Dalla SOPRAVVIVENZA alla CREAZIONE
di Liz Lyell
“Ho scritto questo libro per aiutare a fare una distinzione tra i due stati mentali in cui viviamo,
ovvero lo stato di sopravvivenza e lo stato di creazione”. Ciò che stiamo iniziando a comprendere da
un punto di vista neuroscientifico è che il cervello non consiste in quell’insieme di circuiti
neurali fissi che eravamo abituati a pensare e che veniamo modificati da ogni singolo pensiero che
abbiamo, da ogni esperienza che abbracciamo, le cose che facciamo, le nostre fantasie segrete, i
nostri sogni, le nostre speranze. La verità è che siamo ciò che pensiamo, a livello neurologico.
Siamo ciò che facciamo, a livello neurologico. E’ questo in definitiva che forgia le nostre
consuetudini.
Il dott. Joe Dispenza è uno dei ricercatori e insegnanti che ha preso parte nel film >>> What the
bleep do we know?! (Ma che
bip
sappiamo veramente?!), vincitore di diversi premi. Il suo nuovo
libro, appena uscito in lingua italiana, >>> Evolvi il tuo cervello: La Scienza della Trasformazione
della mente, offre uno straordinario resoconto approfondito su come funziona il cervello ed in che
modo le persone possano trasformarlo cambiando, letteralmente, la loro mente. Il suo lavoro mostra
un modo del tutto nuovo di concepire chi e cosa sono gli esseri umani e tutto ciò che per noi è
possibile avviandoci verso il futuro.
LL: Nel suo libro cita che le sue esplorazioni l’hanno indotta ad essere ottimista riguardo gli
esseri umani. E’ interessante, può illustrarmi meglio il concetto?
JD: Quando viviamo stati emotivi tormentati o distruttivi, c’è sempre un vuoto tra il modo in cui le
cose appaiono ed il modo in cui sono veramente. Nel momento in cui cominciamo a creare dei
cambiamenti in noi stessi ed a concederci il permesso di superare le nostre limitazioni, questo
spazio tende a diminuire. Nel momento in cui ciò che siamo veramente si avvicina al modo in cui ci
mostriamo agli altri, questa maggiore trasparenza ci consente di compiere cose straordinarie. Per
questo motivo sono ottimista. Quando le persone infrangono la parvenza o la facciata dell’ immagine
che presentano di sé stesse, c’ è una propensione naturale alla generosità e al desiderio di
influire positivamente sul mondo, di generare cambiamenti, di offrire il proprio contributo, di
mutare il corso del destino. Per le persone realmente ispirate a riscoprire sé stesse, poiché hanno
superato certe cose o hanno realizzato i propri sogni, il quesito successivo sarà come poter
contribuire al mondo, come poter aiutare l’umanità, cioè dimorare nel nostro naturale stato d’essere
LL: In Evolvi il tuo cervello scrive in merito alla possibilità di cambiare il Sé, un concetto che
a cui si ricollega con regolarità. E’ un pò come se lei dicesse che quando ci riusciamo, approdiamo
ad un modo di essere più altruista o benevolo…
JD: Sì, credo che l’identità che abbiamo sia modificabile. La psicologia sostiene che all’età di 35
anni circa, la nostra personalità è un flusso permanente, ossia che possediamo un certo numero di
istruzioni automatiche preelaborate che abbiamo memorizzato per utilizzarle in qualsiasi
circostanza. In altre parole, non dobbiamo apprendere niente di nuovo né fare nulla in modo diverso,
poiché potrebbe sconvolgere la nostra continuità chimica. Mi riferisco alle comodità quotidiane, le
sensazioni prevedibili, le opinioni convenienti o le consuete abitudini che governano esattamente il
nostro destino. Ciò che stiamo iniziando a comprendere da un punto di vista neuroscientifico è che
il cervello non consiste in quell’insieme di circuiti neurali fissi che eravamo abituati a pensare e
che veniamo modificati da ogni singolo pensiero che abbiamo, da ogni esperienza che abbracciamo, le
cose che facciamo, le nostre fantasie segrete, i nostri sogni, le nostre speranze. Tutti questi
pensieri che elaboriamo, modellando e plasmando il cervello, sono letteralmente perfezionanti. Se
accettiamo l’idea che i nostri pensieri hanno a che fare con il nostro destino o il futuro, come mai
continuiamo a provare gli stessi stati d’animo? Come mai abbiamo un brusio di voci e chiacchiere in
testa che ci distolgono dalle nostre reali capacità? La verità è che siamo ciò che pensiamo, a
livello neurologico.
Siamo ciò che facciamo, a livello neurologico. E’ questo in definitiva che forgia le nostre
consuetudini. Cambiare significa dunque liberarsi della cattiva abitudine di prevenire noi stessi!
Trascorriamo la maggior parte della nostra vita permettendo al nostro ambiente – i fattori che
derivano dal mondo esterno – di condizionare ciò che pensiamo e chi siamo realmente. Ogni stimolo
esterno – le persone, gli oggetti e le circostanze della vita – attiva un diverso circuito nel
cervello. Cominciamo a pensare in maniera identica a ciò che ci sta intorno. In altre parole, il
mondo che ci circonda forma la nostra mentalità e se è vero che ciò che ci passa per la mente plasma
il nostro futuro, significa che perseveriamo in decisioni e progetti conformi a ciò che ci risulta
familiare. Cambiare vuol dire pensare ed agire diversamente nel medesimo contesto, pensare più in
grande di come emotivamente ci si sente. Cambiare consiste nel realizzare pensieri nuovi e far si
che il cervello stesso funzioni in modo nuovo, liberandosi degli schemi e reti neurali che attiva
normalmente, così che azioni e pensieri nuovi possano generare nuove realtà ed una vita migliore per
le persone.
LL:Considera il suo libro un manuale di brain training che traccia il percorso da seguire per questo
genere di trasformazioni?
JD: Evolvi il tuo cervello fornisce una prova attendibile che indica la via per comprendere quanto
il cervello sia estremamente malleabile, proprio come noi!
La difficoltà sta nel rivolgersi al perché stentiamo a cambiare o al perché ricadiamo continuamente
nelle vecchie abitudini. Ho scritto questo libro per aiutare a fare una distinzione tra i due stati
mentali in cui viviamo, ovvero lo stato di sopravvivenza e lo stato di creazione (nell’originale:
survival and creation). Quando viviamo in sopravvivenza, esistono solo poche cose importanti per
noi.
Tutta la nostra attenzione è focalizzata sul corpo, sull’ ambiente che ci circonda e sul tempo. Nel
momento in cui percepiamo una minaccia, o viviamo una certa circostanza, reale o immaginaria,
vengono rilasciate delle sostanze chimiche dall’organismo che innescano questo sistema nervoso
primitivo il quale a sua volta stimola una reazione biochimica legata allo stress ed in questo modo
cominciamo ad agire come un animale in una situazione di emergenza. Nell’altro stato mentale,
invece, incontriamo prosperità, espansione, crescita, risanamento e rigenerazione. Quando viviamo lo
stato di generazione(creazione), non esiste corpo e ambiente, né tempo. Di fatto, in questa
condizione ci dimentichiamo completamente di noi stessi! Abbandoniamo le associazioni col mondo che
ci circonda, con i nostri ricordi e sensazioni abituali. Quando cominciamo ad apprendere come il
cervello lavora in questo stato di generazione, ci accorgiamo che riesce a tracciare dei cambiamenti
e a codificarli in modo permanente iniziando a creare nuove reti neurali che ci permettono di
evolvere i nostri pensieri e azioni. Dunque ho scritto il libro per coniare questa distinzione tra
vivere in sopravvivenza- e come ciò influisce sul corpo e la mente – e vivere in questo intangibile
stato di generazione, il quale indica che abbiamo creato qualcosa nel cervello e l’abbiamo messo in
pratica così tante volte da rimanere codificato, e che il processo si è compiuto abbastanza volte da
consentirci di avere degli effetti sul nostro futuro.
LL: Se ho ben capito si tratta di due universi che vivono strettamente fianco a fianco e la distanza
tra di essi dipende dalla consapevolezza raggiunta di tale distinzione.
JD: Proprio così, il mio studio sulle remissioni spontanee è uno dei fattori che mi hanno indotto a
scrivere il libro, poiché ho assistito a straordinari miglioramenti delle condizioni di salute in
persone che si liberano delle vecchia abitudine di essere ciò che credono di essere e cominciano
invece a provare e riprovare mentalmente un nuovo stato d’essere riuscendo a dimostrare fisicamente
ciò in cui si sono esercitati mentalmente e aprendosi a nuove esperienze.
LL: Ho trovato davvero sorprendente il capitolo iniziale del libro in cui descrive il processo di
autoguarigione che ha affrontato in seguito ai danni riportati alla colonna vertebrale
nell’incidente con una bicicletta da triathlon.
JD:Quell’episodio mi spinse a farmi alcune domande che probabilmente non mi sarei posto se avessi
proseguito sulla linea temporale in cui la mia vita si trovava in quel momento. Quando sei giovane
hai tutto ciò che vuoi e vivi un uno stato euforico, poi all’improvviso tutte queste cose ti vengono
tolte
Dovevo chiedere a me stesso se avevo fiducia nel fenomeno e se confidavo nel processo e credo
che sia avvenuto quando cominciai a capire che non si trattava solo di un concetto filosofico, ma
era qualcosa di reale che si poteva intraprendere.
LL: E’ chiaro che molte persone credono che al nostro corpo serva una guarigione in qualche modo.
Anche lei pensa che il genere umano e la condizione del mondo necessitino una guarigione?
JD: (Ride) Sì, la fisica quantistica sostiene che l’ambiente in cui viviamo sia l’estensione della
nostra mente. Penso che la prima fase per valutare i cambiamenti nel nostro ambiente consista nel
rendere misurabili i cambiamenti in noi stessi e nella vita personale. Una volta che riusciamo a
spazzare via quelle penose emozioni che normalmente proviamo, resteremo sorpresi del tipo di
influenza che possiamo esercitare nell’introdurre cambiamenti nel mondo. Non si può avere una reale
avversione per la guerra, o per il problema del petrolio, o per i modi di vita del capitalismo se si
sono interiorizzate o abbracciate le stesse emozioni che costituiscono le ragioni per cui esiste
tale situazione globale. Non solo dobbiamo cominciare a pensare diversamente, ma dobbiamo anche
dimostrarlo. Come ho descritto nell’ultimo capitolo del libro, si deve essere in grado di mettere in
pratica questo concetto, ossia di fare esattamente ciò che si pensa, In modo tale da creare un nuovo
stato d’essere. Credo che la maggior parte di noi abbia buone intenzioni e il desiderio di vedere
dei reali cambiamenti nel mondo, ma prima di tutto dobbiamo cominciare a crearli in noi stessi, se
mai vogliamo condurre altre persone a migliori esiti nella vita.
LL: Considerando l’argomento da un punto di vista più generale, pensando più in grande, ovvero a ciò
che potrebbe essere richiesto all’ intero genere umano, crede che una manciata di individui,
lavorando seriamente su loro stessi, e cercando di aiutare gli altri, possano influire sul
cambiamento in modo più ampio, dando origine una sorta di massa critica?
JD: Penso che si dovrà fare una distinzione significativa tra forza e inerzia ed il modo in cui le
cose si muovono nell’epoca attuale. Consumismo, capitalismo, confort e convenienza, a causa di
queste condizioni siamo soggiogati dall’idea che godiamo di libero arbitrio quando, in realtà, non è
così. Tutto ciò rende il cervello umano piuttosto pigro il quale si sofferma solo sull’apparenza
delle cose.
Dobbiamo arrivare a un punto in cui per noi il confort non ha alcuna importanza. Dobbiamo arrivare a
un punto in cui crediamo in principi etici e morali, e ci sentiamo ostili a qualsiasi compromesso
con i nostri valori, così che non possiamo rimproverarci nulla e nessun fattore o circostanza possa
riportarci alla dipendenza dalle vecchie abitudini. Questo richiede la nostra volontà, implica
essere un leader carismatico, avere dei progetti e vivere come se avessero già preso forma, come se
esistessero già. Vivendo in tal modo non possiamo scendere a compromessi, poiché questi progetti
sono veri e reali per noi, e riusciamo ad acquisire il potere dell’universo che ci sostiene in
quanto i pensieri e le azioni sono coerenti. Come risultato finale otterremo la completa padronanza
di noi stessi. Personaggi della storia come Martin Luther King, Gandhi e William Wallace, credevano
nei loro ideali e nei loro progetti e vissero come se li avessero già realizzati. Credo che sia
questa la bellezza che sta dietro ai cambiamenti personali, ma serve uno sforzo considerevole per
compierli.
LL: Potrebbe accennare qualcosa sulle ricerche relative ai monaci buddisti e alle loro pratiche di
meditazione menzionate nel suo libro?
JD: Il concetto di mente è alquanto elusivo per molte persone. La concezione che la mente sia
inalterabile e che il cervello non possa cambiare, questa idea di coscienza sembra essere un’dea
mistica per molti. Lo scopo era quello di definire il cervello, la mente e la coscienza in modo tale
da dimostrare che le persone possono avere il controllo di sé e della lorio vita. Gli esperimenti
che sono stati condotti dal dott. Davidson all’università del Wisconsin confermano che possiamo
compiere questo tipo di cambiamenti e che siamo in grado di misurare la mente. Grazie alle scansioni
funzionali del cervello che consentono di osservare il cervello in azione, di assistere alla
registrazione dei processi di pensiero per un certo periodo di tempo, abbiamo cominciato ad
allontanarci dai metodi convenzionali.
Il dott. Davidson voleva verificare se fossimo in grado di cambiare i nostri pensieri e di fare in
modo che mente e cervello lavorino meglio. Così indusse i monaci a concentrarsi intensamente su
alcuni concetti come compassione, grazia, divinità. Poi chiese a un gruppo di persone che non
avevano mai praticato la meditazione prima, di esercitarsi per una settimana cercando di imparare a
focalizzare la loro attenzione su un unico pensiero. Collegò 250 elettrodi che misuravano il
movimento dell’attività cerebrale delle persone prese in esame e poté osservare che quelli relativi
ai monaci nel giro di pochi secondi riportarono cambiamenti significativi. La parte del cervello
detta lobo frontale innescò la scansione tracciando un andamento notevole agli occhi degli
scienziati. Quando chiese all’altro gruppo di studio di concentrarsi fermamente su grazia o
compassione, constatò che quelle persone non erano in grado di mantenere la loro concentrazione
nemmeno lontanamente di come li facevano i monaci. Ora, è vero che i monaci buddisti potevano
contare su 40000 ore o più di esercizio nella meditazione e forse 40-50 anni di pratica, tuttavia
l’esperimento ha dimostrato non solo che è possibile fare in modo che il cervello lavori meglio ma
che riuscirci potrebbe diventare una disciplina, come il golf o il tennis e quanto più ci alleniamo,
tanto più possiamo coordinarlo e far si che si applichi in maniera più funzionale.
La scansione funzionale mostrò che il flusso creato dai monaci era testimone di un’armonia e
sincronia, un particolare stato che consente ai neuroni di associarsi e connettersi tra loro in
modo nuovo. Quando lessi l’articolo riguardo a questo esperimento pensai che era una prova tangibile
di come possiamo cambiare la mente e il cervello, ma è necessario introdurre questa idea di
coscienza, poiché il cervello è l’organo che elabora i pensieri, dove coesistono memoria e
intelletto, è il processore del nostro corpo, controlla tutti gli altri sistemi. La mente non è
altro che il cervello in azione, il cervello al lavoro. La domanda è, cosa è in grado di cambiare la
mente e il cervello? E’ quella scomoda parola di 9 lettere detta coscienza, quell’aspetto
immateriale di noi stessi che manipola le substrutture del cervello che generano la mente. Solo
quando siamo coscienti e consapevoli, solo quando prestiamo attenzione e siamo presenti possiamo
raggiungere la condizione in cui eludiamo l’ambiente che ci appartiene ed ogni stimolo abituale,
cominciando ad apportare cambiamenti nel cervello a livello permanente, e non serve essere un monaco
buddista per riuscirci!
LL: Sta dicendo che in certi momenti siamo in grado di aprire noi stessi a una sorta di energia più
profonda – se così possiamo chiamarla – che pervade ogni cosa? Sta parlando di un concetto
spirituale? Può spiegare meglio cosa intende per coscienza?
JD: La coscienza è quell’immateriale aspetto del sé che è sfuggito a molti filosofi e scienziati…
per tutto il tempo che le persone l’hanno cercato. L’esperimento rivelerebbe che il cervello è
l’organo che elabora i pensieri e, come tale, è una parte del corpo proprio come il fegato o i reni.
Se la mente è il cervello in azione, allora la mente non può cambiare la mente poiché essa è il
prodotto del cervello. Di conseguenza tutto ciò che rimane consiste in quel sé astratto che si
separa dai programmi codificati all’interno del cervello per controllare come esso lavora ed inizia
a produrre i diversi livelli della mente. Quindi C’E’ un aspetto spirituale a riguardo. Si comincia
ad utilizzare il lobo frontale, che è l’evoluzione più recente nella nostra struttura neurologica.
E’ la zona più ampia del cervello e la maggior parte delle persone non sfrutta mai veramente il suo
pieno potenziale.
LL: Supponiamo che io senta il bisogno di maggior fiducia in me stessa e che voglia aprirmi
attivamente a questa sorta di essenza o potenzialità, può suggerirmi cosa potrei provare a
immaginare? Come potrei mettere insieme tutti i vari elementi in modo da concentrarmi su questa
particolare capacità?
JD: Bella domanda! Se ci pensa, la differenza tra una persona che ha fiducia in sé stessa e una
persona insicura sta nel fatto che il cervello della prima è impostato in funzione di quel modo di
essere. Quella persona ha applicato una certa quantità di conoscenza e una certa filosofia per
provare la sensazione di essere sicura di sé. Deve considerare che i sentimenti e le emozioni sono
il prodotto finito di un’ esperienza. quando ci troviamo nel bel mezzo di un’esperienza, mentre i
nostri occhi vedono, mentre percepiamo odori, proviamo emozioni, degustiamo sapori, tocchiamo
palpabilmente, tutti i nostri cinque sensi raccolgono informazioni dall’ambiente circostante e le
inviano al cervello attraverso cinque canali differenti, ciò che induce i neuroni ad accendersi e
collegarsi tra loro. Nel momento in cui questo avviene le cellule nervose rilasciano una sostanza
chimica e quella sostanza è una sensazione. Questa è la ragione per cui ricordiamo meglio le
esperienze, proprio perché le ricolleghiamo a ciò che abbiamo percepito.
Quindi una persona che realmente ha fiducia in sé stessa ha utilizzato una certa quantità di
conoscenza e modificato il suo carattere per provare un’ esperienza che generi quella sensazione di
sicurezza, ha imparato a pensare, ad agire, ad essere sereno. Se volessimo dunque predisporre il
cervello per raggiungere quella condizione, dovremmo cominciare a porci alcune domande molto
importanti. Ad esempio, se avessimo fiducia in noi stessi, come sarebbe la nostra vita? In che modo
dovrei cambiare? Se penso ad una persona sicura di sé che conosco, quali sono le sue qualità e le
sue caratteristiche? Tutte la volte che vivo una situazione di incertezza, cosa faccio normalmente e
come mi comporto? Qual è il personaggio storico per cui provo ammirazione che ha dimostrato di
credere in sé stesso? Nel momento in cui cominciamo a porci queste domande, il lobo frontale si
attiva e induce il cervello a trovare delle soluzioni, utilizzando le informazioni raccolte sia a
livello intellettuale, per mezzo dei pensieri che ci hanno arricchito di maggiore saggezza, sia
attraverso l’esperienza vissuta direttamente o in maniera indiretta osservando la vita degli altri.
Il lobo frontale stimola dunque il cervello a creare un nuovo stato mentale, a funzionare in modo
nuovo, ad innescare nuove combinazioni, nuove sequenze, nuovi sistemi, a sviluppare nuove
connessioni sinaptiche per formare nuovi circuiti e reti neurali. Considerando che la mente non è
altro che il cervello in azione, se rivolgiamo i nostri pensieri a questi interrogativi significa
che stiamo cominciando a creare un nuovo livello mentale. E’ d’accordo?
LL: Sì, certamente!
JD: Gli studi sulla ripetizione di esercizi mentali hanno condotto esperimenti interessanti. Per
fare un esempio, se mettessimo a confronto dei pianisti, esperti musicisti, con persone che non
hanno mai suonato il piano, chiedendo loro di esercitarsi nelle scale musicali e negli accordi per
due ore al giorno e per la durata di cinque giorni, sottoponendo la loro attività mentale allo
scansione funzionale prima e dopo il periodo preso in esame, alla fine dei 5 giorni noteremmo che il
cervello di tutte queste persone ha sviluppato in entrambi i casi nuovi circuiti, poiché ha appreso
qualcosa di nuovo, lo ha ripetuto, ha prestato attenzione e lo ha dimostrato. Ecco come si possono
elaborare nuovi circuiti cerebrali, tanto più che se si prendesse in esame un altro gruppo di
persone e si chiedesse loro di riprodurre mentalmente le scale musicali e gli accordi senza nemmeno
toccare il piano, il cervello svilupperebbe nuovi circuiti come se la persona lo stesse comprovando
fisicamente.
LL: E’ sorprendente.
JD: Quando siamo focalizzati interiormente, il cervello non è in grado di riconoscere la differenza
tra ciò che sta succedendo al suo interno e quello che accade nel mondo esterno. In altre parole, è
possibile cambiare il cervello semplicemente pensando. Quindi la domanda è, cosa manifestiamo
fisicamente durante la giornata e cosa proviamo e riproviamo mentalmente? A livello neurologico
siamo esattamente queste due attività. Se cominciassimo a porci le domande del tipo: Come sarebbe
la nostra vita se… , soffermandoci per un po’ di tempo in attesa di risposte e formulando dei
concetti, daremmo avvio nel cervello a quei nuove combinazioni, sequenze e sistemi proprio come nel
caso dei pianisti. Se potessimo dedicare all’incirca 45 minuti al giorno per riprendere, ripassare
mentalmente come sarebbe la nostra vita se avessimo fiducia in noi stessi, i nuovi circuiti neurali
si renderebbero più stabili e pronti per essere ripetuti. In neuro-scienza il principio è: le
cellule nervose che si accendono insieme, si connettono tra loro, per cui maggiori saranno i nostri
pensieri rivolti a quei concetti e quanto più abbracceremo quell’idea, tanto più il cervello
procederà a consolidare quei circuiti.
Ma non è abbastanza fermarsi a questo. Bisogna essere in grado di esternare l’esercizio mentale
appena intrapreso, metterlo in pratica, renderlo personale e dimostrarlo fisicamente. Sarebbe meglio
applicarsi in questa attività la mattina, in quanto l’idea di noi stessi che abbiamo ricercato,
ossia ciò che ripassiamo mentalmente va a stimolare i giusti circuiti cerebrali, in modo tale che
durante la giornata andranno ad attivarsi i circuiti del nuovo sé a scapito del vecchio sé. Una
volta che si prova l’esperienza di avere realmente fiducia in sé stessi o si compie qualcosa in
grado di produrre quella sensazione, significa che si stanno creando i ricordi a lungo termine. Ma
nemmeno questo è abbastanza! E’ necessario essere in grado di riprodurre l’esperienza ed è così che
si riesce a fissare nella memoria. Nel momento in cui riusciamo a ripeterla secondo la nostra
volontà rendendola naturale, spontanea, semplice e familiare, andiamo a modificare il sistema della
memoria, trasformiamo i cosiddetti ricordi espliciti in ricordi impliciti, ovvero li traduciamo
in abitudine, in abilità, in una reazione condizionata. Questo è il punto in cui la persona ha
creato nuove reti neurali per raggiungere quel naturale stato d’essere chiamato fiducia in sé
stessi.
LL: Quindi sta dicendo che cominciando ad elaborare concetti, finiamo col creare fiducia in noi a
modo nostro, rendendola parte della sostanza di noi stessi!
JD: Assolutamente! A livello cellulare andiamo a modificare degli elementi, nello specifico lo stato
per cui non proviamo fiducia in noi stessi nello stato che ci consente di avere quella sensazione.
LL: Quindi è come se stessimo creando una nuova traccia, una nuova sagoma per il nostro modo vivere.
JD: Sì, il cervello ama rimpiazzare vecchi modelli con dei nuovi ed in questo riesce molto bene. Per
cui se non gli vengono offerti nuovi esempi per poi applicarli, renderli personali e dimostrarli
fisicamente, si rimane rassegnatamente legati al modello abituale, non si riesce a provare
l’esperienza, si vive separati da essa. Dobbiamo incominciare col modificare i nostri pensieri ed il
nostro comportamento per raggiungerla, così che verranno inviati nuovi segnali alle cellule
cerebrali, poiché la neurochimica produce dei peptidi i quali innescano differenti processi chimici
nel corpo ed è questo il momento in cui mente e corpo stanno entrambi attraversando l’esperienza. La
conoscenza di cui ci siamo appropriati, anche a livello intellettuale, è appannaggio della mente,
mentre l’esperienza riguarda il corpo. Se riusciamo a fare in modo che mente e corpo lavorino
congiuntamente, il nostro cuore si aprirà, acquisiremo saggezza ed avremo il potere dell’universo al
nostro fianco ed è l’insieme degli esercizi che ripetiamo a livello fisico e mentale a produrre
questo stato d’essere. Passiamo dal pensare, al fare all’essere.
LL: Nel suo libro descrive il modo in cui, quando elaboriamo una nuova idea, in un certo senso
estromettiamo il corpo, il tempo e l’ambiente che circonda. Ha senso affermare che con
l’esternazione fisica quel nuovo pensiero viene reintrodotto nel corpo, nell’ambiente e nel tempo?
JD Sì, ha afferrato il concetto. Nel momento in cui si raggiunge un nuovo stato, il nuovo sé ha la
capacità di scorgere un futuro e di far sì che il flusso dell’universo ci sostenga – e ciò avviene
quando la fisica quantistica funziona al meglio – ma non è possibile se si continua ad essere la
stessa persona. Einstein diceva: Non si può risolvere un problema con lo stesso modo di pensare che
lo ha generato. In altre parole, non si riesce a superare la condizione in cui ci troviamo con la
stessa mentalità che l’ha creata. Bisogna arrivare ad una nuova consapevolezza, un nuovo stato delle
cose. In questo modo la sensazione di avere fiducia in sé stessi diventerà una condizione naturale e
spontanea che abbiamo predisto in circuiti dentro di noi, e sentiremo che il flusso ci sta
attraversando. Arrivati a questo punto senza dubbio siamo in grado di superare i limiti che
costituivano il problema inizialmente.
LL: E’ davvero utile ascoltare questi meccanismi, tracciati in modo così intricato e avvincente.
Alla fine del suo libro elabora delle ipotesi sulla fisica quantistica ed accenna al modo in cui gli
scienziati stanno attribuendo maggiore importanza al fatto che la mente opera cambiamenti a livello
quantistico, ma esiste ancora la convinzione che non apportiamo cambiamenti nei diversi mondi.
Sembrerebbe che a suo avviso la nostra concezione a riguardo stia cambiando.
JD: Cartesio, Newton ed altri sostenevano che mente e materia erano da considerarsi elementi
separati. Non è questo il caso a livello quantistico, in cui mente e materia coesistono. Non si può
intraprendere un esperimento quantistico senza che ci sia un osservatore presente, ciò significa che
la mente fa un equazione. Se si chiede ai fisici quantistici se la mente influenza la natura della
realtà, ti risponderanno dicendo che questo vale solo per alcune particelle atomiche, per alcuni
elementi, ma non per cose più vaste. Forse, siamo solo pessimi osservatori! Nel libro suggerisco
un’idea semplicissima, se riusciamo a fare in modo che la nostra mente lavori meglio e si trovi al
di là degli stati di sopravvivenza primitivi, proviamo gioia e fiducia in noi stessi, amore
incondizionato, libertà di espressione, maestosità e meraviglia, allora, sarà questo il naturale
stato d’essere. Quando viviamo questi stati e abbiamo organizzato il cervello in nuovi circuiti
mettendoli in pratica abbastanza da renderli esattamente parte del nostro essere, allora potremo
constatare cambiamenti tangibili nella nostra vita. Cambiando la nostra mente, poiché l’ambiente che
ci circonda è l’estensione di essa, cercheremo nuovi feedback, qualcosa di diverso nel nostro mondo
come risultato del cambiamento della mente. Ecco come funziona.
LL: Le sue parole mi hanno indotta a interrogarmi di più sullo scopo della vita umana. So bene che
questa è una tematica molto estesa, ma se ritiene che la nostra vita sia una continua trasformazione
e che dobbiamo cambiare ed evolvere il nostro cervello in questo modo, mi chiedevo cosa intendesse
come fine ultimo della nostra vita. Per quanto ci riguarda, dove porta questa evoluzione della
coscienza?
LL: Concepisco noi tutti come degli elementi della coscienza espressi in modo diverso, e il nostro
impegno consiste nel provare nuove esperienze. Se, nel campo quantico, esistono una quantità
infinita di esperienze possibili, significa che potremmo provare una quantità infinita di emozioni
come risultato di quelle esperienze. Se proseguiamo con l’apprendimento, la crescita e l’evoluzione
passiamo dallo stato mentale primitivo di sopravvivenza ad uno stato d’essere più elevato. Penso che
questo richieda solo una certa dose di volontà e determinazione. Considero la mia vita una sorta di
esperienza scientifica e penso che ogni persona ed ogni elemento siano come un’estensione del modo
in cui i loro circuiti sono organizzati interiormente. Se desidero apportare dei cambiamenti nella
mia vita, in primo luogo modifico quell’insieme di circuiti connessi ed il sistema neurochimico,
poi, dato che l’ambiente che ci circonda è l’estensione della nostra mente, il mondo esterno
comincerà a mostrarmi un nuovo feedback nella forma di circostanze ed opportunità che ho collegato
all’esperienza.
LL: Alla fine del libro ha parlato dell’importanza dell’amore. Potrebbe spiegare in che modo il
concetto rientra nell’equazione?
JD: (ride) Questa è l’equazione. Una persona capisce quando ha superato sé stessa, quando ha
cancellato stati mentali nocivi o si è liberata di stati emotivi distruttivi, poiché da quel momento
prova un senso d’amore per se stessa e si sente come se avesse creato nella vita una sorta di moto
intenzionale. Un principio fondamentale è che normalmente le persone quando raggiungono questo stato
si sentono vuote. Se questo sentimento d’amore è dovuto a legami affettivi con altre persone, con i
figli, gli animali domestici, o è legato alle nostre attività o passatempi preferiti – come lo
shopping, il golf o qualsiasi altra cosa – per poter provare quel genere di sensazione rimaniamo
dipendenti da qualcosa di esterno a noi. Nel momento in cui superiamo il nostro sé e riusciamo a
dimostrarlo fisicamente, ci innamoriamo senza motivo di noi stessi
perché cambiano anche le
sostanze chimiche rilasciate nel nostro corpo. Se siamo in grado di arrivare a questa sensazione
facilmente e di renderla uno stato costante, non ci faremo influenzare dalle circostanze della vita
e potremo amare, mantenere e trasmettere una migliore qualità della vita. Innamorarsi di sé stessi,
dei propri progetti, sogni, ideali e vedute, confluire la nostra energia in queste prospettive,
vivendo come se si fossero concretizzate, quando conquistiamo questi particolari obbiettivi e siamo
in grado di esternarli, di dimostrarli, ci appropriamo di un senso più elevato del sé. Non mi
riferisco all’ego, ma piuttosto a una mancanza di ego dovuta al fatto di non dipendere più da nulla.
Quando cominciamo a sentirci distesi e sereni, e vediamo che stiamo creando dei cambiamenti e che
facciamo progressi, passiamo gradualmente ad uno stato più equilibrato. L’amore è esattamente questo
stato, questo centro equilibrato.
LL: E’ fantastico! La ringrazio per il tempo che ci ha dedicato, è stato un piacere parlare con lei.
Vuole aggiungere qualcosa in merito al lavoro a cui si è dedicato fino ad ora e agli effetti che
può avere sulle persone?
JD: Semplicemente questo. Le mie ricerche non riguardano solo le trasformazioni che apportiamo in
noi stessi ma anche il modo in cui hanno influenza sulle altre generazioni. Noi siamo i leader di
oggi e se cominciamo a creare cambiamenti tangibili in noi stessi, questo influenzerà la nostra
storia. Non dovremmo attendere che la scienza ci conceda il permesso per compiere ciò che è fuori
dall’ordinario, per essere i leader, per crederci. Ciò di cui abbiamo bisogno non è trasformare la
scienza in un’altra religione, ma di essere dissidenti, agire fuori dalle regole e dalle
convenzioni, di compiere grandi cose. Quindi lasciamo che sia la scienza a venirci a studiare e che
a un certo punto dica: Cos’è quello che hai appena fatto? Mostracelo un’altra volta! Vorrà dire
che avremo interiorizzato, codificato delle cose davvero importanti per noi stessi!
LL: La ringrazio ancora Joe, per quello che ha saputo offrire grazie al suo lavoro, al suo nuovo
libro e a questa intervista. E’ stato un piacere parlare con lei.
Fonte: magazine.feminenza.org/ per gentile concessione di Joe Dispenza
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