Definizione del buddhismo, da parte di un monaco buddhista

pubblicato in: AltroBlog 0
Definizione del buddhismo, da parte di un monaco buddhista

(a cura del monaco SÄsana)

(tratto da it.dhammadana.org .del monaco theravada Dhamma Sami, e
tradotto dal francese in italiano, da Guido)

La sofferenza e la fine della sofferenza

Cosa è il buddhismo per voi? Qual è il cuore della filosofia?

Non è il cuore di una filosofia. Errerei a dire che è il cuore di una
filosofia. L’essenza dell’insegnamento? E’ semplice, lo ha indicato
Buddha medesimo. Quando qualcuno, un giorno, venne a chiedergli:” In
fin dei conti, e in breve, cosa esponete?”. Buddha rispose:”Insegno la
sofferenza e la fine della sofferenza”. Ecco la frase che riassume il
cuore della Dottrina di Buddha.

La sofferenza, e la fine della sofferenza.

La fine della sofferenza da cosa è determinata?

Quel che causa la fine della sofferenza è l’attitudine contraria a ciò
che le dà nascita: che è l’ignoranza. Dunque, quel che libera dalla
sofferenza è, semplicemente, la fine dell’ignoranza.

E qual è la causa dell’ignoranza?

Allorché qualcuno lo chiese a Buddha, egli rispose:”La causa
dell’ignoranza è la coscienza”. Gli venne allora ribadito:” Ma,
allora, cosa fa nascere la coscienza?”. Egli replicò:”La causa della
coscienza è l’ignoranza”. Solo questa piccola frase richiede tre ore
di discussioni per venire spiegata convenientemente.

Tuttavia, senza volere entrare in considerazioni troppo tecniche,
diciamo, grossolanamente, che ciò che causa l’ignoranza, è il fatto
che noi esistiamo.

Cosa provoca la sofferenza, oltre all’ignoranza? Non vi è l’attaccamento?

Sì, certamente. Alla base, la fonte è l’ignoranza. Ma, quest’ultima di
ritrova essenzialmente in tre comportamenti, che egli chiama i fattori
della perpetuazione, e che trattengono il mondo nel suo perpetuo
ruotare.

In primo luogo, esiste l’assieme delle nostre credenze filosofiche, di
quelle religiose, dei nostri punti di vista e delle nostre opinioni.

In secondo luogo, vi è l’assieme dei nostri attaccamenti, dei nostri
desideri e delle nostre seduzioni.

In terzo luogo, esiste il nostro orgoglio — che è presente in tutti
(tranne che negli arahant). E’ interessante sottolineare che Buddha ha
detto:” anche l’umiltà è una forma di orgoglio”.

Una volta eliminate queste tre radici — fatto che implica, di
conseguenza, l’avere dissolta l’ignoranza -, giungiamo alla fine di
tutte le nostre pene, di tutti i nostri problemi, di tutte le nostre
difficoltà.

Un esposto della realtà così com’è

L’insegnamento di Buddha non è né una religione, né una filosofia, né
un sistema; ma, solo la raffigurazione delle cose, così come esse
sono. Beninteso, il fatto contrasta con quell’aspetto assai religioso
che esiste in Birmania — ed anche altrove; tutta la quantità di
statue, tutti i monumenti, ecc. Si tratta di un popolo che ha bisogno
di vivere un simile rituale mistico, con preghiere e devozioni.

In origine, se si vuole rimanere d’ accordo con il suo discorso, ci si
trova ben distanti da esso. Buddha è uno scopritore. E’ come uno
scienziato che rivela qualche cosa: non ne fa una religione, né un
culto. Ha veduto una nuova legge e la espone. I suoi allievi ascoltano
e la imparano. Una volta che l’hanno assimilata a fondo, possono
insegnarla. Non vale la pena di reinventare la ruota, poiché ciò è
stato già fatto. Non vale la pena di scoprire alcunché, in quanto il
terreno è già bonificato. Di conseguenza, in rapporto a Buddha, noi
siamo degli “uditori” (è così che si chiamano gli allievi di Buddha),
ed ascoltiamo il suo magistero. Ci sforziamo di comprendere queste
leggi naturali, ed una volta capite, possiamo, a nostra volta,
trasmettere questo insegnamento.

Dunque, non esistono preghiere, né rituali, e neppure invocazioni a
delle divinità. Non ci aspettiamo nulla da altri, se non da noi
stessi. Si tratta, in primo luogo, di uno sforzo di comprensione;
poiché, in effetti, non siamo che dei grandi bambini ignoranti.
Come vincere la sofferenza?

Buddha ci ha indicato la sofferenza, la sua causa, la fine della
stessa e la via che porta al suo termine. Certo, ma da un punto di
vista pratico, la questione che si pone è:”Come fare, in concreto, per
giungere a vincere questa ignoranza, e le cause della miseria?”

Esiste, comunque, un piccolo lavoro da eseguire, che non si fa tutto
da solo. Sperare che il “grande spirito” ci accordi la sua grazia, a
seconda del suo parere, non funziona; ci ho provato io stesso durante
dieci anni, e mi sono trovato al punto di partenza! Buddha propone,
dunque, un altro approccio, un poco più pragmatico, che è un compito
da compiere su se stessi. E, in proposito, adopera il termine
“lavoro”. Che è triplice…

In primo luogo, importa stabilizzarsi in un quadro esistenziale,
basato su di un’etica di base ed avere una vita virtuosa. Il che non
significa divenire “monaco”; tutt’altro. Il monaco viene considerato,
a livello virtuoso, come un professionista in materia.
Sfortunatamente, non è sempre il caso. L’idea di comportamento
virtuoso, difatti, sta nel non essere aggressivo: non uccidere, non
produrre violenza, non rubare, non fare adulterio, non mentire, non
bere bevande inebrianti. Per Buddha, ciò costituisce una base
angolare.

In un secondo tempo, partendo da questo comportamento virtuoso,
potremo effettuare il lavoro che resta da fare. Passiamo, di
conseguenza, alla concentrazione, alla meditazione. Ad esercizi utili
a sviluppare la concentrazione, la presenza di spirito. Con un
atteggiamento interiore del tutto vagabondo, senza controllo, non si
possono fare grandi cose.

In terza istanza, una volta resi stabili i due fondamenti, che sono la
virtù e la meditazione, potremo affrontare quel che Buddha chiama
“l’intelligenza”; “la saggezza”, che è il pinnacolo. E’la linea retta
finale, che conduce al risveglio, alla liberazione. Non si tratta né
di una meditazione, né di un esercizio, e né tantomeno di una
preghiera, o di un rituale. Ma, la visione diretta nella realtà.
Questo è tutto! Facile a dirsi, ma altra cosa a farsi.

A cosa servono le statue ed i monumenti?

L’insegnamento è una cosa, quel che fa la gente, un’altra. Quando si
vedono tutte queste statue e tutti questi monumenti, ci si può
chiedere:”In rapporto a quanto ci hanno spiegato, la virtù, la
saggezza, ecc. — cosa ha a che fare ciò?” Il perché di queste cose,
sta nel fatto che gli esseri umani non possono impedirsi di
comportarsi in tal modo.

Esistono sempre delle persone che si interessano all’insegnamento, che
osservano i cinque precetti, che conducono una vita virtuosa, che
praticano la meditazione. Ma, come diceva Buddha, gli uomini hanno un
sentimento religioso molto forte. Di conseguenza, non possono
proibirsi dall’edificare tutta una sorta di cose.

Anche se, nelle sue basi, possediamo un insegnamento che si presenta
molto spoglio, molto depurato, per non dire assai tecnico, era
inevitabile che si giungesse ad una simile situazione. Vale a dire, a
questo lato religioso, che consiste nel costruire dei monumenti,
nell’eseguire delle cerimonie, e tante recite.

A volte, si osserva un gruppo di turisti che guardano dei monaci,
accanto ad un monumento. Questo gruppo può chiedersi:”Si tratta di
religione; stanno pregando una divinità, invocano Buddha; come sono
pii!” Se fosse presente un traduttore, ognuno si renderebbe conto che
essi ripetono semplicemente degli estratti delle parole di Buddha, nel
suo dialetto materno (il pali). Sarebbe una sorpresa — o, se vogliamo,
divertente — sapere che dicono:” Ecco quali sono le trentadue parti di
questo corpo… Esistono: gli occhi, i denti, i peli, la vescicola
biliare, il fegato, i reni, l’urina, gli escrementi, il sangue,
ecc..”. E che concludono le loro frasi, affermando:” questo corpo è
ripugnante, questo corpo è un sacco di pelle, riempito di marciume, di
cose particolarmente stomachevoli”. Tra i monaci ed i novizi che
recitano regolarmente questo genere di testo vi sono anche dei bambini
di dieci anni.

Tutto rimane da considerarsi un esposto delle cose così come sono.
Torniamo sempre allo stesso concetto. Malgrado ciò, gli esseri umani
non possono impedirsi di mettere una cornice, di abbellire ogni cosa.
E’ vero che se ci si limita a considerare le sue parole,
l’insegnamento di Buddha non è tanto “eccitante”, poiché rappresenta
un esposto scientifico, tecnico del mondo, quale esso è. Di
conseguenza, manca molto di estetica. Allora, non ci si è potuti
frenare dall’applicarne un poco.

E’necessario considerare le cose così come sono. Bisogna evitare di
attardarsi troppo nel lato popolare, grandioso, monumentale; in tanto
affresco, di fronte a statue del Buddha. Bisognerà, comunque, un
giorno o l’altro, giungere a disfarsi di tutto, per giungere
all’essenziale. Come in ogni cosa: ciò che conta è la sostanza.

Ad esempio, una grande università, con dei superbi monumenti ed un
bella architettura, è luminosa, piacevole. Tuttavia, quando entrate in
essa, voi non perdete di vista che lo fate per studiare un soggetto
ben preciso. Quando siete pienamente coinvolti nello studio del vostro
soggetto, ve ne infischiate completamente dell’ambiente esterno,
dell’architettura, delle belle fontane e dei parchi.

E’ lo stesso per l’insegnamento di Buddha; bisogna, ad un dato
momento, dimenticare quanto sopra!

Il declino dell’insegnamento di Buddha

Il declino del sole appena avvenuto mi fa pensare al degradamento. Il
giorno passa, la notte arriva… Buddha ha pure parlato del declino
della sua dottrina. Che sparirà, un giorno, da questo mondo, poiché si
tratta di una necessità: tutto ciò che è sorto deve necessariamente
svanire. Tutte le civiltà del passato sono svanite, in modo
ineluttabile. Quanto interessa sapere, in proposito, è che, secondo
lui, la causa del disperdersi del suo insegnamento non saranno le
guerre, né le carestie, né le religioni, né le ideologie politiche…
ma, i monaci!

Coloro a cui ha dato la propria fiducia per preservare quanto ha
insegnato saranno quelli che, nel tempo, diverranno responsabili del
suo dissolversi. Perché? Perché ce n’erano già al suo tempo, e
cresceranno sempre di più, dei monaci, che vorranno introdurre in
queste istruzioni delle concezioni del tutto personali. Ossia, poco a
poco, vorranno inserire le proprie opinioni personali, le loro
dottrine; vorranno mischiare, pescare in questa, o quella filosofia
diversi elementi, dicendo che “infine, tutto non fa che una cosa
sola”; oppure che”, in qualche parte, Buddha ha parlato anche di
questo”.

Ci si ritroverà in un amalgama. nel quale non si riuscirà più, alla
fine, a” discernere il diamante dalla pietra” in cui esso si trova.
Questi monaci introdurranno anche dei punti di vista e delle opinioni
non conformi all’insegnamento di Buddha.
Qual è l’insegnamento di Buddha?

Qual è l’insegnamento di Buddha? Vi sono mille ed una maniera di
replicare alla domanda. Per dare una risposta ad essa voglio
raccontare un aneddoto di quando egli era ancora vivente. Un giorno,
Buddha viaggiava con un gruppo di monaci. Passarono davanti ad un
altro monaco che era impegnato a ripetere le sue istruzioni. Era un
oratore molto abile. Buddha chiese, allora, ai monaci:” Monaci, state
ascoltando questo monaco che espone un insegnamento così abilmente?” I
monaci risposero:” Sì, Venerabile Buddha, lo ascoltiamo”. Buddha
proseguì, pronunciando una frase molto importante:”Disse:” Monaci,
quando un monaco espone l’insegnamento, non è il “mio” insegnamento
che spiega — cioè, quello di Buddha. Monaci, quando un monaco espone
l’insegnamento, non è il “suo” insegnamento che egli spiega — cioè, il
suo insegnamento personale. Monaci, quando un monaco espone
l’insegnamento, è solo la realtà delle cose, così come esse sono, che
egli evidenzia”.

Questa frase fa parte delle piccole asserzioni chiave che Buddha ha
lasciato, qui e là, durante la sua vita. Letteralmente, il suo
magistero è una “lezione di cose” (la parola “Dhamma”, d’altronde,
significa “cosa”), a cui non vi è nulla da aggiungere, e, beninteso,
nulla da togliere. E’ perché esistono dei monaci (o delle persone) che
vogliono immettere, o levare degli elementi a questa dottrina, che
essa, sfortunatamente, verrà perduta. Rimarrà solo una vuota
conchiglia, cioè: le cerimonie, le recite, i grandi studi dottrinari
all’università, ecc. D’altronde, ora è già così.

Tuttavia, esistono ancora, ai nostri giorni, particolarmente in
Birmania, dei monaci che tengono all’essenza. Si tratta di monaci che
hanno fatto l’esperienza dell’insegnamento; o, in ogni caso, che lo
mettono in pratica. Ma, questo, piano piano, sparirà. La dottrina di
Buddha è una specie in via di estinzione.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *