DECONDIZIONAMENTO, ARMONIA E BEATITUDINE 1

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DECONDIZIONAMENTO, ARMONIA E BEATITUDINE 1

(PARTE PRIMA)

di Marco Ferrini (Matsyavatara Das)

Uno dei problemi più gravi, impellenti e irrisolti che riguardano la nostra società è quello
dell’isolamento, dell’abbandono, della solitudine. Affronteremo questo argomento alla luce della
saggezza millenaria dei Veda che, lungi dall’essere patrimonio esclusivo dell’India, appartiene a
tutta l’umanità, così come il sole non è né orientale né occidentale: è il sole. Molti ricorderanno
gli studi di Jung relativi alle funzioni introvertite ed estrovertite dell’individuo e la
conseguente suddivisione dei tipi psicologici in due grandi categorie: gli introversi e gli
estroversi. Secondo le Upanishad solo l’equilibrio tra funzioni introvertite ed estrovertite rende
l’uomo appagato. Per questo motivo chi è nato e si è formato in Occidente dovrebbe studiare in
maniera attenta questa grande cultura millenaria, in grado di fornire un ampio orizzonte di senso,
che integra la visione dell’uomo e del mondo.

Nella prospettiva vedica il senso di solitudine e di isolamento vengono spiegati come una mancata
contestualizzazione nell’universo e quindi come una patologia da curare. La società del cosiddetto
benessere e dello spreco, con la sua tendenza ad accumulare, non ha risolto il problema profondo del
malessere, anzi, lo ha aggravato. La tendenza dell’uomo occidentale medio è proiettarsi fuori di sé
per identificarsi con l’oggetto, cercando di valorizzarsi in esso. In questa proiezione verso
l’esterno l’individuo si è smarrito, per cui, con grande difficoltà e spesso con sofferenza, si
chiede: “Ma io, chi sono? Qual è la mia natura? Qual è il senso della vita? Da dove vengo? È questa
la mia prima nascita? Cosa mi accadrà dopo la morte?”. La filosofia delle Upanishad risponde a
domande come queste. Nel saggio “Vita, Morte ed Immortalità”, rifacendomi a vari passi della
letteratura vedica, ho spiegato tutte le dinamiche che precedono e che seguono la morte fisica.

Nel Rigveda, nella Brihadaranyaka Upanishad, nella Bhagavad-gita e nelle antiche narrazioni note
come Purana, sono contenute dettagliate informazioni volte a spiegare quali sono le dinamiche che
governano e guidano l’essere nei drammatici momenti in cui fuoriesce dal corpo. Il grande affresco
cosmologico e cosmogonico dipinto dai Purana dà la possibilità, a qualsiasi ricercatore sincero, di
approfondire la propria esperienza e conoscenza, per contestualizzarsi secondo le proprie coordinate
di guna(1) e karma(2), sapendo da dove proviene, dov’è e dove sta andando. Dall’acquisizione di
questi dati, gran parte della tensione che attanaglia l’uomo si depotenzia e la serenità insita
nella natura umana, sorge di nuovo; dalla serenità sgorga la letizia e dalla letizia la beatitudine,
che costituisce la natura ontologica dell’essere vivente. L’esatto contrario accade quando l’essere
si identifica con le varie “etichette” o personalità storiche nascita dopo nascita: “Sono una donna.
Sono giovane e bella. Sono anziana. Sono vecchia e malata”. In quest’ultimo caso il dolore viene
vissuto come esperienza di funzioni che vengono meno, di disadattamento rispetto allo stile di vita
precedente; ne consegue una depressione, che porta con sé una profonda sofferenza psichica.

Generalmente le persone concludono il loro segmento di vita, angosciate, impaurite, sofferenti, il
che certamente non proietta verso una bella prospettiva. Non è mia intenzione spaventare nessuno, ma
qualsiasi individuo con una visione aperta, sensibile a tali tematiche, si sarà già reso conto
dell’esistenza di questi problemi e dell’importanza di trovare una soluzione. Il punto dolente sta
nel fatto che la società non vuole pensare a tutto questo e lo rimuove. Le persone preferiscono
distrarsi, stordirsi, e nel peggiore dei casi ubriacarsi o drogarsi, nel tentativo di sfuggire alla
triste realtà, perché non sanno come affrontarla. L’uomo è un essere difettoso, ma nella sua
imperfezione ha una potenzialità: condivide la natura del Supremamente Perfetto, per cui lo si può
considerare almeno potenzialmente perfetto. Una volta intuita la strada, l’essere umano ha la
capacità di cambiare e, da paradosso qual è, pieno di conflitti, diventare una persona serena,
riducendo gradualmente gli strati che lo ottundono, fino a vedere la Realtà. Questa Realtà è stata
annunciata da grandi saggi anche all’Occidente. Molti di loro appartenevano a tradizioni mistiche,
religiose; altri si erano elevati attraverso l’esperienza personale, anche laica, ma è certo che
tutti hanno parlato di una dimensione costituita da immortalità, consapevolezza e beatitudine.

(1) Le tre energie che determinano il condizionamento degli esseri incarnati. Sono: Tamas
(ignoranza); Rajas (passione) e Sattva (virtù).
(2) Legge di causa-effetto su cui si regge l’universo fenomenico, per la quale ad ogni azione
positiva o negativa, segue una reazione dello stesso segno, che l’autore raccoglie di vita in vita.

da psicologiaespiritualita.blogspot.com/

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