Intervista allo psicologo americano Rick Jarow, autore di “Crea il lavoro che ami”.
di Haven Iverson
Molto noto negli Stati Uniti Rick Jarrow propone un approccio alternativo
alla ricerca del lavoro, un orientamento ‘anti-carrieristico’, sicuro e
dinamico che conduce ad individuare ed incoraggiare l’espressione della vera
identità personale nel mondo del lavoro.
– Quando ha iniziato a occuparsi delle problematiche relative alla scelta
del lavoro?
È stata una questione di sincronia, questo del resto è il mio approccio nei
confronti di qualsiasi cosa. Mio padre odiava il suo lavoro; poi, quando
avevo circa quindici anni, ha finalmente iniziato a fare quello che
desiderava.
C’è stato immediatamente uno straordinario miglioramento nell’atmosfera
domestica. Fu in quel momento che mi resi conto che l’approccio che ognuno
ha nei confronti del lavoro – incluso il mio – è fortemente influenzato
dalla storia familiare. Di questo dobbiamo tenere conto quando riflettiamo
sul futuro della nostra vita lavorativa. Ho iniziato a lavorare solo dopo la
scuola. Continuavo a dire a mio padre che volevo fare come Siddhartha –
vivere in modo semplice, lungo un fiume; ma lui mi continuava a ripetere che
non era possibile, che per vivere era necessario lavorare.
Mi ricordo che a diciannove anni, quando andai per la prima volta in India
il padre della mia fidanzata mi guardò con un’espressione di scherno,
dicendo: “Come andrebbe avanti l’economia del paese se tutti facessero come
te?”. In realtà, durante il mio viaggio in India vissi sulla mia pelle la
contraddizione tra spiritualità ed efficienza. C’era molta spiritualità, ma
le cose non funzionavano bene, almeno dal mio punto di vista occidentale.
Quando sono tornato in America, per iniziare quello che poi è diventato il
mio lavoro, mi resi conto dell’incapacità del mio paese di integrare la
pratica contemplativa con uno stile di vita e di economia occidentale. Mi
resi conto che se volevamo avere un qualche tipo di trasformazione
spirituale, era necessario rivedere interamente il modo di pensare il
lavoro.
– Questo porta immediatamente al suo concetto di “anti-carriera”. Cosa
intende con questo termine?
Uso il termine “anti-carriera” in antitesi con quello che si intende
comunemente per carriera professionale e che provoca sofferenza, stress e
una competizione continua per migliorare la propria posizione. Sono fin
troppe le persone che immolano le loro vite sulla croce del lavoro.
Dobbiamo, invece, fare in modo di trovare una dimensione coerente, direi
“olistica” alla nostra vita, dove il lavoro costituisce solo un aspetto e
non l’intera nostra esistenza.
– Quindi quello che insegna e di cui parla nel suo libro è qualcosa di più
di come trovare il classico “buon lavoro “
Sì, perché trovare un “buon lavoro” non risolve affatto il problema. Anzi, è
proprio questa l’illusione più grande. Pensa a tutte le persone che hanno
quello che si definisce un ottimo lavoro e che sono profondamente infelici.
Nel mio libro parlo della capacità di “allineare” la propria vita in maniera
che il lavoro rifletta le proprie priorità, la propria natura interiore,
quello che ognuno sente profondamente di essere. Il lavoro dovrebbe servire
da supporto alla crescita umana e non ostacolarla, come invece accade.
– Allora, qual è il segreto? Come si fa a creare il lavoro che si ama?
Prima di tutto, vorrei che si dimenticasse l’idea del “come si fa”, perché è
proprio lì che iniziano le difficoltà. La nostra è diventata la cultura del
“come si fa”; sembra che per ogni cosa esistano “dieci facili passi da fare
per…”. Poi quando riusciamo a realizzare quello che desideravamo, ci
accorgiamo che non c’è stata una vera trasformazione.
Non bisogna partire dal punto di vista dell’ego, si tratta piuttosto di
entrare più profondamente in un processo di creazione. Quando si procede in
questo modo, allora sì che emerge il lavoro o la vocazione che si cercava. È
questa la direzione da seguire.
– Nel suo nuovo corso in audio, approfondisce il concetto di “lavorare con i
chakra”. Non è insolito tutto questo per un ex-docente della Columbia
University?
Sì, alcuni pensano proprio così.
– Allora la domanda ovvia è: qual è il rapporto tra chakra e lavoro?
Non c’è un rapporto diretto. I chakra forniscono un modello interculturale
di integrazione mente-corpo relativamente facile da capire. Se si utilizza
quest’approccio, si evita di perdersi nella nozione che il lavoro sia
qualcosa di separato dal resto della vita. Quindi invece di chiederci in che
modo i chakra hanno a che fare con la nostra carriera, dovremmo chiederci in
che modo essi hanno a che fare con la nostra vita.
L’aspetto più importante del modello dei chakra è il fatto di non essere un
modello basato sull’ego. Non è un modello basato esclusivamente sul mondo di
fuori, ma nemmeno sul mondo interiore. Piuttosto è basato sull’interezza
dell’essere. Ciò permette di pensare al proprio lavoro in termini
universali.
– Potresti fare un esempio di come funziona tutto questo?
Ricordiamoci che abbiamo a che fare con un processo di creazione. I chakra
servono come “ancore”. Attraverso la meditazione, la visualizzazione e i
vari metodi di focalizzazione, s’impara a portare la propria attenzione ad
un chakra particolare – e non solo intellettualmente, ma tramite il
sentimento, l’intuito e la forza piena del nostro essere. In questo modo è
possibile fare esperienza delle questioni fondamentali della nostra vita che
sono localizzate in ciascun chakra.
Per esempio, il secondo chakra ci connette con la questione del sentimento
opposto all’apatia. E qui l’idea è che ogni vocazione di successo deve
essere spinta da passione e dedizione. All’inizio di questo mio percorso ero
vittima dell’illusione romantica che il lavoro potesse derivare solo dalla
gioia. Oggi, la mia esperienza mi fa dire che alcune delle professioni più
prestigiose spesso nascono da frustrazione, rabbia o indignazione. Nessuna
carriera è mai nata dall’apatia.
Lavorare sul secondo chakra aiuta a contattare i propri sentimenti per
lasciarli poi scorrere liberamente. Aiuta a rendersi conto delle cose a cui
si tiene di più. I chakra possono aiutarci ad uscire dalla nostra mente per
entrare nel cuore della questione, cioè da dove proviene veramente il tuo
lavoro. I chakra ci consentono di toccare le forze inconsce che stanno alla
base della nostra vocazione e di allineare la nostra coscienza all’interno
di esse.
– In che modo la meditazione aiuta a trovare quello che lei chiama “lavoro
giusto”?
Questo è un punto molto importante. Molte persone pensano che basta inviare
dei curricula e riuscire a definire le proprie qualifiche per trovare il
lavoro della propria vita, senza preoccuparsi del loro mondo interiore.
Quello che può fare la meditazione è aiutare a connettere il mondo interiore
con il mondo esteriore. La meditazione può aiutare ad essere più presenti
nel mondo e nel lavoro.
Possiamo usare la meditazione anche per trasformare coscientemente i nostri
sogni e ideali in azione. La meditazione aiuta a mettere in connessione le
due parti del cervello, quella ricettiva e quella attiva. Qualunque cosa si
faccia, è di vitale importanza trovare il modo di integrare il proprio mondo
interiore nel quotidiano.
– Ci sono numerosi libri e seminari su come trovare un lavoro appropriato.
In cosa differisce la sua proposta?
Il mio approccio è molto differente non solo rispetto ai seminari promossi
dalle grandi aziende, ma anche da quello che viene proposto dai tradizionali
corsi di orientamento al lavoro. Primo, perché nel nostro lavoro vengono
presi in considerazione anche gli stati alterati di coscienza, rispettando
così l’intera dimensione dell’umano. Secondo, perché vediamo il lavoro come
parte di una rivelazione, non come qualcosa che separa il mondo interiore da
quello esteriore.
Terzo, il tradizionale orientamento al lavoro incoraggia ad elencare i
propri talenti ed abilità per poi provare a combinarli con il mercato,
trascurando quelle che sono le ricchezze interiori di ognuno, la storia
familiare. Noi invece andiamo a scavare nell’intera discendenza, la
cosiddetta chakra-radice.
Il mio lavoro si distingue da altri approcci anche perché non è focalizzato
unicamente sul risultato, ma sul processo. E quando il processo è genuino,
il risultato viene fuori spontaneamente. Per noi, il lavoro è qualcosa che
fa parte della nostra crescita spirituale e non qualcosa da fare
malvolentieri solo per guadagnarci da vivere.
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