“Dèjà vu”: non è un fenomeno paranormale!

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“Dèjà vu”: non è un fenomeno paranormale!

da altopotenziale.it

Discutendo con un amico a proposito degli “scherzi” di memoria e fenomeni apparentemente
inspiegabili, colgo l’occasione per fare un breve articolo nel quale descrivo i risultati della
psicologia sperimentale, dopo più di un secolo di ricerche, ipotesi e scoperte sui dèjà-vu.
Sicuramente è capitato almeno una volta a tutti noi di percepire molto famigliare una situazione, un
luogo o un profumo mai visto o sentito prima, avendo quasi la sensazione di vivere in un sogno.
Il dèjà-vu (dal Francese già avuto) è un fenomeno molto curioso, dura pochi secondi e la frequenza
non è determinata dal sesso ma bensì dall’età . Infatti le ricerche dimostrano che con l’avanzare
degli anni il fenomeno decresce.

Secondo l’ipotesi avanzata da Sigmund Freud, il padre fondatore della psicoanalisi, i fenomeni di
déjà vu rappresenterebbero il desiderio inconscio del soggetto di rivivere ricordi o pensieri
precedentemente repressi.
Questa interpretazione è stata abbandonata in quanto priva di riscontri empirici.
Attorno agli anni ’60 lo psichiatra Robert Efron divulgò una teoria molto interessante sul dèjà vu.
Egli ipotizzò che il fenomeno derivava da un possibile ritardo di acquisizione delle informazioni
(alcuni millisecondi) tra i due lobi cerebrali. Ad oggi questa teoria non è stata ancora provata, ma
pare che i lobi temporali abbiano un ruolo fondamentale in questo fenomeno.
Per dimostrarlo sono stati studiati pazienti con lesioni localizzate nell’area temporale, i quali
dichiarano di avere frequenti episodi di déjà vu, e lo stesso vale per pazienti epilettici nei quali
il centro focale del disturbo è situato nell’area temporale (vedi figura). Con questi dati clinici,
alcuni ricercatori hanno avanzato l’ipotesi che il déjà vu non sia altro che una sorta di micro
attacco cerebrale.

Recentemente (anni ’90) il Dr. Jean Bancaud dimostrò una correlazione fra l’elettrostimolazione del
lobo temporale laterale o mediano e l’induzione di uno stato quasi onirico paragonabile al déjà vu.
Molto interessante sono le ipotesi recentissime di John D. Gabrieli della Stanford University
riprese poi da Josef Spatt dell’Istituto Ludwig Boltzmann di Vienna.
Questi studiosi si sono spinti ancora più avanti nella ricerca e sostengono che la corteccia
paraippocampale e l’ippocampo hanno funzioni diverse (vedi figura).
L’ippocampo è implicato nel ricordo cosciente di eventi vissuti mentre la corteccia paraippocampale
distingue solamente se lo stimolo è famigliare oppure no.
Secondo questi ricercatori, il déjà vu nasce quando la regione paraippocampale genera un senso di
familiarità dell’evento senza l’intervento dell’ippocampo. In una circostanza di questo tipo, una
scena percepita verrebbe interpretata per un istante come familiare, benché non sia possibile
attribuirle un correlato spaziale e temporale specifico.

Grande impegno nel spiegare i dèjà vu è stato profuso anche dalla psicologia cognitiva, la quale
imputa la causa all’inconscio (vedi articolo sull’inconscio), ovvero quella parte di memoria
(memoria implicita) che sfugge al nostro controllo cosciente. Secondo questa ipotesi, quando ci
troviamo nel bel mezzo di un dèjà vu, non facciamo altro che ricordare a livello inconscio delle
informazioni precedentemente memorizzate, le quali si scambieranno con la situazione che si sta
vivendo rendendola così famigliare.

Un’altra ipotesi, che prende spunto da quella appena analizzata, spiegherebbe il dèjà vu come un
elaborazione inconscia delle informazioni, dovuta ad una bassa attenzione. Per spiegarlo meglio
userò un esempio: supponete di stare comodamente seduti in una panchina del parco, con la vostra
attenzione rivolta alla natura che vi circonda. Ad un certo momento guardate distrattamente con la
coda dell’occhio una persona nei paraggi, ma senza nessuna attenzione.

Anche se siete incoscienti, l’immagine dell’individuo sarà elaborata a livello cerebrale, così
quando andrete nel bar lì vicino, e casualmente entrerà quella persona, si vivrà uno stato di dèjà
vu.
Attorno agli anni ’90 lo psicologo Larry L. Jacoby della Washington University di St. Louis, fece
degli esperimenti in tal senso.
Egli proiettò delle parole su di uno schermo ad una velocità tale da rendere impossibile una
codifica delle stesse a livello cosciente.
In seguito il Dr. Larry L. Jacoby ripropose ai medesimi soggetti dell’esperimento, le stesse parole
per un tempo più lungo. Sorprendentemente i volontari dell’esperimento affermavano di avere già
visto le parole “da qualche parte”.

DOVE APPROFONDIRE:

“Déjà vu: Possible Parahippocampal Mechanisims”, in «Journal of Neuropsychiatry and Clinical
Neurosciences», n. 14, pp. 6-10, 2002.

“Persistent déjà vu: A disorder of memory”, by G. Rebecca Thompson and others (International Journal
of geriatric psychiatry, 2004, Vol. 19, pp. 906-907).

“The dèjà vu Experience: Essays in Cognitive Psychology”, by Alan S. Brown (United Kingdom:
Psychology Press (United Kingdom): May 1, 1994. 231 pages).

“A review of the déjà vu experience”, by Alan S. Brown (Psychological Bulletin, 2003, Vol. 129, No.
3, pp. 394-413).

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