Dalla moralità alla spiritualità

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Dalla moralità alla spiritualità

Senza un’ispirazione spirituale che è alla base di ogni comportamento morale, ogni tentativo
d’imporre la moralità con la forza della legge inevitabilmente fallirà.

di Caitanya Carana dasa

Tratto da “Ritorno a Krishna”

Siamo stanchi di leggere articoli di giornale che parlano di corruzione, di nepotismo, di
favoritismi e d’infedeltà. I politici dicono: “La soluzione di tutto sta nell’educare le persone
alla moralità e ai valori.” Ma la maggior parte delle persone sa distinguere ciò che è giusto da ciò
che non lo è? Penso di no. Si limitano però a pensare che nella vita se la passeranno meglio senza
seguire codici morali e le esortazioni dei moralisti o le leggi dei politici non li inducono a
pensare diversamente.

Vivere osservando i princìpi morali è come rispettare le leggi del traffico per viaggiare con
tranquillità e con sicurezza. Lo scopo di un viaggio, in ogni caso, non è quello di rispettare le
leggi, ma di arrivare a destinazione. Se un viaggiatore pensa che le leggi del traffico lo facciano
ritardare o siano di ostacolo al raggiungimento della sua destinazione, può darsi che non le
rispetti se crede di riuscire a farla franca.
Come le leggi del traffico, i princìpi morali sostengono l’ordine, in particolar modo per quanto
concerne i rapporti interpersonali, ma l’educazione moderna non insegna qual è lo scopo dei rapporti
tra le persone o quello della vita stessa. Conseguentemente le persone possono comportarsi
correttamente per rispetto alla loro cultura e tradizione, ma abbandonano la moralità quando si
sentono minacciati o tentati.

Ancora peggio, le proposte della moderna società consumistica incessantemente glorificate — fama,
ricchezza, lussuria, potere, piacere, prestigio — incoraggiano e rendono addirittura inevitabili i
comportamenti immorali. La Bhagavad-gita (16.8-15) insegna che una visione materialistica
generalizzata porta ad un’insaziabile lussuria ed avidità, che costringono a compiere azioni
immorali. Quando le persone sono circondate e bombardate da allettamenti materialistici possono
pensare che agire moralmente per loro significhi perdere molto, senza guadagnare niente di
tangibile.

In più, la nostra educazione atea non ci permette di conoscere nessuna legge naturale più elevata
per la comprensione del cosmo. E la possibilità che i nostri sistemi penali falliscano è anche
troppo nota a tutti. Il risultato? La moralità finisce per apparire del tutto superflua,
particolarmente ai furbi ed ai potenti. In queste condizioni come possiamo aspettarci che dei banali
luoghi comuni possano ispirare le persone a comportarsi moralmente?

“La moralità significa mancanza di opportunità.” Questo modo di dire esprime bene il vacillante
approccio utilitaristico alla moralità. I testi vedici dell’antica India affermano che la moralità
senza spiritualità non ha fondamento e che pertanto dura poco. Se vogliamo davvero una società
morale, dobbiamo introdurre un’educazione spirituale sistematica che poggi su un giusto scopo della
vita. I testi vedici ci fanno conoscere uno scopo spirituale universale e non settario per la vita:
sviluppare puro amore per Dio. Noi tutti siamo esseri spirituali fatti per avere un’eterna relazione
d’amore con l’affascinante essere spirituale supremo, Dio.

Poiché siamo costituzionalmente spirituali, troveremo la vera felicità non nei valori materiali, ma
nel risveglio spirituale del nostro innato amore per Dio. Più amiamo Dio, più diventiamo felici.
L’amore per Dio genera amore per tutti gli esseri viventi, nostri fratelli e sorelle di un’unica
universale famiglia di Dio. Quando amiamo tutti gli esseri viventi, non desidereremo più sfruttare o
manipolare gli altri per i nostri interessi egoistici. Al contrario, il nostro amore per Dio
ispirerà tutti noi ad amarci e servirci reciprocamente. Questo darà vita ad una cultura di affetto e
di fiducia che genera un comportamento morale e contrasta fortemente con la moderna cultura fatta di
alienazione e sospetto, che incoraggia invece l’immoralità.

Le sincere pratiche spirituali, anche nel loro stadio preliminare, stimolano il nostro innato
sistema di valori. Ci rendiamo conto intuitivamente che Dio è il nostro più grande benefattore. Di
conseguenza scegliamo volontariamente e liberamente di condurre una vita basata su princìpi morali e
spirituali, come Dio ha ordinato, ben sapendo che questo è nel nostro vero interesse. E mentre
troviamo una felicità interiore nell’amare Dio, ci liberiamo dall’egoismo, dalla lussuria,
dall’avidità e dagli impulsi egoistici. Smettiamo di pensare che con la nostra moralità stiamo
perdendo qualcosa. La moralità cessa di essere una scelta “difficile ma giusta”. Anzi essa diventa
la facile e naturale via d’azione per la nostra crescita spirituale.

Qualcuno può pensare: “Tutto questo sembra una buona cosa, ma non ha fondamento scientifico ed è
utopistico.” In altre parole, viviamo in un’epoca in cui solo il punto di vista pratico e
scientifico viene ritenuto ragionevole ed accettabile. Ma il punto di vista vedico è davvero
illogico o non pratico?
Dobbiamo ricordare che, sebbene la scienza non abbia mai provato che Dio e l’anima non esistono,
l’approccio riduttivo scelto dalla maggior parte degli scienziati per lo studio dell’universo si
basa proprio sulla non esistenza di realtà spirituali. Assai inaspettatamente, anche all’interno di
questa cornice alcuni scienziati concludono che l’evidenza suggerisce con forza l’esistenza di un
progettista dell’universo superintelligente (Dio) e di una sorgente di coscienza, di natura non
materiale, all’interno del corpo (anima).

L’amore per Dio appare utopistico solo finché non conosciamo la coerenza della filosofia e il ben
delineato percorso che consentono di ottenerlo. Per mezzo di pratiche spirituali sincere, come la
preghiera, la meditazione e il canto dei nomi di Dio, tutti possono ottenere arricchimento
spirituale. Non appena gustiamo l’amore immortale, ci rendiamo conto che esso è lo scopo definitivo
ed unificante della vita.
Qualcuno che ha familiarità con gli episodi della vita di Krishna e dei Suoi devoti potrebbe
obiettare: “Ma perfino Krishna, a volte, si comporta immoralmente e lo stesso fanno i Suoi devoti.
Com’è possibile che l’adorazione di un Dio immorale ci aiuti a diventare morali?”

Per comprendere questo, dobbiamo prima riflettere sullo scopo finale di ogni moralità. Nel mondo
materiale siamo persi nel buio dell’ignoranza e non sappiamo cosa fare e cosa non fare. Come torce
luminose, le regole morali c’indicano la strada. Esse ci permettono di non essere fermati dai
desideri egoistici e ci mantengono sul sentiero che porta al nostro obiettivo finale — ottenere
l’amore per Krishna e ritornare da Lui. Ma Krishna è la sorgente di ogni moralità, proprio come il
sole è la sorgente di tutta la luce. Poiché Egli è completamente soddisfatto in Se stesso, agisce
esclusivamente per l’amore disinteressato che prova per noi, sia reciprocando con il nostro amore,
sia aiutandoci a correggere i nostri percorsi sbagliati. Egli non ha bisogno di regole morali perché
in Lui non c’è la più piccola traccia di desideri egoistici.

Siamo noi che abbiamo bisogno dei codici morali perché siamo pieni di desideri egoistici. Ma se
diventiamo orgogliosi della nostra moralità e cerchiamo di giudicare Krishna con i nostri standard
morali è come cercare il sole con una torcia. È stupido e inutile.
Quando per sua scelta il sole sorge, con la sua effulgenza rivela tutta la sua gloria. Allo stesso
modo quando per Sua dolce volontà Krishna si rivela, allora possiamo capire la purezza della Sua
moralità e la Sua gloria. Fino ad allora per noi è meglio seguire scrupolosamente i codici morali
per compiacerLo affinché possa finalmente rivelarsi. E dovremmo stare attenti a non diventare
orgogliosi del nostro buon comportamento.

Se accettiamo che Krishna sia il Signore Supremo, possiamo ottenere una certa comprensione del fatto
che tutti i Suoi atti sono morali. Per esempio, Krishna ruba il burro nelle case delle pastorelle di
Vrindavana. Ma come si può considerarLo un ladro quando è Lui che crea e possiede tutto? Interpreta
il ruolo di un bambino per ricambiare l’affetto materno dei suoi devoti. Il Suo rubare, una
birichinata da bambino, rafforza la dolcezza dei loro scambi amorosi. Come si può paragonare questo
al nostro rubare che porta a pene e punizioni?

Similmente Krishna interpreta il ruolo di un giovane affascinante per ricambiare i devoti che
desiderano una relazione coniugale con Lui. Il suo amore per le gopi (le pastorelle) si basa non
sulla bellezza dei loro corpi ma sulla devozione dei loro cuori. Alcune persone affermano che i
passatempi di Krishna con le gopi sono uguali alle relazioni lussuriose tra ragazzi e ragazze
comuni. Ma allora perché persone sante molto rinunciate che non praticano l’amore sessuale di questo
mondo, considerandolo come disdicevole e disgustoso, adorano i passatempi di Krishna con le gopi?
Anche ai giorni nostri migliaia di persone in tutto il mondo riescono a controllare i desideri
lussuriosi cantando i nomi di Krishna e adorandoLo. Se Krishna in persona fosse soggetto alla
lussuria, come potrebbe liberare i Suoi devoti da essa?

Nella battaglia con i Kaurava, Krishna spinge i Pandava ad agire in modo immorale, ma questo è
quello che accade ai poliziotti che decidono di superare il limite di velocità per catturare i ladri
che stanno fuggendo. Essi violano il limite di velocità per servire la legge. Allo stesso modo i
Pandava violano i codici morali per uno scopo più elevato che Krishna vuole vedere raggiunto:
ristabilire il ruolo della moralità togliendo il potere agli immorali Kaurava.
In circostanze eccezionali, i devoti di Krishna possono agire apparentemente in modo immorale per
eseguire la Sua volontà che garantisce il bene definitivo di tutti gli esseri viventi. Ma in
generale i devoti seguono i codici morali come un’espressione della loro devozione a Krishna. In
effetti, senza devozione, non avremmo la forza interiore di sostenere per tutta la vita il rispetto
dei princìpi morali.

Dobbiamo essere cauti nella comprensione delle attività di Krishna, che sono al di sopra della
moralità. Altrimenti possiamo comprenderLo male e respingere il Suo amore, condannandoci a rimanere
sotto la moralità a soffrire le reazioni karmiche dei nostri errori.
Se vogliamo una moralità duratura, le vuote esortazioni e le leggi inefficaci non serviranno. Finché
alle persone s’insegna a perseguire obiettivi materiali, esse penseranno che la moralità sia poco
pratica o addirittura da evitare. Solo quando esse conoscono e cercano l’amore di Dio come scopo
della vita, la moralità sarà per loro desiderabile e pratica. Perciò a livello sociale, dobbiamo
introdurre una sincera educazione spirituale e pratiche che portino all’amore per Dio e alla
soddisfazione interiore. E a livello individuale, il riconoscimento delle basi spirituali della
moralità ci dà molta forza, ci apre una via d’azione molto superiore all’apatia, alla tacita
approvazione, ai lamenti senza speranza o all’indignazione degli ipocriti.

In un tessuto canceroso, una cellula sana può dar vita ad un processo di guarigione. Allo stesso
modo quando il cancro dell’immoralità affligge la società moderna ognuno di noi può, con una vita
d’integrità spirituale e morale, attivare il processo della guarigione del corpo sociale.

Caitanya Carana Dasa, che fa servizio a tempo pieno al tempio ISKCON di Fune, dirige una rivista
gratuita di cibernetica The Spiritual Scientist.

Caitanya Carana dasa

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