Dissonanza cognitiva
di: Francesco Raiola – ecplanet.net
«La dissonanza cognitiva è una teoria che si basa sull’assunto che l’individuo mira alla coerenza
con se stesso. Le sue opinioni e i suoi comportamenti, per esempio, tendono a comporsi in complessi
intimamente coerenti». [Festinger, A theory of cognitive dissonance, Standford University, 1957].
In altri termini quando si presenta un conflitto tra pensieri, emozioni o comportamento, quelli in
conflitto tenderanno a cambiare per minimizzare la contraddizione e il disagio che ne deriva.
La persona può infatti tollerare solo un certo numero di discrepanze tra questi componenti che
formano la sua identità. Tenderà perciò a diminuire le cognizioni dissonanti, a rafforzare e
aumentare quelle consonanti con una particolare scelta, visione del mondo o condotta…
Festinger riassume dicendo che «Se cambiate il comportamento di una persona, i suoi pensieri e
sentimenti cambieranno per minimizzare la dissonanza». (1)
Generalizzando la dissonanza può essere ridotta in tre modi:
1) producendo un cambiamento nell’ambiente;
2) modificando il comportamento;
3) modificando il proprio mondo cognitivo. (2)
Il fenomeno è inquadrabile nel cosiddetto «lavaggio del cervello»; si tratta, come noto,
dell’applicazione di un complesso insieme di tecniche finalizzate al cambiamento d’identità;
l’individuo completamente «riscritto», non è più capace di opporre resistenze di tipo razionale
all’insorgenza massiccia di input esterni, in grado, oramai, di influenzarne pesantemente non solo
il comportamento ma perfino le proprie più intime convinzioni.
Edgar Schein (1956), nel suo libro «Coercive Persuasion», definì tale metodologia persuasione
coatta. Basandosi sulle sue ricerche concluse che il processo di persuasione coatta comportava tre
fasi: decongelamento, consistente nella rottura dello schema di fede e di comportamento che
costituisce l’identità della persona; modifica, corrispondente al processo di indottrinamento vero e
proprio; ricongelamento, che attraverso l’uso di tecniche di ricostruzione e rinforzo produce una
nuova identità. (3)
Questo fenomeno, pur connotando in maniera particolare la diffusione dell’evento delle cosiddette
«sette religiose», costituisce comunque uno strumento il cui utilizzo è proprio di certi poteri
forti mondialmente costituiti ed è finalizzato al cambiamento delle idee di massa; si tratta, a ben
vedere, del pensiero (che si decida debba essere) dominante inoculato a gocce allo scopo ultimo di
pervertire l’habitus, ossia la veste comportamentale assunta dalla massa ed in ultima analisi dal
singolo individuo.
Normalmente si tratta di un processo lento; in esordio si veicola l’assioma che si vuole
propagandare in maniera molto subdola e successivamente, a dosi omeopatiche, si introduce il
principio nella sua pienezza; ciò che più crea impatto (e quindi un effetto emotivo, capace di
muovere i sensi, i quali a loro volta condizioneranno l’intelletto)
nell’ascoltatore/spettatore/lettore è il trovarsi di fronte ad uno «stato di fatto», un
comportamento. Ora, normalmente, per l’assunzione nel ruolo di protagonista di tali contegni si
scelgono testimonial di eccezione, le cui credenziali sono direttamente collegate alla loro fama
(maggiore è il carisma esercitato, migliore sarà l’imprinting spirituale); più un personaggio sarà
di impatto, più risulterà utile in quella parte.
Ecco, quindi, la saga dei talk-show imbevuti delle (sole) opinioni che si vogliano propinare, il
dilagare delle cronache rosa ed il pubblico diffondere (o spiare) in piazza la conoscenza delle vite
degli altri (meglio se vip). Modificando, in questo modo, il comportamento dei «modelli di vita»
prescelti (i quali incarnano l’aspirazione a divenire, soprattutto dei più giovani), si cerca di
influenzare le idee ed i giudizi riguardanti siffatti modi di essere. La tolleranza è d’obbligo; si
impone come un assoluto incontestabile il dover accettare necessariamente tutto, persino il male (e
proprio questo è stato uno dei primi assiomi ad essere imposto).
Esempi pratici di alcuni evidenti effetti ottenuti da tale «evangelizzazione» sono facilmente
rivenibili: pensate alla cosiddetta «omosessualizzazione» della società (all’idea di considerare
«normale», ciò che è effettivamente diverso, perché «contro natura») oppure all’«iniziazione
esoterica» iniettata nell’animo dei più giovani, attraverso il fascino di romanzi, cinema o cartoni
animati completamente saturi dell’argomento «magia»: attraverso l’esempio di alcuni personaggi di
rilevante influenza (può trattarsi anche di un protagonista di un noto romanzo, oramai oggetto di
culto o di una fortunata serie televisiva) si «indottrina» il popolo (in entrambi i casi citati la
perseveranza nel tempo ha fatto il suo corso e, come goccia che scava la roccia, ha ottenuto alcuni
notevoli risultati). Tale meccanismo di persuasione (per cui si possono utilizzare – e si sono
utilizzati di fatto – diversi mezzi, non ultimo il mondo del subliminale) pur potenzialmente
applicabile a veicolare qualsivoglia idea, è stato sempre sfruttato dai «poteri forti» a svantaggio
della fede e della morale (in particolare della Chiesa cattolica).
Queste semplici considerazioni ci inducono ad una riflessione. In primo luogo, il fatto che l’essere
umano sia necessariamente strutturato come unità. L’uomo è creato da Dio come persona avente una
propria corporeità e spiritualità; un unicum non ripetibile, costituito da una complessità di
elementi, che però convergono in un solo essere. La dissonanza cognitiva è manifestazione di quella
necessità di coerenza interiore che appartiene all’uomo, ma che è pienamente possibile soltanto al
generato a vita nuova, per la potenza della Grazia sacramentale. L’unità dispersa dal peccato, che è
in grado di disintegrare la persona umana, separandone l’anima dal corpo, è evidente già nella prima
domanda, formulata da Dio subito dopo il peccato: «dove sei ?» (Genesi 3,9). Del resto, oltre al
dato scritturistico e a quello scientifico, è unevidenza il fatto che l’equilibrio personale
dellindividuo sia subordinato alla sua capacità di «essere in pace con se stesso» (per usare
un’espressione tanto di moda, oggi).
L’uomo in pace è quindi colui che riesce a vivere l’interna armonia delle proprie facoltà,
coordinando, perfettamente e secondo logica, il suo modus vivendi al mondo delle proprie personali
convinzioni. Detto altrimenti: l’uomo, per essere persona felice, deve vivere come pensa (e pensare
come crede). In caso contrario, subirà quel processo «dissonante», il cui primo allarme è già dato
dalla coscienza; quest’ultima, tuttavia, col passar del tempo e senza la luce che viene dall’alto
(ossia senza un confronto oggettivo con la verità) si potrebbe «abituare» all’accondiscendenza di
queste «non corrispondenze comportamentali», al punto di dover cercare razionalmente una
giustificazione artefatta ed ipocrita: è il momento in cui l’intelletto si vede costretto dal suo
intimo sentire a prestare il proprio assenso al falso e non al vero. Quel che prima era considerato
peccato mortale, dopo un po’ di tempo (cioè con il reiterarsi del peccato, con l’habitus al
peccato), non lo si reputa più cosa così grave. È il medesimo principio a molti assai noto: una rana
gettata in una pentola con acqua bollente tenterà di fuggire quanto prima; la medesima rana, invece,
messa in una pignatta con acqua tiepida e (badate bene) con il fuoco accesso, resterà tranquilla;
l’acqua inizierà a scaldarsi lentamente e questo susciterà in lei anche una certa sensazione di
benessere e rilassamento, ma alla fine, avremo una rana bollita.
Così accade nella vita dello spirito: il nemico toglie a poco a poco piccole cose, inavvertitamente
«abitua al male» (cioè all’assenza di un bene dovuto) e lascia intorpidire lo spirito, annebbiandone
l’intelletto, fino a consumarlo del tutto nel non-senso del peccato. A ben vedere, la stretta
correlazione che intercorre tra essere, pensare, credere (quest’ultimo rappresenta la fase
«oggettiva» del proprio pensiero; siamo lontani dal libero arbitrio. Il credere implica
necessariamente un confronto con un elemento a sé esterno e non altrimenti «reperibile») è palese e
si manifesta con coerenza soltanto nella religione cattolica. Il relativismo (ideologico nel
protestantesimo e morale nellortodossia) e la matrice gnostica (che, trasversalmente, interessa,
per esempio, le religioni orientali nonché il giudaismo kabbalistico) impediscono, visto il loro
presupposto rifiuto dell’assoluto, una coerenza interna non solo a livello «di sistema», ma anche e
necessariamente a livello «personale».
Certamente il «principio» non opera in maniera meccanica, ma appartiene solo a coloro che,
completamente abbandonati alla volontà divina, sappiano armonizzare le opere del corpo alle mozioni
dello spirito. Non è possibile tale armonica soluzione dell’essere senza l’esperienza di un silenzio
interiore volto a tacitare le tentazioni dispersive e a sanare le ferite grondanti dello spirito. Il
silenzio è figlio della preghiera ed è padre della contemplazione, aiuta l’uomo ad accedere
all’unico silenzio, dove la pace e l’armonia sono un solo Essere. «Il silenzio perfetto è l’armonia
di tutto l’essere con tutte le sue tendenze poste in Dio in un sì incondizionato e gaudioso». (4)
Note
1) www.cesap.net/index.php?option=com_content&task=view&id=604&Itemid=58
2) it.wikipedia.org/wiki/Dissonanza_cognitiva
3) www.cesap.net/index.php?option=com_content&task=view&id=522&Itemid=58
4) www.laobradelaiglesia.org/ita/escritos/fdo/itafdo15.pdf
Data articolo: giugno 2007
Fonte: Tratto da www.effedieffe.com & ripreso da www.nexusitalia.com
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