Corso di Meditazione Vipassana 9
S.N. GOENKA
< I DISCORSI >
(parte nona)
(Questi discorsi, tenuti da S.N. Goenka durante un
corso di meditazione Vipassana, sono stati riassunti e
curati da William Hart)
– DISCORSO DEL NONO GIORNO –
Applicazione della tecnica nella vita quotidiana – i
dieci p±ram².
Sono passati nove giorni. È giunto il momento di
vedere come utilizzare questa tecnica nella vita
quotidiana. Questo è importantissimo, perché Dhamma è
un’arte di vivere. Se non si potesse usare la tecnica nella
vita quotidiana, allora il venire ad un corso equivarrebbe a
partecipare ad un rito, o ad una cerimonia.
Nella vita ci si trova continuamente di fronte a
situazioni indesiderate; ogni volta che succede qualcosa
che non vogliamo, perdiamo l’equilibrio mentale e
cominciamo a produrre negatività; e, come conseguenza,
diventiamo infelici. Ora, come si può evitare di generare
negatività, di creare tensioni? Come mantenere pace ed
armonia?
I saggi che esplorarono la realtà di mente e materia
all’interno di loro stessi trovarono una soluzione al
problema: ogni volta che, per una ragione qualsiasi, nella
mente si manifesta una negatività, si deve cercare di
trasferire la propria attenzione altrove. Lo si può fare, ad
esempio, alzandosi, bevendo un po’ d’acqua, cominciando
a contare, o ripetendo il nome di una divinità o di un santo
di cui si è devoti. Spostando l’attenzione, ci si dovrebbe
liberare della negatività.
È una soluzione praticabile. Ma ci furono altri che,
scrutando la loro verità interiore, giunsero ai livelli più
profondi della realtà, alla verità ultima. Questi illuminati
compresero che, spostando l’attenzione, si crea uno strato
di pace ed armonia a livello conscio, ma non si elimina la
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negatività; semplicemente, la si reprime. A livello
inconscio, essa continua a moltiplicarsi ed a guadagnare
forza. Prima o poi, questo vulcano sopito di negatività
entrerà in eruzione e si riverserà nella mente,
sopraffacendola. Fino a che la negatività permane, sia pure
a livello inconscio, qualsiasi soluzione non può essere che
parziale e temporanea.
La vera soluzione viene da una persona che ha
raggiunto la piena illuminazione, ed è: non sfuggite al
problema; affrontatelo, invece. Osservate qualsiasi
impurità sorga nella mente. Osservandola, non la
reprimerete, né le permetterete di esprimersi in azioni
dannose, sia vocali che fisiche. L’osservazione pura e
semplice è la via di mezzo tra questi due estremi. Quando
viene osservata, la negatività perde la sua forza e
scompare, senza sopraffare la mente. Non solo, ma
vengono parzialmente sradicati i vecchi depositi di questo
tipo di impurità.
Normalmente, ogni volta che una
negatività si manifesta a livello conscio, tutte le negatività
di quel genere, da noi accumulate in passato, emergono
dall’inconscio e si collegano a quella che si è appena
manifestata, incominciando a moltiplicarsi. Se invece ci si
limita ad osservarla, non solo la nuova impurità, ma anche
una parte del vecchio deposito verrà eliminata. In tal
modo, ci si libera gradualmente da tutte le impurità e ci si
affranca dalla sofferenza.
Purtroppo non è facile, per una persona di normale
capacità, osservare le proprie impurità mentali. Essa non si
rende conto di quando l’impurità si sia manifestata e di
come abbia sopraffatto la mente. Quando ha raggiunto il
livello conscio, l’impurità è ormai troppo forte perché la si
possa osservare senza reagire. E anche se si tenta di farlo,
è molto difficile osservare una negatività mentale astratta,
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quali sono, appunto, rabbia, paura o una qualsiasi altra
passione. L’attenzione viene invece attirata dallo stimolo
esterno della negatività, il che non porterà ad altro che alla
sua moltiplicazione.
Gli illuminati scoprirono invece che, ogniqualvolta
nella mente nasce una negatività, accadono due fenomeni
a livello fisico: il respiro diventa irregolare e nel corpo si
produce una reazione biochimica, sotto forma di
sensazione. Si giunse quindi ad una soluzione pratica.
Osservare una negatività astratta è molto difficile ma, con
l’allenamento, si può imparare rapidamente ad osservare le
manifestazioni fisiche della negatività, e cioè il respiro e la
sensazione. Facendo così, si permette all’impurità che si è
appena manifestata di dileguarsi senza far danni, e ci si
libera da essa.
Occorre tempo per padroneggiare questa tecnica ma, di
mano in mano che si procede nella pratica, ci si rende
conto che aumentano le situazioni esterne in cui, mentre
precedentemente si sarebbe reagito negativamente, ora si
rimane equilibrati. Ed anche se si reagisce, la reazione non
è così intensa e prolungata come sarebbe stata in passato.
Verrà il momento in cui, perfino nella situazione più
indisponente, si sarà in grado di prestare attenzione
all’avvertimento dato dal respiro e dalla sensazione, e ci si
metterà ad osservarli, anche se solo per pochi istanti.
Questi pochi attimi di auto-osservazione agiranno da
ammortizzatore tra lo stimolo esterno e la propria
reazione. Invece di reagire ciecamente, la mente rimarrà
equilibrata, e si potranno compiere azioni positive, utili a
sé ed agli altri.
Osservando le sensazioni all’interno di voi stessi, avete
fatto un primo passo nel processo di eliminazione delle
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impurità e di trasformazione delle vostre vecchie abitudini
mentali.
Dal momento della nascita, ci è stato insegnato a
guardare sempre fuori di noi. Non osserviamo mai noi
stessi, ed è per questo che siamo incapaci di andare alla
radice dei nostri problemi. Cerchiamo la causa della nostra
sofferenza fuori di noi, ed incolpiamo gli altri per la nostra
infelicità. Vedendo le cose da una sola angolazione, la
nostra visione è parziale e perciò distorta: eppure
l’accettiamo come verità assoluta. Ogni decisione presa
sulla base di questi presupposti parziali sarà dannosa per
noi e per gli altri. Per vedere la verità nel suo insieme,
occorre poterla osservare da più di una angolazione. È ciò
che si apprende praticando Vipassana: vedere la realtà non
solo all’esterno, ma anche all’interno di noi stessi.
Guardando da un solo punto di vista, ci si immagina che
la propria sofferenza sia causata dagli altri, da una
situazione esterna, per cui ci si dedica strenuamente a
cambiare gli altri ed a cambiare le situazioni. Chi ha
imparato a vedere la realtà dentro di sé, non tarderà a
capire di essere completamente responsabile della propria
miseria o della propria felicità. Facciamo l’esempio della
persona che si sente infelice perché è stata offesa da
qualcuno.
Essa addebita la sua infelicità a colui che l’ha
offesa. In realtà, l’offensore stesso, generando negatività
nella propria mente, si è reso infelice. E l’offeso si è
procurato infelicità reagendo all’insulto, quando anch’egli
ha iniziato a generare negatività nella propria mente.
Ciascuno è responsabile delle proprie sofferenze, la
colpa non è degli altri. Quando si penetra questa verità,
cessa la follia di incolpare gli altri per i nostri guai.
A che cosa si reagisce esattamente? Ad un’immagine
creata da noi stessi, non alla realtà esterna. Quando
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vediamo qualcuno, l’immagine che ci facciamo di quella
persona è colorata dai nostri condizionamenti passati. I
vecchi saªkh±r± influenzano la nostra percezione di ogni
nuova situazione.
Questa percezione condizionata, a sua
volta, causa una sensazione fisica piacevole o spiacevole;
e, a seconda del tipo di sensazione, produciamo una nuova
reazione di un certo genere. Sono i vecchi saªkh±r± a
determinare tutti questi processi. Rimanendo consapevoli
ed equanimi nei confronti delle sensazioni, indeboliamo la
nostra abitudine di reagire ciecamente, ed impariamo a
vedere la realtà come veramente è. Quando si è in grado di
vedere le cose da angolazioni diverse, ci si rende
immediatamente conto che la persona che ci offende o si
comporta male, agisce così perché soffre.
Una volta che si è compreso questo, non si può reagire
negativamente, ma si sente invece amore e compassione
per il sofferente, come farebbe una madre per il figlio
malato. E sorge il desiderio di aiutare quella persona a
liberarsi dall’infelicità. A questo modo si rimane calmi e
felici, e si aiutano gli altri a diventarlo. Lo scopo di
Dhamma è quello di praticare l’arte di vivere, che consiste
nello sradicare le impurità mentali e nello sviluppare le
buone qualità, per il bene proprio e quello degli altri.
Sono dieci le buone qualità mentali p± ram² che
occorre perfezionare per giungere alla meta finale, cioè
alla stadio della totale mancanza di ego. Sono qualità che
gradualmente dissolvono l’ego, avvicinandoci in tal modo
alla liberazione. In un corso di Vipassana si ha la
possibilità di sviluppare tutte e dieci queste qualità.
La prima qualità è nekkhamma: rinuncia. Chi diventa
monaco o monaca rinuncia alla vita laica e vive senza beni
personali, fino al punto di dover elemosinare il proprio
cibo quotidiano. Fa tutto ciò per dissolvere l’ego. Ma come
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fa un laico a sviluppare questa qualità? Ne ha l’opportunità
in un corso come questo, dato che qui si vive della carità
altrui. Accettando di buon animo il cibo, l’alloggio e le
strutture che ci vengono offerte, sviluppiamo in noi,
gradualmente, la virtù della rinuncia. Qui ognuno fa il
miglior uso di qualsiasi cosa riceva, perché lavora sodo
per purificare la propria mente non solo per il proprio
bene, ma anche per quello dello sconosciuto che ha fatto
la donazione di cui egli è beneficiario.
Un’altra qualità è s²la: moralità. Si cerca di sviluppare
questa qualità seguendo i cinque precetti, sia durante il
corso che nella vita quotidiana. Vari ostacoli rendono
difficile la pratica di s²la nella vita corrente. Qui invece,
durante un corso di meditazione, non ci sono occasioni di
infrangere i precetti, dato il programma fitto e la stretta
disciplina.
Solo con la parola si potrebbe deviare dalla
severa osservanza della moralità. È per questo che si fa
voto di silenzio per i primi nove giorni del corso. A questo
modo, per lo meno durante il periodo del corso, si aderisce
perfettamente a s²la.
Un’altra qualità è viriya: sforzo. Nella vita quotidiana si
compiono vari sforzi, tra cui, ad esempio, quello di
guadagnarsi da vivere. Qui, invece, lo sforzo è quello di
purificare la mente restando consapevoli ed equanimi.
Questo è il giusto sforzo, che porta alla liberazione.
Un’altra qualità è paññ±: saggezza. La saggezza esiste
anche nel mondo che ci circonda, ma è il genere di
saggezza che si acquista leggendo libri od ascoltando gli
altri, oppure è solo una comprensione intellettuale. La
reale virtù della saggezza è la comprensione che si
sviluppa all’interno di se stessi attraverso la propria
esperienza meditativa. Con l’auto-osservazione si ha la
percezione diretta di ciò che è l’impermanenza, la
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sofferenza, l’assenza di un io. È questa esperienza diretta
della realtà che ci libera dalla sofferenza.
Un’altra qualità è khanti: tolleranza. In un corso come
questo, in cui si vive e si lavora in gruppo, può accadere di
sentirsi irritati o disturbati da ciò che fa un altro. Ma ben
presto ci si rende conto che la persona che disturba lo fa
senza accorgersene, oppure è malata. L’irritazione
scompare e si prova solo amore e compassione per l’altro.
Si è iniziato a coltivare la virtù della tolleranza.
Un’altra qualità è sacca: verità. Praticando s²la, ci si
impegna ad essere sinceri nell’uso della parola. Occorre
però praticare la verità anche a livello più profondo. Ogni
passo che si compie deve farci penetrare nella verità: da
quella più superficiale ed apparente, a quelle più sottili,
fino alla verità ultima. Non vi è posto per
l’immaginazione. Si deve aderire costantemente alla realtà
che si sperimenta effettivamente ogni momento.
La qualità che segue è adhi??h±na: forte determinazione.
Quando si inizia un corso di Vipassana, lo si fa
con la determinazione di rimanere per l’intero periodo. Si
prende la risoluzione di seguire i precetti, la regola del
silenzio e l’intera disciplina del corso. Dopo aver imparato
la tecnica di Vipassana, ci si impegna con forte determinazione
a meditare, durante l’intera ora della seduta di
gruppo, senza aprire gli occhi e senza muovere mani e
gambe.
Questa qualità risulterà molto importante quando
si giungerà ad un ulteriore stadio del cammino: con
l’avvicinarsi della meta finale, si dovrà essere pronti a
praticare ininterrottamente la meditazione, fino alla
completa liberazione. Questa è la ragione per cui occorre
costruire in noi una forte determinazione.
Un’altra qualità è mett±: puro amore disinteressato. Nel
passato ci si è sforzati di provare amore e compassione per
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gli altri, ma questo avveniva solo al livello conscio della
mente; mentre, a quello inconscio, sussistevano le vecchie
tensioni. Quando l’intera mente è purificata, è dalle
profondità del proprio essere che si desidera la felicità
degli altri. Questo è amore vero, che aiuta sia gli altri che
noi stessi.
Ancora un’altra qualità è upekkh±: equanimità. Si
impara a mantenere l’equilibrio mentale non solo in
presenza di sensazioni forti e spiacevoli o zone inerti del
corpo, ma anche di fronte a sensazioni sottili e gradevoli.
Qualunque sia l’esperienza che si manifesta ad un dato
momento, ci si rende conto che è impermanente, destinata
a passare. Questo permette di rimanere distaccati ed
equanimi.
L’ultima qualità è d±na : carità, dono. Per un laico
questa rappresenta un primo passo essenziale nel cammino
del Dhamma. Un laico, infatti, ha la responsabilità di
guadagnare denaro onestamente, in modo da mantenere se
stesso e quelli che sono a suo carico. Ma se nasce un
attaccamento al denaro che si guadagna, questo fa dilatare
l’ego.
Per questa ragione, una parte delle proprie entrate
deve essere devoluta a beneficio degli altri. Una volta che
si è capito che il denaro che guadagniamo non deve solo
servire per noi, ma anche per gli altri, impediamo al nostro
ego di rafforzarsi. Sorge allora il desiderio di aiutare gli
altri in tutti i modi possibili. E ci si rende conto che non
esiste modo migliore di aiutare gli altri di quello di
indicare loro la via per uscire dalla sofferenza.
Un corso come questo rappresenta una splendida
opportunità di sviluppare questa qualità. Qualunque cosa
si riceva qui è stata donata da un’altra persona; non ci sono
spese per vitto e alloggio, e non si paga certamente nulla
per l’insegnamento. A nostra volta, abbiamo l’opportunità
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di fare una donazione a vantaggio di qualcun altro.
Ognuno dà in proporzione alle proprie possibilità.
Naturalmente una persona ricca vorrà dare di più, ma
anche il più piccolo contributo, se dato con l’intenzione
giusta, servirà moltissimo a sviluppare questa qualità. Si
dà senza aspettarsi nulla in cambio, nell’intento che altri
possano sperimentare i benefici effetti di Dhamma e
possano liberarsi dalle loro sofferenze.
Qui avete la possibilità di sviluppare tutte le dieci
qualità o p±ram². Quando queste buone qualità saranno
giunte a perfezione, raggiungerete il traguardo.
Continuate nella pratica, in modo da riuscire, un po’ per
volta, a svilupparle tutte. Continuate a progredire sul
sentiero di Dhamma, non solo per il vostro bene e la
vostra liberazione, ma anche per quelli di tanti altri.
Possano tutti quelli che soffrono trovare il puro
Dhamma e con esso la liberazione.
Che tutti gli esseri siano felici!
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