INTRODUZIONE alla BHAGAVAD GITA
di Guido Da Todi
Il “Canto del Beato” rappresenta – senza ombra di dubbio – uno dei testi più
sacri e sbalorditivi dell’intera umanità storica.
Intanto, perche’ esso offre non gia’ un’indicazione di Dio, ma la sua
visione completa, a chi sappia abbandonarsi completamente ai fremiti di
rivelazione che vengono, ivi, esposti.
Codesta, e’ una distinzione che e’ necessario approfondire.
Ogni religione, evidentemente, scaturisce dalle piu’ alte necessità
spirituali dell’uomo. Ognuna d’esse – a prescindere dalla latitudine in cui
nasce – indica Dio; e lo fa, cercandolo oltre il vasto mondo della forma,
mentre lo considera – in un certo senso – avulso da questa.
La Bhagavad Gita – capovolgendo i termini del rapporto – mostra Dio,
strettamente identificato con la natura universale, e colma, cosi’, ogni
vuoto tra l’uomo e Lui.
Il Poema sacro e’ uno dei capitoli della Mahabharata, e ci riporta l’
insegnamento, il Vangelo di Sri Krishna. E’ stato composto 300 anni circa
avanti la nascita di Cristo; tuttavia, gli avvenimenti storici con i quali
si confronta si situano in epoca piu’ antica; la grande guerra descritta
dalla Bhagavad Gita avvenne in una data che la critica moderna fissa a 1.000
anni prima di Cristo.
Tuttavia, forse, non importa molto cercare dei riferimenti realmente
accaduti, in rapporto al senso che pervade il simbolismo del Testo.
E’ comune abitudine considerare ogni sutra dell’Opera come una
corrispondenza della vita di tutti gli individui.
La Bhagavad rappresenta indiscutibilmente una totale immersione nei concetti
e nei principi del : ossia, lo yoga dell’azione.
La guerra di cui tratta (il campo di Kurukshetra) s’identifica con il forte
impatto che l’animo di ognuno di noi risente, quando s’immerge nel livello
reincarnativo quotidiano.
Non esiste un solo versetto che non possa e debba essere applicato a
ciascuna delle contingenze che incontriamo nella vita.
Nel Vangelo hindu’ vengono bilanciati e fusi i due poli della ricerca
soggettiva umana: il monismo e il dualismo.
Krishna – uno dei piu’ amati Avatar dell’India – appare il protagonista
della compiuta lezione di vita che – lungo l’intero arco dell’Opera – egli
soffonde ad Arjuna, il suo discepolo.
Tuttavia, e’ abitudine acquisita dallo spiritualismo storico d’ogni tempo,
identificare l’Incarnazione divina con il piu’ prezioso vertice di coscienza
di qualunque essere, che si avvicini allo studio e alla lettura dei Sutra di
cui parliamo.
Krishna, il protagonista della Bhagavad Gita, l’Incarnazione medesima di Dio
e’ identificabile con il nostro piu’ profondo ed immortale, che si
rivolge alla propria ombra – la personalita’ – immersa nelle fumose volute
dei livelli incarnativi.
Va, ancora, sostenuto che la sintesi vivente dell’intero insegnamento che
Krishna propone al suo discepolo s’identifica in un totale colpo di scure
che s’abbatte su qualsiasi valore superfluo, che appesantisce e anchilosa la
coscienza relativa di quest’ultimo: assetato di verita’ e liberta’.
Sepolta nel medesimo seno di quel sovrumano edificio al Pensiero Puro ed al
piu’ astratto spiritualismo, che sono i Veda, l’Opera di cui trattiamo ne
costituisce – per certi versi – una natura anomala; pur rappresentandone,
forse, la sostanza piu’ mistica e la sintesi vivente e definita.
I mille e mille versi cantati dei Veda, qui, si collegano in una nota
sfolgorante finale, in cui il Verbo Medesimo della Vita Universale, si fa
Logos e si propone come Nucleo e Coscienza Cosmica d’ogni cosa relativa.
Che importa – quando Vita e Forma sono totalmente trascese – privilegiare un
qualsivoglia angolo della manifestazione eterna, e desiderare manifestarsi
come ragion pura, oppure come amore?
Che importa insistere su migliori ed ancora migliori espressioni
aristocratiche dell’Essere, se – di gia’ – l’assoluto e’ manifesto, dai
tempi dei tempi?
Come il nostro organismo fisico e’ composto da miliardi di vite
infinitesimali – le cellule – cosi’ ogni individuo e’ onda di un Infinito
Mare Universale, della cui ampia Coscienza e’ parte intrinseca e vitale.
Questa Coscienza parla nella Bhagavad Gita, ed attrae nel suo vortice di
infuocato amore il proprio minore riflesso esistenziale: Arjuna.
” Il vero yoghi vede Me in tutti gli esseri e tutti gli esseri in Me. In
verita’, l’anima realizzata Mi vede ovunque.”
” Lo yoghi, sapendo che Io e l’Anima Suprema, situata in tutte le creature,
siamo Uno, Mi adora e dimora sempre in Me.”
Oltre, quindi, a rivelare il “supremo segreto”, sepolto sotto la coltre
degli irriducibili veli di maya, Krishna – la Vita Universale, fatta Verbo –
indica ad Arjuna, nei 18 capitoli della Bhagavad Gita, le tecniche mistiche
per liberarsi definitivamente dal vincolo delle reincarnazioni.
Sta di fatto che molti tra coloro che giungono sulle incantevoli sponde del
sacro Testo vengono benedetti dalla rivelazione che tal episodio della loro
vita fa proprio parte di quell’azione incessante che l’Anima delle cose
rivolge agli infiniti aspetti del suo cosmico organismo, per riassorbirli a
Se’.
Chi e’ predestinato riconosce, senza ombra di dubbi, la Voce del Silenzio,
nel suo cuore, mentre promana dai sutra del Vangelo Hindu’.
E’ nell’intensa speranza che tutti voi possiate ritrovarvi in Seno al Padre
Originario, mentre v’inebrierete con la musica dell’insegnamento di
Krishna – proprio come lo scrivente ha terminato il suo lunghissimo viaggio
reincarnativo, ritrovando le radici da cui era nato, e dissolvendosi in
esse – che vi si augura si’ immensa gioia e beatitudine!
tratto da lista Sadhana
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