Dio, i dadi e un povero gatto

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Dio, i dadi e un povero gatto

di Redazione NonSoloAnima.TV – Aldo Riboni

La fisica quantistica ha modificato la concezione della realtà. E dopo quasi un secolo dalla sua
nascita, è ancora profondamente rivoluzionaria.

Anche se aveva contribuito alla sua nascita, ad Albert Einstein non piaceva proprio. Troppi
paradossi, troppe contraddizioni con il normale modo di vedere il mondo, troppi gatti vivi e morti
allo stesso tempo. Troppa casualità, soprattutto. Ed egli era fermamente convinto che Dio non
potesse essere un giocatore d’azzardo o un bambino col Monopoli: “Dio non gioca a dadi”, disse. Fu
Bohr, altro grande fisico del ‘900, che rispose di non dire a Dio ciò che doveva fare, e che
comunque Egli a dadi ci giocava, eccome!

In effetti la rivoluzione della fisica quantistica fu tale che la reazione di Einstein stupisce solo
fino a un certo punto. Alcuni dei presupposti ritenuti più inattacabili della fisica classica (e in
generale della nostra esperienza quotidiana) furono completamente rimessi in discussione, e
l’immagine della realtà che ne è derivata sembra fatta apposta per provocare mal di testa e crisi
metafisiche (al punto che gli stessi fisici quantistici di oggi, dopo un secolo di quanti e funzioni
d’onda, ancora non sono d’accordo sull’interpretazione da dare alle loro equazioni).

Fino ad allora la fisica credeva in un mondo interamente conoscibile, regolato unicamente da una
catena di cause, come un enorme orologio. E se mai concepiva un qualche Dio creatore, questi doveva
assomigliare ad un grande e vecchio orologiaio che, conoscendo esattamente lo stato dell’Universo al
momento della creazione, poteva prevederne tutti gli sviluppi. La meccanica quantistica inventò un
Dio con i dadi.

Ma partiamo dall’inizio: è il 1905, Einstein studia l’effetto fotoelettrico (cioè il fenomeno per
cui una lastra metallica colpita dalla luce produce una corrente elettrica – il principio sui cui si
basano i pannelli solari) e si rende conto che l’assorbimento della luce avviene solo per quantità
minime e fisse, che chiama quanti. Il che è spiegabile se la luce viene considerata non un’onda,
come fin lì era stato fatto, ma un flusso di particelle, i fotoni.

La luce quindi in definitiva è una particella, un corpuscolo? Ovviamente no, troppo elementare
Watson: altri fenomeni infatti sono spiegabili solo se la si considera un’onda e non una particella.
E allora? L’impasse sembra definitiva, ma la soluzione è la più semplice di tutte e allo stesso
tempo la più complicata, un uovo di Colombo da capogiro: la luce è sia onda sia particella. È il
principio del dualismo onda-particella, che detto per inciso vale non solo per la luce ma per ogni
cosa, materia ed energia. La sedia su cui siamo seduti non è composta necessariamente di elementi
solidi, ma anche di onde. Si sente il rombo di tre secoli di fisica che crollano, e il principio di
non-contraddizione scricchiola in modo inquietante.

Ma i problemi sono solo all’inizio. Infatti la spiegazione del dualismo onda-particella complica
ulteriormente le cose: una particella, infatti, è un’onda che indica la probabilità di trovare la
particella stessa in determinati punti dello spazio. Ovvero: normalmente una particella non si trova
in un determinato luogo, ma è “spalmata” in un’onda di probabilità: nel caso più semplice, c’è il
50% di probabilità che si trovi nel punto A, e il 50% che si trovi nel punto B. In effetti, è
contemporaneamente un po’ in A e un po’ in B (è quello a cui si riferiva Einstein quando parlava dei
“dadi di Dio”). Ma quando faremo una misurazione, troveremo la particella solo in A, o solo in B. È
la nostra misurazione, quindi, a far in modo che la particella venga a trovarsi in un solo luogo: in
un certo senso, è l’osservatore che determina la realtà di ciò che osserva. Prima, esiste solo un
insieme di probabilità.

Se vi sentite come un discepolo zen che cerca di risolvere il koan del suono dell’albero che cade
dove nessuno lo sente, siete sulla buona strada. Il paradosso del gatto di Schrödinger che illustra
questo concetto non è molto diverso, anche se un po’ più crudele: un gatto è chiuso in una scatola
con una “macchina infernale” che lo ucciderà nel momento stesso in cui un atomo radioattivo
decaderà. Ma finché non compiamo un’osservazione, l’atomo è nello stesso tempo decaduto e
non-decaduto, e quindi il gatto è contemporaneamente una sovrapposizione degli stati gatto-vivo e
gatto-morto, finché non apriamo la scatola. Poi sarà solo vivo o solo morto. (Invece, secondo
l’interpretazione a molti mondi della fisica quantistica, quando apriamo la scatola si creano due
universi paralleli: uno in cui il gatto è vivo e uno in cui è morto. Ma in entrambi veniamo
denunciati da un gruppo animalista).

Ma anche una volta che abbiamo preso il nostro gatto, cioè dopo aver effettuato la misurazione,
l’incertezza non finisce. Sapremo infatti dove si trova la particella, ma proprio per questo non
avremo nessuna idea precisa della sua velocità. Anche se meno paradossale di altri concetti
quantistici, forse è questa l’idea più rivoluzionaria rispetto alla fisica classica, ed è infatti
molto nota con il nome altisonante di Principio di indeterminazione di Heisenberg. Il principio di
indeterminazione sostiene che esistono coppie di valori (per esempio la velocità e la posizione di
una particella) che non possono essere conosciuti contemporaneamente e con la stessa esattezza. Più
conosciamo l’uno, e meno possiamo conoscere l’altro. O sappiamo dove si trova la particella, ma
ignoriamo la sua velocità, o ne conosciamo la velocità, ma non sappiamo esattamente dove si trovi.
Il bello, o il brutto, è che questo non è dovuto all’imprecisione dei nostri strumenti: accadrebbe
lo stesso se avesso gli strumenti più precisi che si possano costruire, o se potessimo
miracolosamente misurare senza strumenti, come ci si immagina che faccia Dio…

Per la fisica quantistica quindi una conoscenza completa è impossibile, e un margine di ignoto
inevitabile. Non solo, ma gli eventi stessi si producono senza una causa necessaria, un po’ “a
caso”, come se qualcuno da qualche parte decidesse il futuro tirando un dado.

Bibliografia:
Isaac Asimov, L’universo invisibile, 1992 Mondadori
Robert Gilmore, Alice nel paese dei quanti, 2000 Cortina
Davide Fiscaletti, I gatti di Schrödinger, 2007 Muzio Editore
Ford Kenneth W., Il mondo dei quanti, 2006 Bollati Boringhieri
Fritjof Capra, Il Tao della fisica, 1982 Adelphi

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