Dhyana e meditazione
E’ il settimo membro dell’ Ashtanga yoga di Patanjali. E’ ciò che comunemente definiamo
“meditazione” e che introduce allo stato di estasi o Samadhi.
Essa si compie negli strati più profondi del nostro essere, in una sfera della consapevolezza umana
che non è afferrabile con l’intelletto, nè raggiungibile con la mera volontà; è perciò impossibile
descriverla esattamente.
Visto che l’esperienza quotidiana si svolge quasi sempre in un mondo complicato e vorticoso dove gli
stimoli attirano continuamente l’attenzione e le reazioni sono frutto di una costante abitudine, la
mente non è certamente predisposta all’indagine profonda.
Patanjali, nella sua opera di sistematizzazione dello yoga classico, fa precedere questo stadio da
altri due che rappresentano un vero e proprio allenamento alla capacità astrattiva: Pratyahara e
Dharana.
Il primo definisce il processo di autolimitazione dell’esperienza oggettiva.
Questo è un pre-requisito essenziale e rappresenta il ponte tra la condizione esteriore (Bahiranga)
e quella interiore (Antaranga).
Letteralmente è il “rifiuto di afferrare”.
Allorché I sensi sono introvertiti, la mente non è distratta da stimoli esterni, aumentando così il
suo potere di concentrazione.
La percezione delle cose avviene quando differenti tipi di vibrazione provenienti dall’esterno
colpiscono gli organi di senso e la mente viene, così, associata a quel particolare organo
stimolato.
E’ esperienza comune, quindi, che fintanto che la mente non si associa al processo di percezione,
questa non si attua, nonostante vi sia il contatto fisico.[per una maggiore comprensione dal punto
di vista filosofico, consulta il nostro commento alla BrihadAraniaka
http://www.paramarta.it/filo/ad1c.htm#veglia7 .
E’ altrettanto noto che nonostante la mente stia ignorando un largo numero di richiami che
colpiscono i suoi organi di senso, non può chiudersi – anche volendolo – completamente.
Alcune vibrazioni continuano ad ingaggiare la sua attenzione e quanto più cerca di distoglierli,
tanto più essi divengono insistenti.
Tre categorie di fenomeni coinvolgono la mente durante una esperienza:
impressioni mutevoli prodotte dalle vibrazioni esteriori
memoria di esperienze trascorse
immagini mentali connesse all’anticipazione di eventi
Tra queste, la seconda e la terza sono squisite attività mentali; la prima scaturisce dal diretto
contatto con il mondo esterno.
Pratyahara si occupa di sopprimere la prima; le altre due sono gestite da Dharana e Dhyana.
“Quando i sensi si staccano dai loro oggetti per assumere la natura propria della coscienza, si ha
il pratyahara” [Yoga Sutra].
Dharana
è il sesto membro dell’Ashtanga Yoga ed il primo della triade che caratterizza “l’ambiente interno”
definito da Patanjali “SAMYAMA”.
Alcune Upanishad la considerano uno stato di non fluttuazione della mente [Nishkali bhava] ed un
mezzo di liberazione.
Letteralmente, il termine significa “concentrazione”. Secondo la moderna psicologia, la mente non
può essere fissata su alcun oggetto per un considerevole periodo di tempo.
Una attività, ridotta, permane anche durante il più alto grado di concentrazione.
Quindi, concentrazione, può indicare solo il controllato movimento della mente all’interno di una
sfera limitata, riportandola indietro nel momento in cui tale connessione viene interrotta. Questo è
già un risultato considerevole.
Nello Yoga, sebbene la concentrazione inizi con un controllato movimento della mente, essa può
raggiungere uno stato in cui tutti i movimenti, o cambiamenti si interrompono.
In questo stadio la mente diviene “una” con l’essenziale natura dell’oggetto di concentrazione.
Dhyana
è uno stato di continua contemplazione senza alcuna interruzione.
Al suo interno possiede ancora una modificazione [vritti] ma questa è, appunto, l’oggetto della
meditazione.
Il protrarre indefinitamente questa condizione può portare al Samadhi.
Patanjali lo descrive come una condizione in cui si esperisce solo l’oggetto della meditazione e non
della mente in sé.
E’ la sospensione dell’auto consapevolezza che può aprire la porta al nuovo universo, con la fusione
del rapporto soggetto – oggetto di meditazione.
Il momento esatto in cui si attua questo passaggio, non è possibile stabilirlo; se così fosse ci
ritroveremmo nell’ordinarietà della condizione mentale.
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