sono gi un sotapanna? [uno che ha raggiunto il primo livello dell’illuminazione]. Ma cos’ in definitiva un sotapanna? Ajahn Sumedho un arahat, un illuminato? Esistono ancora arahant al giorno d’oggi?”. Poi i seguaci di altre religioni vengono a dirci che la nostra sbagliata e la loro quella giusta. “Forse hanno ragione! Forse siamo in errore”. Ci che possiamo sapere che c’ il dubbio. In questo modo siamo il conoscere, conoscere ci che si pu conoscere, sapere che non sappiamo. Anche quando ignorate qualcosa, se siete consapevoli di non sapere, quella consapevolezza conoscenza.
Sicch, essere il conoscere significa questo, conoscere ci che si pu conoscere. I cinque impedimenti sono i vostri maestri, perch non sono i guru esaltanti e radiosi che si vedono sui libri. Possono essere piuttosto volgari, meschini, sciocchi, irritanti e ossessionanti. E ci incalzano, ci punzecchiano, ci riducono a mal partito, finch non gli diamo l’attenzione e la comprensione dovuta, finch non smettono di essere problemi. Ecco perch bisogna essere molto pazienti; dobbiamo avere tutta la pazienza del mondo, e l’umilt di imparare dai nostri cinque maestri.
E che cosa impariamo? Che non sono altro che condizioni della mente, che sorgono e passano, che sono insoddisfacenti, impersonali. A volte si ricevono messaggi importanti nella vita. Tendiamo a dare credito a questi messaggi, ma ci che possiamo sapere che sono condizioni mutevoli: e se abbiamo la pazienza di tollerarle fino in fondo le cose cambiano automaticamente, per conto loro, e noi abbiamo l’apertura e la chiarezza mentale per agire spontaneamente invece di reagire alle condizioni. Grazie alla nuda attenzione, alla consapevolezza, le cose fanno il loro corso, non c’ bisogno di sbarazzarsene, perch tutto ci che ha un principio, finisce. Non c’ nulla da eliminare, bisogna solo essere pazienti e lasciare che tutto faccia il suo corso naturale verso la cessazione.
Quando siete pazienti, lasciando che le cose cessino, cominciate a conoscere la cessazione – il silenzio, il vuoto, la chiarezza; la mente limpida, quieta. E’ ancora vibrante, non cade nell’oblio, non repressa o addormentata, e si pu udire il silenzio della mente. Consentire la cessazione significa essere molto gentili, molto gentili e pazienti, umili, non schierarsi dalla parte di nulla – bene, male, piacere o dolore. L’accettazione gentile permette alle cose di cambiare secondo la propria natura, senza interferenze. Allora impariamo a smettere di cercare di assorbirci negli oggetti dei sensi. Troviamo la pace nel vuoto della mente, nella sua chiarezza, nel suo silenzio.
2.9 Vuoto e forma
Quando la mente tranquilla, ascoltate, sentirete una specie di ronzio – il cosiddetto ‘suono del silenzio’. Che cos’? E’ un suono interno all’orecchio, un suono esterno? E’ prodotto, dalla mente, dal sistema nervoso o cosa? Sia quel che sia, sempre l, e si pu usare in meditazione in quanto oggetto a cui rivolgere l’attenzione.
Prendendo atto che tutto ci che sorge passa, cominciamo a osservare ci che non sorge e non passa ed sempre presente. Se cominciate a pensare a quel suono, a dargli un nome, a pretendere di ricavarne qualcosa, chiaro che lo state usando nel modo sbagliato. E’ solo un punto di riferimento a cui rivolgersi quando si giunge ai confini della mente, ci che alla nostra osservazione appare come l’estremo limite della mente.
Quindi da quella posizione si pu cominciare a osservare. Potete pensare e contemporaneamente ascoltare il suono (nel caso cio in cui pensiate deliberatamente); se invece vi perdete nei pensieri lo dimenticate e non lo udite pi. Quindi, se vi perdete nei pensieri, non appena ve ne accorgete riportate l’attenzione a quel suono e ascoltatelo a lungo. Laddove prima eravate trascinati via dalle emozioni o da preoccupazioni o dagli impedimenti, ora potete praticare contemplando con gentilezza, con molta pazienza, quella particolare condizione della mente in quanto anicca, dukkha, anatta, e poi lasciarla andare. E’ un lasciar andare dolce, sottile, non un rifiuto violento delle condizioni. Quindi ci che pi conta l’atteggiamento, la retta comprensione.
Non aspettatevi nulla dal suono del silenzio. C’ chi si esalta, pensando di aver raggiunto o scoperto chiss che, ma anche questa di per s una condizione creata attorno al silenzio. E’ una pratica molto serena, non emozionante; usatela con abilit e dolcezza per lasciar andare, piuttosto che per attaccarvi all’opinione di aver raggiunto qualcosa! Se c’ un ostacolo alla meditazione, proprio l’impressione di averne tratto un qualche vantaggio!
Ora, riflettete sulle condizioni del corpo e della mente e concentratevi su di esse. Potete passare in rassegna il corpo e riconoscere le sensazioni, ad esempio le vibrazioni nelle mani o nei piedi, oppure concentrarvi su un punto qualunque del corpo. Percepite la sensazione della lingua in bocca che tocca il palato, o il contatto fra il labbro superiore e quello inferiore, oppure portate alla coscienza la sensazione di umidit della bocca, o la pressione degli indumenti sul corpo – tutte quelle sensazioni sottili a cui in genere non facciamo caso. Contemplando queste sottili sensazioni fisiche, concentratevi su di esse, il corpo si rilasser. Al corpo umano piace ricevere attenzione. E’ contento di essere l’oggetto di una concentrazione gentile e tranquilla, per se siete cos sconsiderati da odiarlo pu darvi molto filo da torcere. Ricordate che dovete vivere in questa struttura per il resto della vostra vita. Perci fareste meglio a imparare a conviverci con un atteggiamento positivo. Qualcuno dir: “Ma il corpo non importante, solo una cosa repellente, invecchia, si ammala e muore. Il corpo non conta, l’importante la mente”. E un atteggiamento piuttosto diffuso fra i buddhisti! Ma in realt ci vuole pazienza per concentrarsi sul corpo motivati da altro che non da vanit! La vanit abuso del corpo umano, ma toccarlo con la consapevolezza sano. Non serve a rafforzare il senso dell’io, solo un’espressione di benevolenza nei confronti di un corpo vivente – che ad ogni modo non si identifica con voi.
Dunque adesso la meditazione si incentra sui cinque khanda e sul vuoto della mente. [I cinque khanda sono: rupa, (forma, il corpo), vedana (sensazioni), saa (percezione), sankhara (formazioni mentali), viana (coscienza sensoriale). Le cinque categorie che secondo il Buddha costituiscono l’essere umano] Investigateli entrambi fino a comprendere pienamente che tutto ci che sorge passa ed non-io. Allora non ci si afferra pi a nulla come se fosse il s, e ci si libera dal desiderio di riconoscersi in una certa qualit o in una sostanza. Questa la liberazione dalla nascita e dalla morte.
La via della saggezza non consiste nel coltivare la concentrazione per accedere a stati di trance, esaltarsi ed estraniarsi dalla realt. Bisogna essere molto onesti circa le proprie intenzioni. Meditiamo per evadere dalla realt? Stiamo cercando di accedere a uno stato dove tutti i pensieri vengono annullati? Questa pratica di saggezza un metodo non violento in cui si lasciano emergere anche i pensieri pi orribili e li si lascia andare.
Avete una via di sfogo, una specie di valvola di sicurezza da cui far uscire il vapore quando la pressione troppa. Normalmente, quando si sogna molto, il vapore si scarica durante il sonno. Ma questo non alimenta la saggezza, vi pare? E’ una vita da animali inconsapevoli: esercitare certe attivit abituali, esaurire le energie, crollare nel sonno, alzarsi, rimettersi in attivit e crollare di nuovo. Invece questo sentiero implica un’approfondita esplorazione e una comprensione dei limiti della condizione mortale del corpo e della mente. State sviluppando la capacit di distogliervi dalla realt condizionata e affrancare la vostra identit dal ci che muore. State dissolvendo l’illusione di essere un’entit mortale – ma non vi dico neppure che siete creature immortali, altrimenti comincereste ad aggrapparvi a questo! “La mia vera natura la verit ultima, l’assoluto. Io e il Signore siamo una cosa sola. La mia vera natura l’Immortale, beata eternit senza tempo”. Ma avrete notato che il Buddha si guard bene dall’usare un linguaggio poetico o ispirato. Non perch sia sbagliato, ma perch suscita attaccamento. Perch partiremmo alla conquista dell’identit con l’assoluto, dell’unione con Dio, della beatitudine eterna, della dimensione immortale e via dicendo. Cose che a dirle ci mandano in estasi. Per molto pi sano osservare la nostra tendenza a voler definire o concepire l’inconcepibile, a volerlo comunicare o descrivere agli altri solo per sentire di aver raggiunto qualcosa.
E’ molto pi importante osservarla, che seguirla. E d’altro canto non voglio negare che una realizzazione ci sia; solo siate tanto accorti e vigili da non attaccarvici, perch se lo fate ne ricaverete solo nuova disperazione. Se poi vi capitasse di farvi prendere la mano, appena ve ne accorgete, fermatevi. Non certo il caso di sentirsi in colpa o farne una tragedia; basta fermarsi l. Calmatevi, lasciate andare, lasciate perdere la faccenda. E’ tipico dei cristiani carismatici ardere di fervore religioso. Ed veramente notevole. Devo ammettere che fa una certa impressione vedere persone cos entusiaste. Per in termini buddhisti questo stato si definisce saa vipallasa, la ‘pazzia del meditante’. Quando un insegnante esperto vi vede in quello stato vi spedisce in una capanna nella foresta con l’ordine di non avvicinare nessuno!
Una volta ci sono passato anch’io, quando ero a Nong Khai un anno prima di conoscere Ajahn Chah. Me ne stavo seduto nella mia capanna convinto di aver raggiunto l’illuminazione. Sapevo tutto, capivo tutto. Ero al settimo cielo… peccato che non avessi nessuno con cui parlare. Non parlavo il tailandese perci non potevo importunare i monaci locali. Ma un giorno pass di l il console britannico di Vientiane e qualcuno lo port alla mia capanna… quella volta lo subissai davvero il poveretto! Se ne stava l con l’aria attonita, ed essendo inglese era anche molto, molto, molto educato, ogni volta che faceva il gesto di alzarsi e andarsene lo facevo rimettere seduto. Non potevo fermarmi, c’era questa valanga di energia tipo cascate del Niagara che veniva fuori e non c’era verso di arginarla. Alla fine il console riusc non so come a guadagnare l’uscita. Da allora, chiss perch, non l’ho pi rivisto…
Sicch, quando passiamo per esperienze del genere, importante rendersene conto. Se uno sa di che si tratta, non c’ pericolo. Siate pazienti, non datele credito e non vi ci adagiate. Avrete notato che i monaci buddhisti non se ne vanno in giro a raccontare quale ‘livello di illuminazione’ hanno raggiunto – semplicemente, non c’ niente da raccontare. Quando ci chiedono di insegnare, non parliamo della nostra illuminazione, ma delle Quattro Nobili Verit in quanto veicolo di illuminazione per loro. Al giorno d’oggi c’ una quantit di personaggi che dicono di essere illuminati, Buddha Maitreya o un qualche avatar, e tutti hanno schiere di seguaci. La gente disposta a crederci senza troppa difficolt! Ma il Buddha sottolineava l’importanza di riconoscere le cose cos come sono, invece di credere a quello che ci raccontano gli altri. La nostra una via di saggezza, nella quale esploriamo, indaghiamo, i limiti della mente. Constatatelo di persona: sabbe sankhara anicca, tutti i fenomeni condizionati sono impermanenti; sabbe dhamma anatta, tutte le cose sono non-io.
2.10 Vigilanza
Passiamo ora alla pratica della consapevolezza. La concentrazione consiste come abbiamo visto nel rivolgere l’attenzione a un determinato oggetto e nel mantenerla focalizzata su un punto (ad esempio il ritmo tranquillizzante della normale respirazione) finch ci si immedesima con quel segnale e la percezione di un soggetto e un oggetto separati sfuma. Nella meditazione vipassana, la consapevolezza ha invece a che vedere con una mente aperta. Non ci si concentra pi su un solo oggetto ma si osserva in profondit contemplando i fenomeni condizionati che vanno e vengono e il silenzio della mente vuota. Per far questo bisogna lasciare andare l’oggetto; non ci aggrappa a un oggetto particolare, ma si osserva che tutto ci che sorge svanisce.
Questa la meditazione di consapevolezza, o vipassana. Nella pratica che definisco ‘ascolto interiore’, si ascoltano i rumori che emergono nella mente – il desiderio, le paure, i contenuti repressi a cui non stato mai permesso di emergere pienamente alla coscienza. Adesso per, anche se affiorano pensieri ossessivi, timori o altre emozioni, siate disposti a farli emergere alla coscienza e a lasciarli cessare spontaneamente. Se non c’ nulla che viene e va, dimorate semplicemente nel vuoto, nel silenzio della mente. Potrete udire una vibrazione ad alta frequenza nella mente, che sempre presente e non un suono prodotto dall’orecchio. Quando lasciate andare le condizioni della mente potete rivolgere l’attenzione a quel suono. Ma riconoscete onestamente le vostre intenzioni. Quindi, se vi rivolgete al silenzio, al suono silenzioso della mente, spinti dall’avversione per le condizioni, state ancora una volta reprimendo, non un processo di purificazione. Se l’intenzione scorretta, anche se vi concentrate sul vuoto non avrete buoni risultati perch siete andati fuori strada. Non avete riflettuto saggiamente, non avete lasciato andare nulla, vi state solo ritraendo per avversione, come se uno dicesse: “Non voglio vedere” e si voltasse dall’altra parte.
Si tratta quindi di una pratica paziente in cui siamo disposti a tollerare ci che sembra intollerabile. E’ uno stato di vigilanza interiore, osservare, ascoltare, sperimentare. In questa pratica quello che conta la retta comprensione, pi che il vuoto, la forma o altre cose del genere. La retta comprensione nasce dall’aver visto che tutto ci che sorge passa; dall’aver visto che anche il vuoto non il s. Affermare di aver realizzato il vuoto come una specie di conquista, gi di per s un’intenzione scorretta, vi pare? Credere di essere qualcuno che ha ottenuto una certa realizzazione personale deriva dal senso dell’io. Perci non affermiamo nulla. Se c’ qualcosa in voi che desidera farlo, allora osservate questo come una condizione della mente.
Il suono del silenzio sempre presente, quindi potete usarlo come punto di riferimento, piuttosto che come fine a se stesso. Dunque una pratica molto sottile di osservazione e di ascolto, non un modo per reprimere le condizioni sull’onda dell’avversione. Poi in definitiva il vuoto piuttosto noioso. Siamo abituati a cose ben pi stimolanti. E comunque, per quanto tempo potete starvene seduti a osservare una mente vuota? Quindi rendetevi conto che la nostra pratica non consiste nell’attaccarsi alla quiete o al silenzio o al vuoto in quanto fine a se stessi, ma nell’usarli come un mezzo abile per poter essere ‘il conoscere’, essere svegli. Quando la mente vuota, osservate: la coscienza c’ ancora, ma non tendete pi a ‘rinascere’ in questa o quella condizione perch il senso dell’io assente. L’io si associa sempre all’attivit di cercare qualcosa o volersi liberare di qualcosa. Ascoltate l’io che dice: “Voglio raggiungere il samadhi, devo raggiungere il jhana”. E’ la voce dell’io: “Innanzitutto devo raggiungere il primo , o il secondo “. La solita idea prima che c’ qualcosa da raggiungere. Quando leggete gli insegnamenti dei vari maestri, cosa potete conoscere? Potete conoscere quando siete confusi, quando dubitate, quando provate avversione e sospetto. Potete conoscere che in quel momento siete il conoscere, invece di decidere quale maestro fa al caso vostro.
Praticare metta significa esprimere gentilezza attraverso la capacit di tollerare ci che potrebbe sembrarci intollerabile. Se la mente ossessionata e non la smette pi di ciarlare e lamentarsi, se il vostro unico desiderio sbarazzarvi di quella ossessione, pi vi sforzate di reprimerla e sbarazzarvene peggio . A volte la smette, e allora: “E’ finita, me ne sono liberato”. Ma poi ricomincia: “Oh no! Credevo che fosse finita!” Perci, dovesse pure smettere e ricominciare mille volte, prendetela come viene. Con l’atteggiamento di chi fa un passo alla volta. Quando vi mettete nell’ordine di idee di avere tutta la pazienza del mondo per stare con le condizioni del momento, potete lasciarle cessare. Il risultato del permettere alle cose di cessare che si comincia a sperimentare un senso di liberazione, perch ci si rende conto di non portarsi pi appresso le solite cose.
Quello che un tempo vi faceva arrabbiare, ora, con vostra sorpresa, non vi infastidisce pi di tanto. Cominciate a sentirvi a vostro agio in situazioni che prima vi mettevano regolarmente a disagio, perch adesso permettete alle cose di cessare, invece di tenervele strette ricreando cos paure e ansie. Anche il disagio degli altri non vi influenza. Non reagite pi al disagio degli altri irrigidendovi a vostra volta. E’ l’effetto del lasciar andare e consentire alle cose di cessare. Dunque l’idea generale conservare questo stato di vigilanza interiore, notando i contenuti che tendono a emergere ossessivamente. Se tendono a ripresentarsi puntualmente, segno evidente di attaccamento – nella forma di avversione o di infatuazione. Quindi potete cominciare a prendere coscienza dell’attaccamento, invece di tentare di eliminarlo. Una volta che l’avete capito e siete in grado lasciar andare potete rivolgervi al silenzio della mente, perch non ha senso fare altro. Non ha senso afferrarsi o aggrapparsi alle condizioni pi del necessario. Lasciatele cessare. Quando reagiamo ai contenuti che emergono, inneschiamo un circolo vizioso abituale. Un’abitudine qualcosa di circolare che tende a perpetuarsi, che non ha modo di cessare. Ma se mollate la presa e lasciate le cose a se stesse, quello che sorge cessa. Non diventa un circolo vizioso.
Dunque il vuoto non sbarazzarsi di tutto; non un annullamento totale ma infinita potenzialit creativa che appare e scompare senza che voi ne restiate ingannati. L’idea di me stesso in quanto creatore, dei miei talenti artistici, della mia espressione personale, una fissazione incredibilmente egocentrica, vi pare? “Ecco cosa ho fatto, opera mia”. E gli altri: “Ma che talento straordinario, un vero genio!”. Eppure tanta della cosiddetta arte creativa non che il rigurgito delle paure e dei desideri dell’autore. Non veramente creativa; riproduttiva. Non scaturisce da una mente vuota, ma da un io che non ha un reale messaggio da dare se non il suo contenuto di morte e di egoismo. In una prospettiva universale il suo unico messaggio : “Guardatemi!”, in quando persona, in quanto ‘io’. Eppure la mente vuota ha un infinito potenziale creativo. Non si pensa di creare nulla; ma la creazione pu avvenire senza ‘io’ e senza nessuno che la faccia: accade.
Dunque lasciamo la creazione al Dhamma, invece di assumercene la paternit. L’unico compito che ci spetta, la sola necessit per noi – sul piano convenzionale, come esseri umani, come persone – lasciar andare, non attaccarci. Mollare la presa. Fare il bene, non fare il male, essere consapevoli. Un messaggio molto semplice.
3. IN CONCLUSIONE
3.1 Nel mondo c’è bisogno di saggezza
Siamo qui accomunati da un unico interesse. Invece di essere un gruppo di individui in cui ciascuno segue le proprie opinioni e i propri punti di vista, stasera ci ritroviamo qui motivati dal comune interesse per la pratica del Dhamma. Quando un cos gran numero di persone si trova riunito una domenica sera, si comincia a intravedere il potenziale insito nell’esistenza umana, una societ basata sul comune interesse per la verit. Nel Dhamma ci uniamo. Ci che sorge passa, e ci che resta pace. Sicch, quando cominciamo ad abbandonare le abitudini e l’attaccamento ai fenomeni condizionati cominciamo a riconoscere l’interezza e l’unit della mente.
E’ una riflessione molto importante per l’epoca in cui viviamo, cos segnata dai conflitti e dalle guerre che nascono quando non si riesce ad andare d’accordo su nulla. I Cinesi contro i Russi, gli Americani contro i Sovietici, e via di questo passo. Perch? Qual’ il motivo del contrasto? Sono le rispettive percezioni del mondo. “Questa la mia terra e la voglio cos. Voglio questa forma di governo e questo sistema politico ed economico”, e via di questo passo. Finch si arriva all’assassinio e alla tortura e perfino ad annientare il paese che vorremmo liberare, a schiavizzare o manipolare il popolo che vorremmo libero. Perch? Perch non comprendiamo la vera natura delle cose.
La via del Dhamma consiste nell’osservare la natura e armonizzare la nostra vita con le forze naturali. Nella civilt europea siamo ben lontani dal guardare il mondo in questi termini. Lo abbiamo idealizzato. Se tutto andasse secondo i nostri ideali, dovrebbe essere in un certo modo. E quando ci attacchiamo agli ideali finiamo col fare quello che abbiamo fatto al nostro pianeta, contaminato e trascinato sull’orlo della distruzione totale perch non comprendiamo i limiti che ci impone la vita sulla terra. Sicch, da questo punto di vista, a volte ci tocca imparare la dura lezione facendo errori e combinando un sacco di guai. Auspicabilmente, non una situazione irreparabile.
Ora, in questo monastero i monaci e le monache praticano il Dhamma con diligenza. Per tutto il mese di gennaio non parliamo neppure, ma dedichiamo le nostre vite e offriamo i meriti della nostra pratica per il bene di tutti gli esseri senzienti. L’intero mese una preghiera incessante, un’offerta di questa comunit per il bene di tutti gli esseri senzienti.
E’ un periodo interamente dedicato alla ricerca della verit, a osservare e ascoltare e guardare le cose cos come sono; un periodo in cui ci si astiene dall’indulgere alle abitudini e agli stati d’animo egocentrici, rinunciando a tutto questo per il bene degli esseri viventi. E’ una testimonianza offerta a tutti perch riflettano sulla dedizione e il sacrificio che il cammino verso la verit comportano. E’ un invito a realizzare la verit nella propria vita, invece di vivere in modo meccanico e abitudinario assecondando le condizioni del momento. E’ una riflessione per gli altri. Abbandonare i comportamenti immorali, egoistici o violenti per essere persone che aspirano alla virt, alla generosit, alla moralit e all’azione compassionevole nel mondo. Se non facciamo questo, allora la nostra situazione assolutamente senza speranza. Tanto varrebbe che facessero saltare per aria tutto, perch se nessuno disposto a usare la propria vita per qualcosa di pi che il proprio egoismo, tutto inutile.
Questo paese un paese generoso e benevolo, ma noi lo diamo per scontato e lo sfruttiamo per quel che ne possiamo ricavare. Non pensiamo granch a quel che potremmo offrirgli. Esigiamo molto, vogliamo che il governo ci risolva tutti i problemi salvo poi criticarlo se non ci riesce. Ai nostri giorni vediamo individui egoisti che vivono a modo loro, senza riflettere saggiamente e adottare uno stile di vita vantaggioso per la collettivit nel suo insieme. In quanto esseri umani possiamo fare della nostra vita una grande benedizione, o diventare un cancro del pianeta, sfruttando le risorse della terra per il nostro personale guadagno e accaparrando il pi possibile per ‘me’ e per il ‘mio’.
Nella pratica del Dhamma il senso del me e del mio comincia a sbiadire – quel senso dell’io-mio in quanto piccola creatura seduta qui che ha una bocca e deve mangiare. Se non faccio altro che seguire i desideri del mio corpo e le mie emozioni, non sar che una piccola creatura avida ed egoista. Ma quando rifletto sulla natura della mia condizione fisica e su come pu essere usata abilmente in questo spazio di vita per il bene di tutti, allora questo stesso essere diventa una benedizione. (Ma non che si pensa “sono una benedizione”; attaccarsi all’idea di essere una benedizione un’altra forma di orgoglio!). Sicch si tratta di vivere giorno per giorno in modo da esprimere gioia, compassione, gentilezza attraverso la propria vita, o quanto meno in modo tale da non causare inutile confusione e dolore. Il minimo che possiamo fare osservare i cinque precetti (vedere nota sull’ultima pagina) affinch il nostro corpo e le nostre parole non divengano strumento di violenza, crudelt e sfruttamento nei confronti del pianeta.
Vi sto forse chiedendo troppo? E’ irrealistico rinunciare a fare semplicemente quel che mi pare al momento allo scopo di essere almeno un pochino pi attento e responsabile in ci che faccio e che dico? Tutti possiamo cercare di essere d’aiuto, essere generosi e gentili e rispettosi nei confronti degli altri esseri con cui ci troviamo a condividere il pianeta. Tutti possiamo interrogarci con saggezza per arrivare a comprendere le limitazioni a cui siamo sottoposti, in modo da non farci pi ingannare dal mondo sensoriale. Ecco perch meditiamo. Per un monaco o una monaca uno stile di vita, un sacrificio dei nostri desideri e capricci particolari per il bene della comunit, del Sangha.
Se mi metto a pensare a me stesso e a cosa voglio io, facile che mi dimentichi di voi, perch ci che voglio io in un dato momento pu non andare bene per tutti quanti gli altri. Ma quando prendo come guida il mio rifugio nel Sangha, allora il benessere del Sangha la mia gioia e posso rinunciare ai miei capricci per il bene del Sangha. Ecco perch i monaci e le monache si rasano la testa e vivono sotto la disciplina stabilita dal Buddha. E’ un modo per educarsi al lasciare andare l’io come modo di vivere: un modo di vivere in cui vergogna, senso di colpa e paura non hanno pi ragione di essere. Si perde la sensazione di un’individualit aggressiva, perch non si pi tesi a considerarsi indipendenti dal resto o a dominare, ma a vivere in armonia per il bene di tutti gli esseri, piuttosto che per il proprio bene.
La comunit dei laici ha l’opportunit di partecipare a questo. I monaci e le monache dipendono dai laici per il loro sostentamento, quindi importante per la comunit dei laici assumersene la responsabilit. E’ un modo di uscire dai vostri problemi e dalle vostre preoccupazioni particolari, perch quando vi date il tempo di venire qui per donare, per aiutare, per praticare la meditazione e ascoltare il Dhamma, ci ritroviamo insieme nell’unit della verit. Possiamo essere qui insieme senza invidia, gelosia, paura, dubbio, avidit o desiderio grazie alla nostra inclinazione verso la ricerca della verit. Fate che sia questa l’intenzione portante della vostra vita, non sprecatela inseguendo mete senza valore!
Questa verit si pu chiamare in molti modi. Le religioni si sforzano di comunicarla con certi mezzi – attraverso concetti e dottrine – ma noi abbiamo dimenticato che cos’ la religione. In questi ultimi secoli la nostra societ ha visto il predominio della scienza materialistica, del pensiero razionale e dell’idealismo basato sulla nostra capacit di concepire sistemi economici e politici; eppure non riusciamo a farli funzionare, vero? Non riusciamo a creare una vera democrazia, o una vero comunismo o un vero socialismo – non riusciamo a crearli perch siamo ancora illusi dal senso dell’io. Perci tutto naufraga nelle tirannide e nell’egoismo, nella paura e nel sospetto. Sicch l’attuale situazione mondiale il risultato del non aver compreso la realt delle cose, e d’altro canto un’occasione per ciascuno di noi, se veramente interessato a capire cosa si pu fare, per fare della propria vota qualcosa che ha valore. Ora, in che modo possiamo farlo?
Per prima cosa bisogna prendere atto delle motivazioni egocentriche e dell’autoindulgenza dovuta all’immaturit emotiva, per poterle conoscere ed essere in grado di lasciarle andare; aprire la mente alle cose cos come sono, essere vigili. La nostra pratica di anapanasati un inizio, no? Non un’ennesima abitudine o un passatempo che coltiviamo per tenerci occupati, ma un mezzo per sforzarci di osservare, di concentrarci ed essere con la realt del respiro. In alternativa si potrebbe passare un sacco di tempo davanti alla televisione, al bar o impegnati in attivit non molto salutari – in un certo senso sembra pi importante che passare del tempo stando seduti a osservare il respiro, vero?
Guardate la tv e vedete delle persone assassinate in Libano – sembra pi importante che stare semplicemente seduti a guardare un’inspirazione e un’espirazione. Ma questa la mente che non comprende la realt del cose; per cui siamo disposti a guardare delle ombre sullo schermo e la miseria che passa attraverso uno schermo televisivo, il dramma dell’avidit, dell’odio e della stupidit che si perpetua nei modi pi inaccettabili. Non sarebbe molto pi sano dedicare quel tempo a essere in contatto con il corpo cos com’ adesso? Sarebbe meglio nutrire rispetto per questo essere fisico qui, e imparare a non sfruttarlo, a non abusarne, per poi prendercela con lui quando non ci d la felicit desiderata.
In monastero non abbiamo il televisore perch dedichiamo la nostra vita a fare cose pi utili, come osservare il nostro respiro e camminare avanti e indietro su un sentiero nella foresta. I vicini pensano che siamo matti. Tutti i giorni vedono uscire gente avvolta in coperte che cammina su e gi. “Ma che fanno? Saranno mica matti!” Un paio di settimane fa c’ stata una caccia alla volpe qui da noi. Mute di cani sguinzagliati dietro le volpi della nostra foresta (cosa veramente utile e benefica per tutti gli esseri senzienti!). Sessanta cani e tutti quegli adulti alle calcagna di una povera volpicella! Ma non sarebbe meglio passare il tempo a passeggiare avanti e indietro per la foresta? Meglio per la volpe, per i cani, per Hammer Wood e per i cacciatori. Ma nel West Sussex si pensa che sia normale. Loro sono i normali e noi i pazzi.
Quando osserviamo il nostro respiro e camminiamo avanti e indietro per la foresta, se non altro non terrorizziamo le volpi! Come vi sentireste voi ad essere inseguiti da sessanta cani? Immaginate in che stato sarebbe il vostro cuore se aveste sessanta cani alla calcagna e della gente a cavallo che ve li aizza contro! E’ una cosa molto brutta, se appena appena ci si pensa. Eppure da queste parti lo si considera normale, o perfino desiderabile. Dato che non ci si d la pena di riflettere, si pu diventare vittime dell’abitudine, schiavi del desiderio e delle abitudini. Se analizzassimo in cosa consiste effettivamente la caccia alla volpe, ce ne asterremmo. Chiunque abbia un minimo di intelligenza e consideri seriamente la questione non sente il desiderio di farlo. Invece, cose semplici come camminare su e gi per un sentiero e osservare il respiro ci permettono di cominciare a essere pi consapevoli e molto pi sensibili. La verit comincia a rivelarcisi attraverso queste nostre pratiche semplici e apparentemente insignificanti. Come del resto avviene quando osserviamo i cinque precetti, che una fonte di felicit per il mondo.
Quando cominciate a riflettere sulla realt delle cose e ripensate a una circostanza in cui la vostra vita stata seriamente in pericolo, sapete quanto sia orribile. E’ un’esperienza assolutamente spaventosa. Chi ha avuto modo di rifletterci, non ha la minima voglia di sottoporre intenzionalmente un’altra creatura alla stessa esperienza. In nessuna circostanza potrebbe far patire a un altro un simile terrore. Diversamente, penserete che le volpi non hanno importanza, o che i pesci non hanno importanza.
Esistono solo per il mio piacere, un passatempo per la domenica pomeriggio. Ricordo una donna che venne a trovarmi ed era molto seccata che fossimo noi i nuovi proprietari del laghetto di Hammer Wood. Diceva: “Vede, che mi rilassa tanto; non vengo qui per pescare, solo perch stare qui mi rilassa”. Andava a pesca tutte le domeniche solo per rilassarsi. A me pareva in buona salute, perfino un po’ rotondetta, non faceva certo la fame. Non aveva bisogno di pescare per vivere. Le risposi: “Be’, allora potrebbe – dato che non ha bisogno di pescare per vivere, ha abbastanza soldi, spero, per comprarsi il pesce – quando compreremo il lago potrebbe venire qui a meditare. Non necessario pescare”. Ma lei non voleva meditare! Pass a lamentarsi dei conigli che le mangiavano i cavoli, per cui aveva dovuto ricorrere a ogni sorta di trappole mortali per dissuaderli. Questa donna non riflette mai su nulla. Lesina i cavoli ai conigli, ma lei pu benissimo comprarseli al mercato. I conigli no. I conigli devono arrangiarsi a mangiare i cavoli di qualcun altro. Per lei non si mai aperta a considerare la realt delle cose, o ci che veramente gentile e benevolo. Non direi che una persona crudele o insensibile, solo una borghese ignorante che non ha mai riflettuto sulla natura o compreso il modo di essere del Dhamma. Quindi lei crede che i cavoli siano l per lei e non per i conigli, e che i pesci esistano solo perch lei possa trascorrere una domenica tranquilla divertendosi a torturarli.
Ora, questa capacit di riflettere e osservare esattamente ci che intende il Buddha quando parla di liberarsi dalla cieca dipendenza dalle abitudini e dalle convenzioni. E’ una via per liberare il nostro essere dall’illusione della condizione sensoriale, attraverso la saggia riflessione sulle cose cos come sono. Cominciamo a osservare noi stessi, il desiderio o l’avversione, l’opacit o l’ottusit della mente. Non facciamo preferenze, non cerchiamo di creare le condizioni ottimali per il nostro piacere personale, ma siamo disposti a tollerare anche le situazioni pi spiacevoli o dolorose allo scopo di comprenderle per quelle che sono, ed essere in grado di lasciar andare.
Cominciamo a liberarci dalla tendenza a fuggire da ci che non ci piace. Cominciamo anche a essere molto pi attenti a come viviamo. Quando si vedono i fatti con chiarezza, viene proprio voglia di essere molto, molto scrupolosi in ci che si fa e si dice. Non si ha nessuna intenzione di vivere alle spese di altre creature. Non si pensa che la propria vita sia molto pi importante della vita di chiunque altro. Si comincia a percepire la libert e la leggerezza del vivere in armonia con la natura, al posto della pesantezza dello sfruttare la natura per il proprio tornaconto. Quando aprite la mente alla verit, vi accorgete che non c’ nulla da temere. Ci che sorge passa, ci che nasce muore e non il s; quindi la sensazione di essere prigionieri dell’identificazione con questo corpo umano sfuma. Non ci vediamo come entit isolate e alienate sperdute in un universo misterioso e inquietante. Non ci sentiamo pi sopraffatti, alla ricerca di un angolino a cui aggrapparci per sentirci sicuri, perch siamo in pace con l’universo. Siamo tutt’uno con la verit.
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