Dalla malattia alla trascendenza

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Dalla malattia alla trascendenza

di Loredana Filippi

Tutte le antiche medicine si fondavano, alla loro origine, su presupposti mai esclusivamente
“terapeutici”, nel senso attuale e nel valore che questo termine ha assunto nell’evoluzione
“scientifica” dell’attuale ricerca medica.

Cura e prevenzione delle cosiddette “malattie” non rappresentavano, come oggi, il fine ultimo, bensì
il presupposto che permette all’essere umano di evolvere, in un cammino di costante miglioramento
verso stati più evoluti di esistenza.

L’orientamento meramente terapeutico verso cui si è invece rivolta la scienza medica moderna si basa
su di una concezione della salute come assenza di malattia e identifica quest’ultima nelle
problematiche, quasi esclusivamente legate al corpo fisico, che pregiudicano o rischiano di
pregiudicare le capacità produttive dell’individuo.

Un’ottica assolutamente riduzionistica, che priva la malattia di tutto quell’enorme potenziale,
simbolico e “significante”, di cui la malattia si fa portatrice quasi già fosse, essa stessa, una
forma di terapia o di “correzione” di un errato o non funzionale cammino. Ottica che purtroppo
finisce per non valorizzare, se non addirittura ignorare, un’immensa gamma di disturbi, sensi di
malessere o disagio, non considerati patologici se non quando siano accompagnati da alterazioni
organiche o fisiologiche, o da variazione rispetto ai valori cosiddetti “medi” o “nella norma”.

Osserva Giulia Boschi, nel suo recente libro La radice e i fiori, che l’antico pensiero orientale
non prendeva a modello “individui comuni”, come fa invece lo standard tipico della medicina
occidentale, bensì superiori alla media, individui cioè che hanno raggiunto uno stato di benessere
psicofisico e di capacità intellettive elevato, che diviene modello di un benessere ben più ampio,
non solo “fisico, mentale e sociale” (lo stesso descritto dall’OMS), bensì anche spirituale, che
contempli cioè l’innegabile se non necessaria dimensione teleologica dell’esistenza.

La medicina dunque non poteva essere intesa nel pensiero antico, orientale ma non solo, come insieme
di azioni terapeutiche e preventive utili per riportare l’individuo all’efficienza (il nostro
primario presupposto culturale), ma piuttosto come insieme di tutte le tecniche e le nozioni che da
secoli le più antiche culture tramandano per far evolvere l’uomo verso un ideale superiore di
completezza.

Cura e prevenzione della malattia, insieme alla sua indispensabile “comprensione”, volgevano – e
potrebbero volgere tuttora – ad un cammino di autoelevazione, dalla malattia alla trascendenza, dove
terapia, prevenzione e sviluppo delle individuali facoltà non rappresentano che tappe di un unico
percorso, nel quale lo stato di salute non è che il livello medio, sostegno e presupposto di una
vera scienza intesa all’evoluzione dell’essere umano.

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