Credere – Jiddu Krishnamurti

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Credere

di Jiddu Krishnamurti

Ci si può convertire da una fede all’altra, si può passare da un dogma
all’altro, ma non ci si può convertire alla comprensione della realtà:
credere non è realtà .

Potete cambiare le vostre idee, cambiare opinione, ma la verità, Dio, non
sono una convinzione: sono un’esperienza che non si basa su nessuna fede o
dogma e nemmeno su nessuna precedente esperienza. Se avete avuto
un’esperienza nata dalla fede, la vostra esperienza è il riflesso
condizionato di quella fede. Se avete un’esperienza inaspettatamente,
spontaneamente, e costruite altre esperienze sulla prima, allora
l’esperienza non è che la continuazione del ricordo che risponde al contatto
col presente. Il ricordo è sempre morto, viene in essere soltanto in
contatto col presente vivo.

La conversione è un cambiamento da una fede, o dogma, a un’altra, da una
cerimonia a un’altra più edificante, e non apre la porta alla realtà. Anzi,
una cerimonia edificante è un ostacolo alla realtà. Eppure è proprio questo
ciò che le religioni organizzate e i gruppi religiosi tentano di fare:
convertirvi a un dogma più o meno ragionevole, a superstizioni o speranze
più o meno ragionevoli. Vi offrono una gabbia migliore. Essa può, o non può
essere comoda, ciò dipende dal vostro temperamento, ma è sempre una
prigione. Religiosamente e politicamente, a livelli di cultura differenti,
questa conversione è continuamente in corso. Le organizzazioni, coi loro
capi, si sforzano di mantenere l’uomo nei quadri ideologici che esse
offrono, sia religiosi sia economici. In questo processo si trova il
reciproco sfruttamento. La verità è al di fuori di ogni schema, paura o
speranza. Se volete scoprire la suprema felicità della verità, dovete
rompere con ogni cerimonia e tutti gli schemi ideologici. La mente trova
forza e sicurezza in schemi religiosi e politici, ed è proprio questo che dà
base e resistenza alle organizzazioni. Ci sono sempre i duri a morire e le
nuove reclute. Costoro mantengono le organizzazioni, coi loro investimenti e
proprietà, in funzione, e la potenza e il prestigio delle organizzazioni
attraggono coloro che adorano il successo e la saggezza mondana. Quando la
mente si accorge che gli antichi schemi non sono più soddisfacenti e
vitalizzati, si converte ad altri dogmi e altre fedi di maggior conforto e
dispensatori di nuove energie. Onde la mente non è che il prodotto
dell’ambiente, e si ricrea e si sostiene con sensazioni e identificazioni;
ed è per questo che la mente aderisce a norme di condotta, a scuole di
pensiero e cosi via. Finché la mente non sarà che il prodotto del passato,
non potrà mai scoprire la verità né permettere alla verità di venire in
essere. Restando aggrappata alle organizzazioni, rinuncia alla ricerca della
verità.

Ovviamente, i riti offrono ai partecipanti un’atmosfera in cui essi si
trovano a loro agio. Tanto i riti collettivi quanto quelli individuali danno
una certa serenità alla mente; offrono un contrasto vitale col tedio e la
monotonia della vita quotidiana. C’è una certa quantità di bellezza e di
ordine nelle cerimonie, ma fondamentalmente, non sono che degli eccitanti; e
come tutti gli eccitanti in breve ottundono la mente e il cuore. I riti
divengono abitudine; divengono una necessità, e non se ne può più fare a
meno. Questa necessità è considerata una rinascita spirituale, un raduno
delle forze necessarie per affrontare la vita, una meditazione quotidiana o
settimanale, e cosi via; ma se si osserva più attentamente questo processo,
si vedrà che i riti sono una vana ripetizione, la quale offre un’evasione
mirabile e decente dalla conoscenza di sé.
Senza conoscenza di sé, l’azione conta ben poco. La ripetizione di canti
sacri, inni e litanie, di parole e frasi, fa dormire la mente, anche se
abbastanza stimolante per il momento. In questo stato di assopimento, si
verificano delle esperienze, ma non sono che proiezioni di se stesse. Per
edificanti che siano, queste esperienze sono illusorie. La sperimentazione
della realtà non viene in essere mediante nessuna ripetizione, mediante
nessuna pratica. La verità non è un fine, un risultato, una meta; non la si
può invitare, perché non è un oggetto della mente.

Jiddu Krishnamurti

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