di Simon Tami
– Pubblicato su Aam Terra Nuova, maggio 2006
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( Intervista allo psicologo americano Rick Jarow, autore di ‘Crea il lavoro
che ami’, che invita a inserire con soddisfazione, il lavoro nella propria
vita senza dimenticare di chiedersi “chi siamo” e “cosa davvero amiamo
fare”.)
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Molto noto negli Stati Uniti per proporre il lavoro come “vocazione” o
“chiamata ” più che come impiego da svolgere come obbligo, Rick Jarrow
presenta un approccio alternativo alla ricerca del lavoro, cominciando dai
valori che rendono degna e interessante la vita. Allora la domanda centrale
non è più: Che cosa potrei fare? Quanto: in che modo voglio essere al mondo?
D.:- Quando ha iniziato a occuparsi delle problematiche relative alla scelta
del lavoro?
R.:- È stata una questione di sincronia, questo del resto è il mio approccio
nei confronti di qualsiasi cosa. Mio padre odiava il suo lavoro; poi, quando
avevo circa quindici anni, ha finalmente iniziando a fare quello che
desiderava. C’è stato immediatamente uno straordinario miglioramento
nell’atmosfera domestica. Fu in quel momento che mi resi conto che
l’approccio che ognuno ha nei confronti del lavoro – incluso il mio – è
fortemente influenzato dalla storia familiare. Di questo dobbiamo tenere
conto quando riflettiamo sul futuro della nostra vita lavorativa. Ho
iniziato a lavorare solo dopo la scuola. Continuavo a dire a mio padre che
volevo fare come Siddhartha – vivere in modo semplice, lungo un fiume; ma
lui mi continuava a ripetere che non era possibile, che per vivere era
necessario lavorare.
Mi ricordo che a diciannove anni, quando andai per la prima volta in India
il padre della mia fidanzata mi guardò con un’espressione di scherno,
dicendo: “Come andrebbe avanti l’economia del paese se tutti facessero come
te?”. In realtà, durante il mio viaggio in India vissi sulla mia pelle la
contraddizione tra spiritualità ed efficienza. C’era molta spiritualità, ma
le cose non funzionavano bene, almeno dal mio punto di vista occidentale.
Quando sono tornato in America, per iniziare quello che poi è diventato il
mio lavoro, mi resi conto dell’incapacità del mio paese di integrare la
pratica contemplativa con uno stile di vita e di economia occidentale. Mi
resi conto che se volevamo avere un qualche tipo di trasformazione
spirituale, era necessario rivedere interamente il modo di pensare il
lavoro.
D._ – Questo porta immediatamente al suo concetto di “anti-carriera”. Cosa
intende con questo termine?
R.:- Uso il termine “anti-carriera” in antitesi con quello che si intende
comunemente per carriera professionale e che provoca sofferenza, stress e
una competizione continua per migliorare la propria posizione. Sono fin
troppe le persone che immolano le loro vite sulla croce del lavoro.
Dobbiamo, invece, fare in modo di trovare una dimensione coerente, direi
“olistica” alla nostra vita, dove il lavoro costituisce solo un aspetto e
non l’intera nostra esistenza.
D.:- Quindi quello che insegna e di cui parla nel suo libro è qualcosa di
più di come trovare il classico “buon lavoro “…
R.:- Sì, perché trovare un “buon lavoro” non risolve affatto il problema.
Anzi, è proprio questa l’illusione più grande. Pensa a tutte le persone che
hanno quello che si definisce un ottimo lavoro e che sono profondamente
infelici. Nel mio libro parlo della capacità di “allineare” la propria vita
in maniera che il lavoro rifletta le proprie priorità, la propria natura
interiore, quello che ognuno sente profondamente di essere. Il lavoro
dovrebbe servire da supporto alla crescita umana e non ostacolarla, come
invece accade.
D.:- Allora, qual è il segreto? Come si fa a creare il lavoro che si ama?
R.:- Prima di tutto, vorrei che si dimenticasse l’idea del “come si fa”,
perché è proprio lì che iniziano le difficoltà. La nostra è diventata la
cultura del “come si fa”; sembra che per ogni cosa esistano “dieci facili
passi da fare per…”. Poi quando riusciamo a realizzare quello che
desideravamo, ci accorgiamo che non c’è stata una vera trasformazione. Non
bisogna partire dal punto di vista dell’ego, si tratta piuttosto di entrare
più profondamente in un processo di creazione. Quando si procede in questo
modo, allora sì che emerge il lavoro o la vocazione che si cercava. È questa
la direzione da seguire.
D.:- Nel suo nuovo corso in audio, approfondisce il concetto di “lavorare
con i chakra”. Non è insolito tutto questo per un ex-docente della Columbia
University?
R.:- Sì, alcuni pensano proprio così.
D.:- Allora la domanda ovvia è: qual è il rapporto tra chakra e lavoro?
R.:- Non c’è un rapporto diretto. I chakra forniscono un modello
interculturale di integrazione mente-corpo relativamente facile da capire.
Se si utilizza quest’approccio, si evita di perdersi nella nozione che il
lavoro sia qualcosa di separato dal resto della vita. Quindi invece di
chiederci in che modo i chakra hanno a che fare con la nostra carriera,
dovremmo chiederci in che modo essi hanno a che fare con la nostra vita.
L’aspetto più importante del modello dei chakra è il fatto di non essere un
modello basato sull’ego. Non è un modello basato esclusivamente sul mondo di
fuori, ma nemmeno sul mondo interiore. Piuttosto è basato sull’interezza
dell’essere. Ciò permette di pensare al proprio lavoro in termini
universali.
D.:- Potreste fare un esempio di come funziona tutto questo?
R.:- Ricordiamoci che abbiamo a che fare con un processo di creazione. I
chakra servono come “ancore”. Attraverso la meditazione, la visualizzazione
e i vari metodi di focalizzazione, s’impara a portare la propria attenzione
ad un chakra particolare – e non solo intellettualmente, ma tramite il
sentimento, l’intuito e la forza piena del nostro essere. In questo modo è
possibile fare esperienza delle questioni fondamentali della nostra vita che
sono localizzate in ciascun chakra. Per esempio, il secondo chakra ci
connette con la questione del sentimento opposto all’apatia. E qui l’idea è
che ogni vocazione di successo deve essere spinta da passione e dedizione.
All’inizio di questo mio percorso ero vittima dell’illusione romantica che
il lavoro potesse derivare solo dalla gioia. Oggi, la mia esperienza mi fa
dire che alcune delle professioni più prestigiose spesso nascono da
frustrazione, rabbia o indignazione. Nessuna carriera è mai nata
dall’apatia. Lavorare sul secondo chakra aiuta a contattare i propri
sentimenti per lasciarli poi scorrere liberamente. Aiuta a rendersi conto
delle cose a cui si tiene di più. I chakra possono aiutarci ad uscire dalla
nostra mente per entrare nel cuore della questione, cioè da dove proviene
veramente il tuo lavoro. I chakra ci consentono di toccare le forze inconsce
che stanno alla base della nostra vocazione e di allineare la nostra
coscienza all’interno di esse.
D.:- In che modo la meditazione aiuta a trovare quello che lei chiama
“lavoro giusto”?
R,:- Questo è un punto molto importante. Molte persone pensano che basta
inviare dei curricula e riuscire a definire le proprie qualifiche per
trovare il lavoro della propria vita, senza preoccuparsi del loro mondo
interiore. Quello che può fare la meditazione è aiutare a connettere il
mondo interiore con il mondo esteriore. La meditazione può aiutare ad essere
più presenti nel mondo e nel lavoro. Possiamo usare la meditazione anche per
trasformare coscientemente i nostri sogni e ideali in azione. La meditazione
aiuta a mettere in connessione le due parti del cervello, quella ricettiva e
quella attiva. Qualunque cosa si faccia, è di vitale importanza trovare il
modo di integrare il proprio mondo interiore nel quotidiano.
D.:- Ci sono numerosi libri e seminari su come trovare un lavoro
appropriato. In cosa differisce la sua proposta?
Il mio approccio è molto differente non solo rispetto ai seminari promossi
dalle grandi aziende, ma anche da quello che viene proposto dai tradizionali
corsi di orientamento al lavoro. Primo, perché nel nostro lavoro vengono
presi in considerazione anche gli stati alterati di coscienza, rispettando
così l’intera dimensione dell’umano. Secondo, perché vediamo il lavoro come
parte di una rivelazione, non come qualcosa che separa il mondo interiore da
quello esteriore. Terzo, il tradizionale orientamento al lavoro incoraggia
ad elencare i propri talenti ed abilità per poi provare a combinarli con il
mercato, trascurando quelle che sono le ricchezze interiori di ognuno, la
storia familiare. Noi invece andiamo a scavare nell’intera discendenza, la
cosiddetta chakra-radice. Il mio lavoro si distingue da altri approcci anche
perché non è focalizzato unicamente sul risultato, ma sul processo. E quando
il processo è genuino, il risultato viene fuori spontaneamente. Per noi, il
lavoro è qualcosa che fa parte della nostra crescita spirituale e non
qualcosa da fare malvolentieri solo per guadagnarci da vivere.
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