del monaco theravada Isi Dhamma
Cosa e’ la vita?
Che cosa ci faccio, qui?
Pare che la maniera utilizzata da Buddha per spiegarci la vita ed i suoi collegamenti sia straordinariamente coerente. E’ logica, sana, semplice, onesta e — diciamo, in ultima analisi — ragionevole. Potrebbe sembrare, d’altronde, che, dopo lo studio e, soprattutto, quegli esercizi che Buddha insegna, si possa arrivare alla conclusione che essa sia la sola cosa esistente (ragionevole). Così, in due volte dodici righe, ci ha spiegato in maniera straordinariamente ragionevole, ragionata, sincera e onesta, come funziona la vita, l’esistenza.
Allo stesso modo, ci chiarisce perché noi vi ci troviamo. A proposito della domanda che ci poniamo: “Ma, che cosa ci faccio, io, qui?”. Ebbene, stiamo qui solo a causa del desiderio. Viviamo perché lo desideriamo; siamo il risultato dei nostri desideri , delle nostre tendenze, delle nostre pulsioni. Per diverse ragioni, di formazione intellettuale, culturale, universitaria, arriviamo a farci delle domande. Semplicemente perché le abbiamo in noi; possediamo tale intuizione, la qualità di porre uno sguardo sulla vita. Ecco perché ci poniamo queste domande…
Di conseguenza intraprendiamo un cammino il cui scopo, finalmente, se ci riflettiamo bene, è solo quello di passare da un certo modo operativo di esistere, ad un livello superiore. Di saltare, finalmente, da un certo ciclo paṭiccasamuppāda ad un altro. Dunque, per delle ragioni incombenti, immaginiamo che non ve ne sarà più uno solo. Intuiamo che esisterà una specie di continuità perfettamente lineare e trascendente, non più sottoposta ad un ciclo.
Il monaco Gotama ha fatto una grande scoperta; ha avuto un’intuizione geniale. E, se la ebbe, fu prevalentemente per avere avuto la concreta esperienza del nibbāna. Scoprì che, tutt’al più, ci immaginiamo, idealizziamo qualcosa che non potrà essere altro che un ciclo di paṭiccasamuppāda. Cioè, l’apparizione, il divenire secondo una sequenza di tappe riassunte, in modo succinto, da: un contatto, una sensazione, una reazione, un impulso, una volizione, una coscienza, un movimento, un atto, un divenire.
Le esperienze spirituali
Cosi, coloro tra i “grandi maestri spirituali”, che credono di essere pervenuti alla divinità, o alla “buddhità” hanno sicuramente realizzato un’esperienza, ma — come affermano, spesso — consacreranno il resto del loro tempo a questa divinità, o a questa “buddhità”. Hanno toccato, hanno avuto un contatto, una esperienza, la cui intensa beatitudine, l’acuto benessere, il forte piacere è tale, che la forza del desiderio, il vigore di quanto li proietterà nuovamente a sperimentarli è considerevole. Tanto rilevante che il poderoso attaccamento che nascerà in questi sarà gigantesco. Se veramente esiste qualcosa di trascendente nelle nostre esperienze spirituali è l’attaccamento che proviamo per esse.
Così, il monaco Gotama ebbe una consapevolezza del tutto sconcertante, e che va contro corrente con tutto il resto; che non viene insegnata in altra parte che non sia dalla sua bocca. Né all’interno del cristianesimo, né dell’islam, e in alcuna delle nostre filosofia d’occidente e d’oriente, e neppure in quel che si chiama, oggi, il buddhismo.
Una esperienza rivoluzionaria
Egli fece un’esperienza talmente contraddittoria con tutto ciò che può venire conosciuto nel quotidiano, che il fatto viene illustrato in una maniera molto interessante: il giorno che precede la notte in cui la visse, ebbe la gigantesca intuizione che stava per scoprire qualcosa di veramente nuovo, di veramente rivoluzionario.
Dopo anni di tribolazioni, di sperimentazioni, tra cui, giustamente, queste consapevolezze mistiche, o divine, posò la sua ciotola nel fiume, che scorreva proprio davanti a lui e si disse: “Se veramente io sono destinato a scoprire qualche cosa del tutto nuova, che il mondo ignora, oggi, completamente, che la ciotola non galleggi nel senso della corrente, ma che rimonti contro di essa!”. Fu quanto avvenne. Poco importa preoccuparci dell’aspetto leggendario, o miracoloso di tale storia. Ciò che interessa è che rappresenta un modo per illustrare come quel che Buddha scoprì fosse assolutamente rivoluzionario e contrario a quanto si conosceva, a quanto fosse stato appurato, ed insegnato, sino a quel momento, nell’intero universo. Di che si trattava?
Riguardava il paṭiccasamuppāda in ordine inverso. Il monaco Gotama visse un’esperienza concreta, considerato che non ne conosceva affatto la teoria. Egli ha realizzato l’esperienza dell’ordine inverso. Cioè, non ha mancato di conoscere quel che appariva alla sua coscienza, non ha omesso di portarvi sopra la propria attenzione, non l’ha ignorato.
Ciò che è successo di straordinario fu che, logicamente, tale coscienza, tale sensazione, tale contatto e tale oggetto non sono sorti. Hanno cessato di apparire ed avvenne, a quel punto, l’interruzione del ciclo in cui la coscienza si mostra, con il suo oggetto. Non nacque, dunque, una sequela, né un seguito. Cosa divenuta impossibile a causa di quella interruzione. Egli sperimentò ciò che viene chiamata la cessazione, la cessazione della non conoscenza, dell’ignoranza, dell’incapacità di apprendere; fatto che ha provocato la fine di quanto, per una volta, non venne ignorato.
La cessazione della conoscenza
Ecco perché Buddha non dice:” L’apparizione della conoscenza”, ma: “La cessazione dell’ignoranza”. Perché, se avesse dichiarato “l’apparizione della conoscenza”, ciò avrebbe significato che prima si conosceva, si apprendevano i fenomeni con l’ignoranza; mentre, poi, essi vengono assimilati con la conoscenza. No, egli dice:” vi è la cessazione dell’ignoranza”, poiché, giustamente, appare l’interruzione del fenomeno. E se questo non si mostra più, come lo si può conoscere?
Il concetto non è di acquisire i fenomeni che ci circondano sulla base della consapevolezza. Ma, che questi fenomeni apparenti cessano di mostrarsi, poiché, di conseguenza, la coscienza che si esprime con essi si interrompe. Per Buddha, è la conclusione dell’ignoranza. E’ un fatto così stupido, che, nel sentirlo, si potrebbe dire che si tratta di una cosa da sempliciotti! E, invece, ci parlano di conoscenza trascendente, di modi di conoscenza, della coscienza che non sa, quando si trova nel samsāra, mentre, invece, esiste quella soprannaturale, che sa…
L’esperienza che ha vissuto il monaco Gotama è del tutto sconcertante, del tutto incredibile. E, d’altronde, la questione non può più porsi in termini di credenze. La cessazione dell’ignoranza accompagna, forzatamente, quella della conoscenza. E’ quando non c’è più nulla da conoscere e neppure la coscienza che possa apprendere, che noi giungiamo alla cessazione di quel che Buddha chiama l’ignoranza
tratto da it.dhammadana.org
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