Corso di Meditazione Vipassana 8

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Corso di Meditazione Vipassana 8

S.N. GOENKA
< I DISCORSI >
(parte ottava)

(Questi discorsi, tenuti da S.N. Goenka durante un
corso di meditazione Vipassana, sono stati riassunti e
curati da William Hart)

DISCORSO DELL’OTTAVO GIORNO

La legge della moltiplicazione ed il suo contrario,
la legge dell’eliminazione – l’equanimità è il bene
maggiore- l’equanimità rende possibile una vita
di vera azione – rimanendo equanimi, ci si
garantisce un futuro felice.

Sono passati otto giorni; ve ne rimangono due per
lavorare. In questi giorni, procurate di capire bene la
tecnica, in modo da praticarla correttamente qui e poterla
usare anche nella vostra vita quotidiana. Cercate di
comprendere cos’è il Dhamma: natura, verità, legge
universale. Da una parte c’è un processo di costante
moltiplicazione. Dall’altra vi é un processo di eliminazione.
Tutto ciò è spiegato in poche parole:

“Veramente impermanenti sono le cose
condizionate, che per natura sorgono e si
dissolvono. Se quando sorgono si lascia che
vadano ad estinzime, la loro eliminazione
porta alla vera felicità.”

Tutti i saªkh±r±, tutti i condizionamenti mentali sono
impermanenti, in quanto, per natura, appaiono e poi si
dissolvono. Scompaiono, ma per rinascere il momento
successivo, ininterrottamente; è così che si moltiplicano i
saªkh±r±. Se però in noi nasce la saggezza, e si comincia
ad osservare oggettivamente, il processo di moltiplicazione
si arresta ed inizia quello di eliminazione.

Si manifesta un saªkh±ra, ma il meditatore rimane
equanime; il saªkh±ra perde tutta la sua forza, e viene
sradicato. Se si rimane equanimi, i vecchi saªkh±r±

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emergono e vengono sradicati, strato dopo strato. E più
saªkh±r± vengono sradicati, più è la felicità di cui si
gode; è la felicità di chi si libera dalla sofferenza.
Se tutti i saªkh±r± del passato sono eliminati, si
sperimenta la felicità senza limiti della completa
liberazione. La vecchia abitudine della mente è quella di
reagire e di moltiplicare le reazioni. Accade qualcosa che
non si vorrebbe, ed ecco che generiamo un saªkh±ra di
avversione.

Il saªkh±ra si manifesta nella mente ed è
accompagnato da una sensazione fisica spiacevole. Il
momento successivo, sempre a causa della vecchia
abitudine di reagire, si produce un altro moto di
avversione, diretto proprio verso la sensazione fisica
spiacevole. Lo stimolo esterno dell’ira è secondario: la
reazione, infatti, è nei confronti della sensazione interna.
La sensazione spiacevole causa una reazione di
avversione, che a sua volta genera un’altra sensazione
spiacevole, che di nuovo causa una reazione: così si
instaura il processo di moltiplicazione.

Se non reagiamo alla sensazione ma, comprendendone
appieno la natura impermanente, la guardiamo sorridendo,
allora non genereremo nuovi saªkh±r±, ed il saªkh±ra
che si è manifestato sparirà senza moltiplicarsi. Un attimo
dopo sorgerà dalle profondità della mente un altro
saªkh±ra dello stesso tipo; si resta equanimi, e quello
svanisce. Subito dopo ne nascerà un altro, che la nostra
equanimità dissolverà.

È iniziato il processo di eliminazione. Gli stessi
processi che osserviamo in noi stessi avvengono nell’intero
universo. Facciamo l’esempio del seme di un albero
tropicale, il baniano, che qualcuno ha seminato. Da quel
piccolo seme si sviluppa un albero grandissimo che, per
tutto il corso della vita, anno dopo anno, dà innumerevoli

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frutti. E il processo continua persino dopo la morte
dell’albero, perché ogni suo frutto contiene uno o più semi
che hanno la stessa natura del seme originario e che,
cadendo su un suolo fertile, germinano e crescono, dando
luogo ad altri alberi, che, a loro volta, produrranno
migliaia di frutti, contenenti tutti dei semi. Frutti e semi,
semi e frutti, il processo di moltiplicazione è senza fine.

Allo stesso modo, per ignoranza, si pianta il seme di un
saªkh±ra che, presto o tardi, darà un frutto anch’esso
chiamato saªkh±ra, contenente un seme esattamente
dello stesso tipo. Se il seme cadrà su un suolo fertile,
germoglierà in un nuovo saªkh±ra, e la nostra infelicità
verrà moltiplicata. Ma se si getta il seme su un suolo
roccioso, esso non può germogliare: da esso non nascerà
nulla. Allora il processo di moltiplicazione si arresta ed
automaticamente comincia il processo inverso, quello di
eliminazione.

Cercate di capire come tutto questo avvenga. Abbiamo
detto che il flusso della vita mente e materia ha
bisogno di un impulso, per continuare a scorrere.

L’impulso del corpo è il cibo che si ingerisce e l’atmosfera
in cui si vive. Se per un giorno non si mangia, il flusso
della materia non si arresta subito: continua a scorrere,
consumando le riserve di energia contenute nel corpo.

Quando tutte le energie accumulate finiscono, solo allora
cessa il flusso, ed il corpo muore. Il corpo necessita di
cibo solo due o tre volte al giorno, ma il flusso mentale ha
bisogno di essere continuamente alimentato. L’impulso
mentale è il saªkh±ra. Il saªkh±ra che generiamo ogni
attimo serve a mantenere il flusso della coscienza; lo stato
mentale che si manifesta l’attimo successivo è un prodotto
di questo saªkh±ra.

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Il flusso della coscienza continua perché ogni attimo
gli si fornisce un impulso di saªkh±r±. Se, in qualsiasi
momento, si cessa di generare nuovi saªkh±r±, il flusso
non si arresta di colpo: esso si rifornisce dalle riserve di
vecchi saªkh±r±.

Un saªkh±ra del passato sarà costretto
a dare il suo frutto, cioè ad affiorare alla superficie della
mente per poter mantenere il flusso; e si manifesterà
attraverso una sensazione fisica. Se si reagisce a questa
sensazione, si ricomincia a produrre altri saªkh±r±,
piantando nuovi semi di sofferenza. Ma se invece si
osserva la sensazione con equanimità, il saªkh±ra perde
la sua forza e viene sradicato.

Il momento seguente un
altro vecchio saªkh±ra deve venire alla superficie per
sostenere il flusso mentale. Di nuovo non si reagisce, e di
nuovo esso viene sradicato. Fintanto che si rimane
consapevoli ed equanimi, strati su strati di vecchi
saªkh±r± verranno alla superficie e saranno eliminati: si
tratta di una legge di natura.

Questo processo va sperimentato personalmente,
praticando la tecnica. Quando si constata che le proprie
vecchie abitudini e le sofferenze del passato sono state
eliminate, allora si capisce che il processo funziona.
Una tecnica analoga esiste nell’odierna metallurgia. Per
affinare ulteriormente alcuni metalli, al fine di renderli
purissimi, è necessario eliminare anche la più piccola
molecola estranea. E lo si fa fondendo il metallo in forma
di barra, e facendo poi un anello dello stesso metallo, già
precedentemente affinato fino alla purezza voluta.

L’anello, passato sopra alla barra, genera un magnetismo
che automaticamente fa uscire le eventuali impurità dalle
estremità della barra stessa. Contemporaneamente, tutte le
molecole della barra metallica si riordinano ed essa
diventa flessibile, malleabile, facile da lavorare. La tecnica

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di Vipassana si può paragonare ad un anello di pura
consapevolezza che, passando sulla nostra struttura fisica,
ne elimina tutte le impurità, con gli stessi benefici risultati.
Consapevolezza ed equanimità condurranno alla
purificazione della mente.

Tutto ciò che si sperimenta
durante il cammino, sia esso piacevole o spiacevole, non
ha importanza. L’importante è non reagire con desiderio o
con avversione, poiché questi non producono altro che
sofferenza.

L’unico metro su cui misurare il nostro
progresso sul sentiero è il grado di equanimità a cui siamo
pervenuti. E, se si vuole andare alle massime profondità
della mente e sradicarne tutte le impurità, occorre
l’equanimità nei confronti delle sensazioni fisiche. Se si
impara ad essere consapevoli delle sensazioni ed a
rimanere equanimi verso di esse, si potrà, con altrettanta
facilità, mantenersi equilibrati nelle situazioni esterne.

Una volta fu chiesto al Buddha quale fosse il vero bene.

Egli rispose che il bene supremo consiste nel mantenere
l’equilibrio della mente malgrado le vicissitudini e gli alti
e bassi della vita. Ci si può trovare di fronte a situazioni
piacevoli o dolorose, vittorie o sconfitte, guadagni o
perdite, alla stima o alla disistima altrui: tutti ci
imbattiamo, immancabilmente, in queste cose. Ma chi sa
sorridere, sorridere con tutto il cuore, in qualsiasi
situazione? Solo chi possiede questo tipo di equanimità
nel più profondo di se stesso, ha la vera felicità. Ma se
l’equanimità è solo superficiale, non sarà di nessun aiuto
nella vita quotidiana.

È come se ognuno di noi si portasse dentro un serbatoio
di gasolio o di benzina. Se vi cade una scintilla, frutto di
una reazione passata, immediatamente avviene una
tremenda esplosione, che produce milioni di altre scintille,

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di altri saªkh±r±, destinati ad aumentare il fuoco, ad
accrescere la sofferenza nel futuro.

Con la pratica di Vipassana a poco a poco si svuota il
serbatoio. Arriveranno ancora scintille, risultato dei
passati saªkh±r±, ma esse bruceranno soltanto il
combustibile che portano con sé; non verranno
ulteriormente alimentate. Una volta consumato il
combustibile che contengono, si estingueranno. In seguito,
procedendo lungo il cammino, si impara a generare
l’acqua fresca dell’amore e della compassione, e il
serbatoio si riempie di quest’acqua. Allora le scintille
vengono estinte al loro sorgere. Non sono neanche più in
grado di bruciare la piccola quantità di combustibile che
contengono.

Tutto questo è perfettamente comprensibile a livello
intellettuale e si sa benissimo che, in caso d’incendio, si
dovrebbe avere un estintore a portata di mano. Ma quando
l’incendio scoppia veramente, si ricorre alla pompa della
benzina, provocando un’esplosione. In seguito ci si rende
conto dello sbaglio, ma lo si ripete quando scoppia
l’incendio successivo, poiché la saggezza che si possiede è
solo superficiale.

Se si fosse realmente saggi nelle
profondità della mente, non si getterebbe benzina sul
fuoco, poiché si sarebbe coscienti del rischio che si corre.
Si getterebbe invece l’acqua fresca dell’amore e della
compassione, aiutando in tal modo se stessi e gli altri.
La saggezza deve partire dalle sensazioni. Se vi
esercitate ad essere consapevoli delle sensazioni in
qualsiasi situazione, ed a rimanere equanimi verso di esse,
niente potrà sopraffarvi. È sufficiente osservare senza
reagire per alcuni istanti; avendo così equilibrato la mente,
si può decidere quale azione intraprendere. Sarà

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certamente un’azione giusta, positiva, utile agli altri,
poiché la si compie con una mente equilibrata.
A volte, nella vita, è necessario agire in maniera
energica.

Si è cercato di convincere qualcuno con
gentilezza, con cortesia e con il sorriso, ma l’interlocutore
può capire solo parole dure e azioni forti. A questo punto
occorre adottare maniere forti, sia a livello verbale che
fisico.

Ma prima di fare questo, è necessario esaminarsi
per vedere se la nostra mente è equilibrata, se proviamo
solo amore e compassione per quella persona. Se così è,
allora l’azione sarà certamente utile; in caso contrario, essa
non gioverà a nessuno. La risolutezza è necessaria per
aiutare la persona che sbaglia; con questa base di amore e
compassione non si fallirà.

Supponiamo di essere spettatori di un’aggressione. Il
meditatore di Vipassana si darà da fare per separare
l’aggressore dalla vittima, pieno di compassione non solo
per questa, ma anche per quello. Egli si rende conto che
l’aggressore non sa quanto male stia facendo a se stesso, e
cerca quindi di aiutarlo, impedendogli di compiere delle
azioni che gli causerebbero sofferenza in futuro.

Dobbiamo tuttavia stare attenti ad esaminare sempre la
nostra mente prima di agire, e non semplicemente
giustificare le nostre azioni dopo averle compiute. Se la
nostra mente è piena di negatività, non si è in grado di
aiutare nessuno. Bisogna rettificare i propri errori, prima
di correggere quelli degli altri. Purificate prima la vostra
mente, osservandovi; solo dopo aver fatto questo sarete in
condizioni di aiutare gli altri.

Il Buddha disse che, nel mondo, vi sono quattro tipi di
persone: quelli che fuggono dalle tenebre alle tenebre,
quelli che fuggono dalla luce verso le tenebre, quelli che
corrono dalle tenebre alla luce e quelli che vanno dalla

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luce verso la luce. La persona del primo tipo è quella che
intorno a sé non ha che tenebre ed infelicità; per di più,
per sua sfortuna, non ha alcuna saggezza. Ogni volta che
si trova di fronte alla sofferenza, egli diventa sempre più
adirato, sempre più pieno di odio e di avversione, e accusa
gli altri di essere la causa delle sue disgrazie. Tutti questi
saªkh±r± di rabbia e odio gli procureranno, in futuro,
sofferenze e tenebre sempre maggiori.

L’individuo della seconda categoria ha, come si dice,
tutto ciò che si può desiderare in questo mondo: denaro,
posizione, potere. Ma anch’egli è privo di saggezza.
Essendo nell’ignoranza, diventa sempre più egoista, senza
rendersi conto che la tensione dell’egoismo non può che
rendere oscuro il suo futuro.

La persona del terzo gruppo è nella stessa posizione di
quella del primo, è cioè circondata dalle tenebre; ma
possiede la saggezza, e si rende conto della propria
situazione. Riconoscendo che, in definitiva, è egli stesso
responsabile delle proprie sofferenze, quest’uomo fa del
suo meglio per cambiare le cose, ma lo fa con calma e
pace interiore, senza animosità od odio verso gli altri;
prova anzi solo amore e compassione per chi gli fa del
male.

Così facendo, crea per se stesso un futuro di luce.
Infine, l’individuo del quarto gruppo ha, come quello
del secondo, denaro, posizione e potere; ma, a differenza
di quell’altro, è anche pieno di saggezza. Egli si serve di
ciò che possiede per provvedere e se stesso ed a quelli che
dipendono da lui; ma impiega il suo superfluo, con amore
e compassione, per il bene degli altri. Sia il suo presente
che il suo futuro sono luminosi.

Per quanto riguarda il nostro presente, non siamo noi a
poter scegliere tra tenebre e luce: sono i nostri saªkh±r±
passati a determinarlo. Non possiamo cambiare il passato,

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ma possiamo prendere in mano il nostro presente,
diventando padroni di noi stessi. Il futuro sarà
semplicemente la somma del passato più quanto vi
aggiungiamo nel presente. Vipassana, insegnandoci come
acquistare consapevolezza ed equanimità verso le
sensazioni, ci rende padroni di noi stessi. Se acquistiamo
questa padronanza nel momento presente, il nostro futuro
sarà inevitabilmente luminoso.

Utilizzate i due giorni che vi rimangono per imparare a
possedere il momento presente e, di conseguenza, ad
essere padroni di voi stessi. Continuate a crescere in
Dhamma, per liberarvi dalla sofferenza e per godere della
vera felicità, qui ed ora.

Che tutti gli esseri siano felici !

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