Corso di Meditazione Vipassana 7
S.N. GOENKA
< I DISCORSI >
(parte settima)
(Questi discorsi, tenuti da S.N. Goenka durante un
corso di meditazione Vipassana, sono stati riassunti e
curati da William Hart)
DISCORSO DEL SETTIMO GIORNO
Importanza dell’equanimità sia verso le
sensazioni più sottili che verso quelle più forti –
continuità della consapevolezza – i cinque
“amici”: fede, sforzo, consapevolezza,
concentrazione, saggezza.
Sono passati sette giorni, e dovrete ancora lavorare per
altri tre. Fatene il miglior uso possibile, lavorando con
energia e costanza, e cercando di capire bene la pratica.
Due sono gli aspetti di questa tecnica: consapevolezza
ed equanimità. Va sviluppata la consapevolezza di ogni
sensazione che si manifesta all’interno della struttura fisica
e, contemporaneamente, l’equanimità verso di essa.
Se rimaniamo equanimi, prima o poi scopriremo certamente
che cominciano ad apparire sensazioni in zone
precedentemente inerti, e che le sensazioni grossolane,
solidificate e spiacevoli cominciano a dissolversi in
vibrazioni sottili. Cominciamo a sperimentare un piacevolissimo
flusso di energia attraverso tutto il corpo.
Quando questo si verifica, c’è il pericolo che si scambi
questa gradevole esperienza per lo scopo finale a cui è
indirizzato tutto il nostro lavoro. In effetti, lo scopo della
pratica di Vipassana non è di sperimentare un certo tipo di
sensazioni, ma di acquisire l’equanimità verso tutte le
sensazioni. Le sensazioni, siano esse evidenti o appena
percepibili, cambiano continuamente. Il nostro progresso
su questo cammino si può misurare solo dal grado di
equanimità che si acquista verso di esse.
Anche dopo aver sperimentato un flusso spontaneo di
sensazioni sottili in tutto il corpo, può capitare che in
qualche punto sorga nuovamente una sensazione forte, o
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che vi sia una zona inerte. Questi sono segni di progresso,
non di regresso. Più crescono consapevolezza ed equanimità,
più si penetra naturalmente in profondità nella
parte inconscia della mente e si scoprono le impurità che
vi si annidano.
Fino a quando questi complessi rimangono
nel profondo dell’inconscio, essi sono destinati a produrre
infelicità. L’unico modo per eliminarli è permettere che
affiorino alla superficie della mente, per poi scomparire.
Quando saªkh±r± così profondamente radicati salgono in
superficie, vengono per la maggior parte accompagnati da
sensazioni sgradevoli e grossolane o da zone del corpo
insensibili. Se si continua ad osservare senza reagire, la
sensazione svanisce, e con essa il saªkh±ra di cui è
manifestazione.
Ogni sensazione, sia forte che leggera, ha la
caratteristica dell’impermanenza. Una sensazione forte si
manifesta, sembra durare per un certo tempo, ma prima o
poi se ne va; così quando sorge una sensazione leggera
essa scompare a grande velocità, ma anch’essa possiede la
stessa caratteristica della prima. Nessuna sensazione è
eterna; quindi non si dovrebbero avere preferenze o
pregiudizi verso alcuna sensazione. Sorge una sensazione
forte, sgradevole?
La si osserva senza scoraggiarsi. Ne
sorge una sottile, gradevole? La si accetta, la si gradisce
anche, ma senza attaccarcisi o diventare euforici. Occorre
in tutti i casi capire la natura impermanente di ogni
sensazione; allora si può anche sorriderne, sia quando
nasce che quando se ne va.
Per produrre un reale cambiamento di vita, l’equanimità
deve essere esercitata a livello di sensazioni fisiche. Ad
ogni istante nel corpo sorgono delle sensazioni. Generalmente
la mente conscia non ne è consapevole, ma
l’inconscio le sente e vi reagisce con desiderio od
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avversione. Se si allena la mente a divenire totalmente
consapevole di tutto ciò che avviene entro la struttura
fisica, mantenendo contemporaneamente l’equanimità, si
spezza la vecchia abitudine di reagire ciecamente. Si
impara allora a rimanere equanimi in ogni situazione, e
quindi a vivere una vita equilibrata e felice.
Siete qui per sperimentare direttamente la verità su voi
stessi, per capire il meccanismo di questo processo e la
ragione per cui produce sofferenza. Vi sono due aspetti del
fenomeno umano: materiale e mentale, corpo e mente.
Entrambi vanno osservati. Ma non è possibile avere
esperienza del proprio corpo se non si è consapevoli di ciò
che si manifesta nel corpo, cioè le sensazioni. Allo stesso
modo, non si può osservare la mente prescindendo da ciò
che essa contiene, cioè i pensieri. Ma più si penetra nella
verità di mente e materia, più diventa chiaro che tutto ciò
che sorge nella mente è accompagnato da una sensazione
fisica.
La sensazione è di fondamentale importanza per
sperimentare la realtà sia del corpo che della mente, ed è
inoltre il punto da cui iniziano le reazioni. Per poter
conoscere la verità di noi stessi e per smettere di generare
impurità mentali, è necessario essere consapevoli delle
sensazioni, rimanendo, per quanto possibile, ininterrottamente
equanimi.
Per questa ragione, nei rimanenti giorni di questo corso,
dovrete lavorare assiduamente, ad occhi chiusi, durante i
periodi di meditazione; ma dovrete cercare di mantenere
costante la consapevolezza e l’equanimità verso le
sensazioni anche durante i periodi di pausa. Fate tutte le
azioni quotidiane normalmente, sia che camminiate,
mangiate, beviate o vi laviate, e fatele a velocità normale.
Siate consapevoli dei movimenti e allo stesso tempo delle
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sensazioni in quelle parti del corpo che sono in moto, o in
qualsiasi altra parte. Rimanete consapevoli ed equanimi.
Anche quando andate a letto, la sera, chiudete gli occhi
ed osservate le sensazioni in qualsiasi parte del corpo. Se
vi addormentate con questa consapevolezza, al vostro
risveglio, il mattino dopo, sarete immediatamente in grado
di percepire, spontaneamente, le sensazioni.
Può anche succedere che non dormiate bene, o che addirittura
rimaniate completamente svegli durante la notte. Anche
questo va benissimo, purché rimaniate sdraiati nel letto e
manteniate la consapevolezza e l’equanimità. Il corpo avrà
il riposo che gli occorre, mentre per la mente non vi è
maggior riposo che rimanere consapevole ed equanime.
Ma se cominciate a preoccuparvi per la vostra insonnia, vi
creerete delle tensioni, ed il giorno dopo sarete esausti.
Non dovete però sforzarvi di rimanere svegli, restando
seduti tutta la notte: questa sì sarebbe un’esagerazione. Se
il sonno viene, allora dormite pure. Se non viene, lasciate
riposare il corpo rimanendo sdraiati, e date riposo alla
mente restando consapevoli ed equanimi.
Il Buddha disse: “Quando un meditatore pratica
con fervore, senza che in lui vengano meno, neppure
per un attimo, la consapevolezza e l’equanimità
verso le sensazioni, egli acquista, con la piena
comprensione dell’impermanenza delle sensazioni,
la vera saggezza”. Il meditatore capisce che è per
mancanza di saggezza che si reagisce alle sensazioni,
moltiplicando così le occasioni di sofferenza.
Egli comprende anche che chi ha penetrato il concetto
della transitorietà di tutte le sensazioni, non opporrà
reazione ad esse, e pertanto si libererà dalla sofferenza.
Infatti il Buddha continua: “Attraverso questa piena
comprensione, il meditatore può raggiungere lo
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stadio che è oltre la mente e la materia, cioè il
nibb±na”. Non si può sperimentare il nibb±na fino a che
non si siano eliminati i saªkh±r± più consistenti, quelli
che avrebbero portato ad una vita futura in uno stato
inferiore di esistenza, dove predomina la sofferenza.
Fortunatamente, sono proprio questi saªkh±r± che
vengono alla superficie per primi quando si comincia a
praticare Vipassana. Se si rimane equanimi, essi
svaniscono.
Quando tutti questi saªkh±r± sono sradicati,
come naturale conseguenza si comincia a sperimentare il
nibb±na. Dopo questa esperienza, si è totalmente
trasformati ed ormai incapaci di compiere azioni che
avrebbero portato, in futuro, a forme inferiori di esistenza.
A poco a poco si procede verso stadi superiori, fino a che
si sradicano tutti i saªkh±r± che avrebbero causato
un’esistenza successiva all’interno del mondo condizionato.
Si è allora completamente liberati, per cui il Buddha
conclude: “Chi ha compreso l’intera verità su mente
e materia, per il fatto che ha completamente
compreso le sensazioni, morendo andrà al di là del
mondo condizionato”.
Praticando per sviluppare la consapevolezza delle
sensazioni in tutto il corpo, voi avete fatto un piccolo
passo iniziale su questo sentiero. Se sarete attenti a non
reagire alle sensazioni, vedrete che, strato dopo strato, i
vecchi saªkh±r± saranno sradicati. Conservando l’equanimità
verso le sensazioni più forti e sgradevoli, a poco a
poco giungerete a sperimentare quelle più sottili e
piacevoli. E, continuando a mantenere l’equanimità,
raggiungerete, in tempi più o meno brevi, lo stadio
descritto dal Buddha, in cui il meditatore sperimenta
unicamente un nascere e svanire di sensazioni in tutto il
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corpo. A quel punto, tutte le sensazioni forti si sono
dissolte; nel corpo non vi sono che vibrazioni sottili.
Si tratta naturalmente di una fase molto felice; pur tuttavia,
questa fase non rappresenta la meta finale e non ci si deve
attaccare ad essa. Sono state sradicate alcune delle
impurità maggiori, ma altre ne rimangono nelle profondità
della mente. Se continuerete ad osservare con equanimità,
anche i saªkh±r± più profondamente radicati saliranno
alla superficie uno dopo l’altro, e scompariranno.
Una volta che essi sono stati tutti eliminati, allora si sperimenta
lo stato dell'”assenza di morte”, qualcosa che è al di là
della mente e della materia, in cui nulla nasce e perciò
nulla muore: l’indescrivibile stadio del nibb±na.
Per arrivare a questo stadio, raggiungibile da chiunque
lavori nel modo adatto a sviluppare consapevolezza ed
equanimità, ognuno deve contare sulle sue sole forze.
Come vi sono cinque nemici, od ostacoli, che possono
bloccare il vostro progresso sul sentiero, così vi sono
anche cinque amici, rappresentati da cinque sane facoltà
della mente, che vi aiutano e vi sostengono.
Se manterrete
questi amici forti e puri, nessun nemico potrà sopraffarvi.
Il primo amico è la fede, o devozione, o fiducia. Senza
fiducia non è possibile applicarsi, perché si è
continuamente agitati da dubbi e scetticismo.
Tuttavia la
fede, quando è cieca, diventa un grande nemico; ed essa
diventa cieca quando perde la capacità di saper
distinguere, perde la corretta comprensione di ciò che è la
devozione. Si può avere fede in una divinità o in una
persona santa, ma se si tratta di vera fede, correttamente
intesa, essa ci metterà in luce le buone qualità di quella
persona e ci stimolerà a svilupparle in noi stessi.
Una devozione del genere è utile e valida. Ma se non si cerca
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di sviluppare in sé le virtù della persona di cui si è devoti,
allora la nostra è fede cieca e perciò molto dannosa.
Per esempio, quando si dice che si prende rifugio nel
Buddha, si devono tener presenti le qualità di un Buddha,
e ci si deve applicare per svilupparle in sé.
La qualità essenziale di un Buddha è l’illuminazione; in realtà,
quindi, ci si rifugia nell’illuminazione, quella che si cerca
di sviluppare in sé. Si onora chiunque abbia raggiunto la
piena illuminazione, cioè si dà importanza a questa
qualità, ovunque si manifesti, indipendentemente dalla
persona o dal credo religioso. E si rende omaggio al
Buddha non con riti o cerimonie, ma mettendo in pratica i
suoi insegnamenti, seguendo il sentiero del Dhamma dal
primo passo, s²la, a sam±dhi, a paññ±, fino al nibb±na,
la totale liberazione.
Qualunque Buddha deve avere le seguenti qualità: ha
sradicato ogni desiderio, avversione ed ignoranza. Ha
sconfitto tutti i suoi nemici interiori, cioè tutte le impurità
mentali. È perfetto non solo nella teoria del Dhamma, ma
anche nell’applicarlo concretamente. Egli pratica ciò che
predica e predica ciò che pratica: non c’è divergenza tra
ciò che dice e ciò che fa. Ogni suo passo è giusto, e porta
nella giusta direzione. Esplorando il suo universo
interiore, egli ha imparato tutto sull’universo intero.
Egli
trabocca di amore e di compassione, di gioia partecipe
verso tutti, e continua ad aiutare chiunque vada fuori
strada a ritrovare il retto cammino. Egli è ricolmo di
perfetta equanimità. Queste sono le qualità che si deve
cercare di ricreare in noi stessi se vogliamo raggiungere la
meta finale; solo allora avrà senso dire che prendiamo
rifugio nel Buddha.
Analogamente, il prendere rifugio in Dhamma non ha
un significato settario; né si tratta di convertirsi da una
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religione ad un’altra. Prendere rifugio in Dhamma
significa in effetti rifugiarsi nella legge morale, nel
dominio della propria mente, nella saggezza. Per essere
Dhamma, un insegnamento deve avere certe qualità
specifiche.
Prima di tutto, deve essere esposto con
chiarezza, in modo che tutti lo capiscano. Non deve essere
immaginazione, ma una realtà che tutti possono vedere
con i loro occhi e sperimentare direttamente. Persino la
verità del nibb±na non deve essere accettata se prima non
la si è sperimentata. Il Dhamma deve dare risultati positivi
qui ed ora, non promettere semplicemente dei benefici
futuri. È un invito a provare personalmente, non ad
accettare ciecamente. Se lo si è verificato e si sono
sperimentati i suoi benefici, non saremo spinti, a nostra
volta, ad incoraggiare ed ad aiutare gli altri a “venire a
vedere”.
Ogni passo su questo sentiero ci avvicina al traguardo;
nessun sforzo va perduto. Dhamma dà i suoi frutti
all’inizio, a metà, alla fine del sentiero. Infine, ogni
persona di intelligenza normale, qualunque sia la sua
cultura, può praticarlo e trarne benefici. La devozione di
chi prende rifugio nel Dhamma, e comincia a praticarlo,
ha senso solo se si conosce la sua vera natura.
Anche il cercare rifugio nel Saªgha non vuol dire farsi
adepti di qualche setta. Chiunque abbia camminato sul
sentiero di s²la, sam±dhi e paññ±, e abbia raggiunto
almeno il primo stadio della liberazione, cioè sia diventato
una persona santa, appartiene al Saªgha. Può essere un
uomo od una donna di qualsiasi aspetto, colore e cultura:
questi particolari non hanno importanza. Se la presenza di
una tale persona ci ispira e ci spinge a raggiungere il suo
stesso scopo, allora il nostro rifugiarci nel Saªgha acquista
il significato di vera devozione.
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Il secondo amico è lo sforzo. Come la fede, esso non
deve essere cieco, altrimenti vi è il rischio di lavorare in
modo sbagliato, senza ottenere i risultati sperati. Lo sforzo
deve essere accompagnato da una comprensione corretta
di ciò che va fatto; solo allora sarà utile al nostro
progresso.
Un altro amico è la consapevolezza. Si può essere
consapevoli solo della realtà del momento presente. Non
si può essere consapevoli del passato: lo si può solo
ricordare. Non si può essere consapevoli del futuro:
possiamo solo nutrire aspirazioni e paure nei suoi
confronti. Occorre sviluppare la capacità di essere
consapevoli della realtà, così come si manifesta all’interno
di noi stessi, nel momento presente.
Consideriamo ora un altro amico, la concentrazione,
che aiuta a mantenere la consapevolezza momento dopo
momento, senza interruzioni. Deve essere libera da
fantasie, desideri ed avversioni: solo in quel caso è giusta
concentrazione.
E il quinto amico è la saggezza; non la saggezza
acquisita ascoltando discorsi, leggendo libri o attraverso
analisi intellettuali; la saggezza deve manifestarsi
all’interno di noi stessi, a livello di esperienza, poiché solo
una saggezza
basata sull’esperienza può portare alla
liberazione.
E, per essere vera saggezza, deve fondarsi
sulle sensazioni fisiche, osservate con equanimità,
comprendendone la natura impermanente. Questa
equanimità raggiunge le profondità della mente, e ci
permette di rimanere equilibrati pur tra le mille
vicissitudini della vita quotidiana.
L’intera pratica di Vipassana ha lo scopo di farci vivere
nella maniera giusta, affrontando le nostre responsabilità
con mente equilibrata, coltivando la pace e la felicità
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dentro di noi e aiutando gli altri a vivere in pace e felici.
Se rafforzerete i vostri cinque amici, diventerete perfetti
nell’arte di vivere, e condurrete una vita felice, sana e
buona.
Procedete dunque sul sentiero di Dhamma, per il vostro
bene e per il vantaggio di tanti altri.
Che tutti quelli che soffrono possano venire in contatto
con il puro Dhamma, per liberarsi dalla sofferenza e
godere della vera felicità.
Che tutti gli esseri siano felici !
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