(di Stefano Momentè)
L’Oriente incontra l’Occidente – Per una nuova civiltà di Pace
Meeting di Assisi – 9 settembre 2005
(intervento di Stefano Momentè)
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Gli animali sono una delle manifestazioni di Dio. In loro c’è atman, il
soffio divino. È per questo che induisti e buddisti non dovrebbero mangiare
carne. Farlo sarebbe un crimine. Lo dicono i Veda, i testi sacri indiani
compilati migliaia di anni fa.
La tradizione vedica considera ogni essere vivente come un’anima spirituale
individuale e quindi sostiene che ahimsa, la non violenza, costituisce la
più alta forma di religione. Ma afferma anche che ogni anima nel mondo
materiale sta compiendo un viaggio di evoluzione per giungere alla
liberazione finale (moksha), e che, perciò, ostacolare tale evoluzione
uccidendo un altro essere per un personale profitto, è una grave mancanza.
Voglio soffermarmi su ahimsa, termine che incontrai per la prima volta oltre
vent’anni fa e che contribuì non poco alla mia decisione di diventare
vegetariano prima e vegan dopo. Il significato di ahimsa trova una sua
splendida definizione negli Yoga Sutra di Patanjali: l’attenzione verso
tutti gli esseri viventi, in particolare gli innocenti, quelli in difficoltà
o quelli che si trovano in una situazione peggiore della nostra.
Ahimsa è anche il pilastro su cui da 2600 anni poggia la dottrina jainista,
altra grande religione indiana: Ahimsa Parmo Dharma, la compassione è il
supremo dovere di ogni essere vivente. Ma anche: la compassione è la vera
natura di ogni essere vivente. Ahimsa è il principio che i jaina cercano di
praticare non solo nei confronti degli esseri umani ma anche verso tutta la
natura. Alla luce di quanto dicono le scritture: non ferire, abusare,
opprimere, schiavizzare, insultare, tormentare, torturare o uccidere nessun
essere vivente, incluse le piante e tutti i vegetali.
Per il jainismo l’anima di ogni essere vivente – uomo, animale, vegetale, ma
anche degli elementi – è eterna e divina, e aspira a lasciare il corpo
materiale per raggiungere lo stadio di Anima Liberata. Tutte le anime sono
potenzialmente divine, nessuna superiore o inferiore ad un’altra, tutte
potenzialmente onniscenti e sante. I jaina ritengono che per percorrere la
via che conduce alla Liberazione sia indispensabile mangiare un cibo puro e
vegetariano, poiché, cibandosi dei corpi degli animali, l’anima involve
inevitabilmente nell’imbarbarimento, nella disperazione e nel dolore.
I jaina sono quindi i vegetariani più stretti e coscenziosi dell’area
culturale indiana. Dei Veda accettano solo i concetti di karma e
reincarnazione, rifiutando tutto il resto, ma, come afferma Maria Luisa
Tornotti nel suo La non violenza nella cultura indiana dai Veda a Gandhi:
rappresentano il massimo tentativo che sia mai stato messo in atto per
ridurre o annullare la violenza.
Come? Nell’applicazione di ahimsa in ogni istante della loro vita,
adattandosi ai cambiamenti e arrivando perfino ad inasprire le loro regole
di condotta, se necessario: è solo di qualche anno fa, infatti, un volume di
aggiornamento dottrinale jainista – tradotto per il nostro Paese da Claudia
Pastorino e Massimo Tettamanti – nel quale viene evidenziata la necessità di
abolire il consumo non solo delle carni degli animali, ma anche di tutti
quei prodotti derivanti da grande violenza sugli animali, come il latte, le
uova, i formaggi, il burro. È così che, perciò, attualmente i monaci
jainisti stanno, per esempio, sostituendo il latte animale – utilizzato in
alcuni rituali all’interno dei Templi – con il latte di soia e il latte di
riso.
Il tema, seppur in tono minore, si sta affrontando anche in altri gruppi
religiosi dell’area indiana, come i vaisnava. Perché – dicono i
riformatori – quando nacquero le Sacre Scritture non esistevano gli
allevamenti intensivi. E se gli Dei all’origine si nutrivano di latte,
yogurt, panna e burro, allevavano mucche felici e si attaccavano
direttamente alle loro mammelle per suggere il prezioso nettare, il latte
che si trova oggi sul mercato non è più lo stesso. Gli allevamenti moderni
sono causa di indicibili sofferenze per gli animali che lo producono. E il
latte prodotto, quindi, non è più raccomandabile secondo i principi vedici
di veridicità, compassione, pulizia e austerità.
Gli allevamenti intensivi – e qui parlo in qualità di rappresentante di
Vegan Italia – sono un vero pericolo per l’umanità. Alcuni dati ce li
fornisce l’economista Jeremy Rifkin in Ecocidio: il 70 % dell’acqua
disponibile è utilizzata per abbeverare bestiame e innaffiare i pascoli; una
mucca beve 200 litri d’acqua al giorno e quindi per produrre 5 chili di
carne serve tanta acqua quanta ne consuma una famiglia media in un anno; il
36 % di tutti i cereali prodotti al mondo viene impiegato per nutrire gli
animali da carne e da latte; se la produzione agricola mondiale si
concentrasse sui cereali per l’alimentazione umana, anziché animale, si
potrebbero nutrire più di un miliardo di persone in tutto il mondo. E questi
sono solo alcuni esempi.
Voglio ricordare, inoltre, come si sta cancellando la foresta pluviale per
fare spazio ai pascoli – solo nell’ultimo anno in Amazzonia è sparita una
superficie pari alla Sardegna -; o il massiccio inquinamento provocato dalle
deiezioni animali; o ancora che i bovini sono la principale causa
riconosciuta di desertificazione.
Il futuro, purtroppo, non si presenta roseo. Da una parte la domanda di
carne continua a crescere in proporzione all’aumento del reddito, e
dall’altra
800 milioni di persone soffrono la fame perché gran parte del terreno
coltivabile del pianeta viene dedicato a farvi nascere foraggio e cibo per
gli animali. Ovunque. Anche in India, terra che in questi anni, grazie ad un
vasto programma di liberizzazione, la World Trade Organization sta
subdolamente cercando di trasformare in carnivora. Con sussidi fino al 100 %
e incentivi fiscali per incoraggiare l’apertura di nuovi macelli.
In una situazione simile parlare di consapevolezza risulta difficile. Anche
se un po’ di speranza ce la porta una causa vinta contro un macello nella
regione dell’Andra Pradesh, nella quale il giudice ha ordinato una riduzione
del 50 % della sua capacità di macellazione per salvare il bestiame e
l’economia
rurale. Con una sentenza che afferma:
“Il dovere fondamentale della compassione per tutte le creature viventi è
stabilito nella nostra costituzione. Primo, lo Stato indiano non può
esportare animali vivi affinché essi siano uccisi; secondo, non può
collaborare nell’uccisione degli animali avallando l’export di scatolame
contenente parti di animali macellati. Questo significa preservare il
retaggio culturale dell’India. L’India può esportare un messaggio di
compassione verso tutte le creature viventi nel mondo, che serva da monito
al mondo per preservare l’ecologia, che è dharma comune ad ogni civiltà”.
Questo in India. Ma anche noi possiamo fare qualcosa. Anzi, molto.
Praticando l’ahimsa a partire dal più elementare gesto quotidiano,
improntando la nostra vita al massimo rispetto per i viventi, alla
compassione e all’amore. Siamo tutti in grado di farlo. L’unico strumento
necessario alla nostra consapevolezza è il desiderio di conoscenza, la
volontà di superare i limiti dell’abitudine e delle barriere culturali.
Riconoscendo i nostri limiti possiamo guardare più da vicino la realtà,
senza stravolgere le nostre vite, ma semplicemente ampliando per gradi il
nostro orizzonte, muovendoci a cerchi concentrici, partendo da noi stessi,
estendendo la nostra consapevolezza, la nostra compassione, il nostro
rispetto, via via ai cerchi più esterni, che comprendono gli altri, umani e
non umani, e quindi l’intera natura.
A me è successo così. Da un giorno all’altro ho deciso che non avrei più
tenuto gli occhi chiusi. Giusto vent’anni fa, nel febbraio 1985, sono
diventato vegetariano, e sapevo che non mi sarei fermato. Ho proseguito
allargando i miei cerchi: eliminando gradualmente tutti i prodotti di
origine animale dalla mia alimentazione, dal mio vestiario e dal mio stile
di vita in generale.
Certo, nessuno dice che sia facile. Per questo è importante mantenere sempre
la consapevolezza, in ogni istante. Con l’obiettivo, in ogni nostra azione
quotidiana, fin dalle più semplici, di procurare almeno il minor danno.
Perché Ahimsa Parmo Dharma, è la compassione la nostra vera natura.
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