Cos’è la consapevolezza?

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Cos’è la consapevolezza?

di J.Kabat Zinn

La consapevolezza è un’antica pratica buddista che riveste un profondo
significato per la nostra vita attuale. Questo significato non ha alcuna
relazione con il buddismo in sé o la conversione al buddismo, ma riguarda
tutto ciò che si riferisce al prendere coscienza e vivere in armonia con se
stessi e il mondo intero. Comporta l’autoindagine, la messa in discussione
della nostra visione del mondo, della posizione che vi occupiamo e
l’apprezzamento della pienezza di ciascun momento della nostra esistenza.
Soprattutto riguarda il mantenimento del contatto con la realtà.

Dal punto di vista buddista, il nostro normale stato di lucidità è
considerato gravemente limitato e limitante, sotto molti aspetti simile a
un sogno prolungato più che a uno stato di veglia. La meditazione aiuta a
risvegliarsi da questo sonno di automatismo e inconsapevolezza, ponendoci
in condizioni di vivere la nostra vita godendo pienamente di tutte le
nostre potenzialità consce e inconsce. Saggi, yogi e maestri Zen hanno
esplorato sistematicamente questo territorio per migliaia di anni,
ricavandone conoscenze che ora potrebbero essere assai utili in C )ccidente
per controbilanciare il nostro orientamento culturale volto al controllo e
all’assoggettamento della natura anziché al riconoscimento che ne siamo
parte integrante. La loro esperienza collettiva indica che, studiando
interiormente la nostra natura di esseri umani, e in particolare la nostra
mente mediante un’accurata e sistematica autoanalisi, possiamo riuscire a
condurre una vita più soddisfacente, armoniosa e saggia. Offre anche una
visione del mondo complementare alla concezione prevalentemente riduttiva e
materialistica che attualmente pervade il pensiero e le istituzioni
occidentali. Una visione che non é però particolarmente «orientale »o
mistica. Nel 1846, nella Nuova Inghilterra, Thoreau ha individuato lo
stesso problema nel nostro comune stato mentale descrivendone con grande
passione le penose conseguenze.

La consapevolezza è stata definita il cuore della meditazione buddista.
Fondamentalmente si tratta di un concetto molto semplice; la sua forza
risiede nella sua pratica e applicazione. Consapevolezza significa prestare
attenzione in un modo peculiare: di proposito, nel momento presente e senza
presunzione. Questo tipo di attenzione produce maggior lucidità, chiarezza
e accettazione della realtà in atto. Rende consapevoli del fatto che la
vita si svolge solo per momenti successivi. Se non si è pienamente presenti
in molti di quei momenti può accadere non solo di lasciarsi sfuggire ciò
che è più valido nella propria vita, ma anche di non rendersi conto della
ricchezza e profondità delle possibilità personali di crescita e
trasformazione.

L’insufficiente consapevolezza del presente, oltre ad azioni e
comportamenti inconsci e automatici, spesso indotti da timori e insicurezze
radicati, crea altri problemi. Se non vi si pone rimedio questi tendono ad
accumularsi nel corso del tempo e alla fine ci lasciano bloccati e privi di
contatto con la realtà. Col tempo potremmo perdere fiducia nella nostra
capacità di reimpiegare le nostre stesse energie finalizzandole al
raggiungimento di maggior soddisfazione e felicità, forse persino di
miglior salute.

La consapevolezza fornisce un modo semplice ma vigoroso per sbloccarsi e
recuperare saggezza e vitalità. Un modo per riappropriarsi del significato
e della qualità della propria vita, compresi i rapporti con la famiglia,
l’ambiente di lavoro, il mondo e l’intero pianeta in generale, ma,
soprattutto del rapporto con se stessi come persone.

La chiave di questo cammino, che sta alle radici del buddismo, del taoismo
e dello yoga e si può trovare anche nelle opere di Emerson, Thoreau,
Withman, oltre che nella saggezza degli indiani d’America, è la valutazione
del momento in atto e lo sviluppo di un rapporto intimo con esso grazie a
una costante cura e discernimento. E l’esatto opposto del prendere la vita
come viene.

L’abitudine d’ignorare la realtà attuale privilegiando i momenti futuri
conduce direttamente a una totale mancanza di attenzione per la
quotidianità in cui siamo coinvolti. A questo si aggiunge una mancanza di
lucidità e di comprensione di come la nostra mente condiziona le nostre
percezioni e azioni. Essa limita drasticamente la nostra concezione della
persona come tale, dei rapporti reciproci e del mondo chc ci circonda.
Tradizionalmente la religione si è occupata di questi interrogativi
fondamentali all’interno di un contesto spirituale, ma la consapevolezza
poco ha a che fare con la religione, salvo chc nel significato essenziale
del termine, quale tentativo di risolvere il profondo mistero della vita e
di riconoscere il legame indissolubile con tutto ciò che esiste.

Quando c’impegniamo a prestare attenzione senza riserve, senza farci
condizionare da preferenze o antipatie, opinioni e pregiudizi, proiezioni e
aspettative, si aprono nuove possibilità e ci viene offerta l’occasione di
liberarci dalla camicia di forza dell’inconsapevolezza.

Amo pensare alla consapevolezza semplicemente come all’arte di vivere
presenti a se stessi. Non è necessario essere buddista o yogi per
praticarla. Infatti, se avete una certa familiarità col buddismo saprete
che il principio più importante è essere se stessi e non cercare
d’identificarsi in qualcosa di diverso. Fondamentalmente il significa to
del buddismo è trovarsi in armonia con la propria natura più profonda e
lasciarla fluire liberamente all’esterno. Vuol dire risvegliarsi e vedere
le cose come sono. « Budda» significa semplicemente una per sona che ha
riconosciuto la propria vera natura.

Pertanto, la consapevolezza non è in contrasto con una qualsiasi credenza o
tradizione religiosa o persino scientifica né intende in stillare alcunché,
in particolare non un nuovo sistema di fede o ideologia. E semplicemente un
metodo pratico per rimanere in contatto con la pienezza del proprio essere
grazie a un processo sistematico di osservazione, indagine personale e
azione consapevole. Non vi è nulla di freddo, analitico o insensibile in
questo. La pratica della consapevolezza si esprime con dolcezza,
comprensione e attenzione. Un altro modo di definirla sarebbe
«amorevolezza».

Una volta, uno studente ha detto: «Quand’ero buddista facevo impazzire
genitori e amici, ma da quando sono un budda nessuno si scompone ».

Semplice ma non facile

Praticare la consapevolezza può essere semplice, ma non necessariamente
facile. F;. una metodologia che esige sforzo e disciplina perché le forze
contrapposte il nostro abituale automatismo e la scarsa attenzione sono
estremamente resistenti; sono talmente tenaci ed estranee alla nostra
consapevolezza da richiedere obbligatoriamente un impegno interiore e un
certo tipo di lavoro solo per dare consistenza ai nostri sforzi mirati a
captare coscientemente i vari momenti e rinvigorire la consapevolezza.
Questo lavoro è però intrinsecamente gratificante perché ci pone in
contatto con molti aspetti della nostra vita che solitamente trascuriamo e
perdiamo di vista.

E’ anche istruttivo e liberatorio. Istruttivo in quanto ci consente
letteralmente di vedere con maggior chiarezza e pertanto di penetrare più
profondamente in ambiti della nostra personalità da cui ci eravamo
allontanati o su cui eravamo restii a indagare. Questo comporta il
riemergere d’intense emozioni come dolore, tristezza, vulnerabilità ira e
paura che di norma non prendiamo in considerazione né esprimiamo
coscientemente. La consapevolezza può anche aiutarci ad apprezzare
sentimenti quali gioia, mitezza, felicità che spesso avvertiamo
fuggevolmente e distrattamente.

E liberatorio perché c’introduce a nuovi modi di confrontarci con noi
stessi e col mondo esterno, liberandoci dalle modalità obbligate da cui ci
facciamo spesso irretire. Conferisce anche forza poiché applicare
l’attenzione in quel modo consente l’accesso a insospettate ri serve di
creatività, intelligenza, immaginazione, lucidità, determinazione, capacità
di scelta e saggezza insite in noi.

Tendiamo a trascurare particolarmente il fatto che virtualmente pensiamo
ininterrottamente. Il flusso incessante di pensieri che emana dalla nostra
mente ci lascia scarsissimi momenti di sollievo interiore. Da parte nostra
ci riserviamo spazio insufficiente per essere veramcntc noi stessi, senza
sentirei costretti a correre costantemente facendo le cose più svariate.
Troppo frequentemente le nostre azioni sono inconsulte, intraprese senza
riflessione, dettate da impulsi e pensieri del tutto consueti che passano
per la mente come un fiume impetuoso o con la violenza di una cascata.
Veniamo travolti dalla corrente che finisce col sommergere la nostra vita
portandoci dove forse non intendiamo andare, senza neppure essere coscienti
della direzione.

Meditazione significa imparare a svincolarsi dalla corrente, sedere sulla
sua sponda, ascoltarla, trarne insegnamento e poi sfruttarne le energie per
farci guidare anziché dominare. Questo processo non si svolge magicamente
da solo. Richiede energia. Noi chiamiamo « pratica» o «pratica di
meditazione» lo sforzo di coltivare la nostra capacità di vivere il
presente.

Domanda: Come posso districare un groviglio che si trova interamente al
di sotto del mio livello di coscienza?

Nisargadatta- Essendo presente a te stesso… se ti osservi con
attenzione durante la tua vita quotidiana, con l’intenzione di capire
anziché giudicare, in piena accettazione di qualsiasi cosa possa emergere,
perché esiste, stimoli il profondo a salire in superficie per arricchire la
tua vita e la tua consapevolezza con le sue energie represse. Questa è la
grande funzione della consapevolezza; rimuove ostacoli e libera energie
mediante la comprensione della vita e della mente. Il sapere é la porta
verso la libertà e la vigile attenzione è la madre del sapere.

Nisargadatta Maharaj, io sono quello

Fermarsi

Generalmente si pensa alla meditazione come a un’attività speciale, ma non
è del tutto esatto in quanto è la semplicità stessa. A volte, celiando,
diciamo: «Non è necessario che tu faccia qualcosa, siediti e basta». Ma
meditazione non vuol nemmeno dire limitarsi a sedere. Significa arrestarsi
ed essere presenti a se stessi, questo è tutto. La maggior parte del tempo
è occupata dalle nostre attività. Sareste in grado di fermarvi anche per un
solo momento? Potrebbe essere* questo *momento? Cosa accadrebbe se lo
faceste?

Un buon modo di interrompere le nostre occupazioni è passare per un momento
alla «modalità dell’essere». Consideratevi un testimone eterno, al di fuori
del tempo. Valutate semplicemente questo momento, senza tentare affatto di
cambiarlo. Cosa sta accadendo? Cosa provate? Cosa vedete? Cosa sentite?

Quando ci si ferma, l’aspetto curioso è che immediatamente si diventa se
stessi. Tutto appare più semplice. In un certo senso è come se foste morti
e il mondo continuasse. Se moriste realmente, tutte le vostre
responsabilità e obblighi svanirebbero d’incanto. Le loro conseguenze
verrebbero gestite in qualche modo senza di voi. Nessun altro può farsi
carico dei vostri progetti specifici, che si esaurirebbero e
scomparirebbero con voi come è stato per tutti coloro che sono morti. Cosi
non dovete preoccuparvi assolutamente.

Se questo è vero non è più necessario fare un’altra telefonata anche se vi
riesce difficile crederlo. Forse non è neppure il caso di leggere qualcosa
in questo momento o di sbrigare un’altra faccenda. Riservandovi alcuni
attimi di «morte volontaria» arginando le pressioni del tempo, finché
vivete sarete liberi di ritagliarne una parte per il presente. «Morendo»
ora, in questo modo, in realtà divenite più vivi. Questo è il vantaggio di
fermarsi. Non si tratta di un atteggiamento passivo e quando deciderete di
riprendere sarà una partenza diversa, poiché vi siete fermati. La pausa
contribuisce a rendere più vivaci, ricche e articolate le azioni
successive, aiuta a inquadrare nella giusta prospettiva tutte le
preoccupazioni e insicurezze. Serve da guida.

prova: Più volte nel corso della giornata, fermatevi, sedetevi, e
immedesimatevi nella vostra respirazione per cinque minuti o anche solo per
cinque secondi. Accettate senza riserve il presente e le vostre sensazioni
e come percepite la situazione. In questi momenti non cercate di cambiare
nulla, limitatevi a respirare e rilassarvi. Respirate, lasciate correre;
astenetevi dal voler produrre qualcosa di diverso in questo momento;
mentalmente ed emotivamente lasciate che questo momento sia esattamente
com’è e lasciate a voi stessi la libertà di essere così come siete. Poi,
quando sarete pronti, muovetevi nella direzione dettata dal cuore,
consapevoli e risoluti.

E tutto qui

Una vignetta del NetvYorker-, due monaci Zen in tunica e col capo rasato,
uno giovane, l’altro vecchio, siedono l’uno accanto all’altro a gambe
incrociate. Il giovane fissa alquanto perplesso il vecchio che si rivolge a
lui dicendo: «Non accadrà nient’altro. E rutto qui ».

E vero. Solitamente, quando si intraprende qualcosa, è naturale attendersi
un esito positivo dai propri sforzi. Vogliamo vedere risultati, fosse anche
solo una sensazione piacevole. L’unica eccezione a cui posso pensare è la
meditazione: è l’unica attività umana intenzionale e sistematica,
essenzialmente* non* finalizzata a tentare di migliorarvi o di ottenere un
qualsiasi risultato, ma semplicemente a rendervi consapevoli della
situazione esistente. Forse il suo valore consiste precisamente in questo.
Forse tutti noi sentiamo l’esigenza di fare, durante la nostra vita, una
cosa fine a se stessa.

Non sarebbe però preciso definire la meditazione un «atto». E più corretto
descriverla come «modo di essere». Quando comprendiamo che «le cose stanno
cosi», ci liberiamo del passato e del futuro, diveniamo consapevoli di ciò
che siamo in quel dato momento.

Di norma questo non viene assimilato immediatamente. Si vuol meditare per
rilassarsi, per sperimentare una situazione particolare, divenire una
persona migliore, ridurre lo stress o il dolore, rompere con vecchie
abitudini o schemi, divenire più liberi e illuminati. Tutti motivi validi
per dedicarsi alla pratica meditativa, ma tutti egualmente fonte di
problemi se vi attendete soluzioni per il solo fatto che state meditando.
Finireste col pretendere un’«esperienza speciale» o col cercare segni di
progresso; in questi casi, se non si avverte qualcosa di particolare a
breve scadenza, si inizia a nutrire dubbi sul cammino intrapreso o a
chiedersi se « lo si è fatto bene ».

Nella maggioranza dei campi del sapere questo atteggiamento è del tutto
ammissibile; naturalmente, presto o tardi si vogliono registrare progressi
prima di proseguire. Ma la meditazione ha una prospettiva del tutto
diversa: ogni stato, ogni momento, costituiscono un’esperienza particolare.

Quando rinunciamo a desiderare che in un dato momento accada qualcos’altro,
la nostra capacità di misurarci col presente compie un grande passo in
avanti. Se speriamo di raggiungere un obiettivo qualsiasi o di svilupparci
ulteriormente, non possiamo che partire da dove ci troviamo. Ma se non
sappiamo neppure dove siamo una conoscenza che deriva direttamente
dall’esercizio della consapevolezza malgrado tutti i nostri sforzi e le
nostre aspettative non possiamo fare altro che procedere in un circolo
vizioso. Cosi, nella pratica meditativa, il miglior modo per raggiungere
una meta qualsiasi è rinunciare al tentativo.

Se la tua mente non è annebbiata da pensieri inutili Questa e la miglior
stagione della tua vita.

Wu-Mf.n

prova: ricordate a voi stessi, di tanto in tanto, che «così stanno le
cose ». Cercate di scoprire se esiste qualcosa a cui questo non possa
essere applicato. Ricordate che l’accettazione del momento presente non
significa rassegnazione di fronte alla situazione contingente. Si tratta
semplicemente di una chiara ammissione del fatto che* ciò che accade accade.
L’accettazione non vi dice cosa fare. Cosa accadrà poi, cosa deciderete
di fare, dipenderà dalla vostra interpretazione del momento. Potreste
tentare di agire in base a una profonda conoscenza di «come stanno le
cose». Questo influenza il vostro modo di procedere o di reagire? Riuscite
a immaginare in modo assai reale che questa può essere effettivamente la
miglior stagione, il più bel momento della vostra vita? In questo caso cosa
significherebbe per voi?

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