Domande basilari sul buddhismo

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Domande basilari sul buddhismo

Domande «Barca» sul buddhismo (tratto da it dhammadana.org)
(In francese, “Domanda Barca” [Question bateau] significa “questione basilare”)

La vostra imbarcazione scivola lentamente sul fiume pacifico che,
attraverso il suo libero spazio, conferisce alla circostante foresta
tutto il suo splendore.

Avete perso il vostro cammino. Improvvisamente, un piccolo capanno
sembra ergersi sulle rive dell’acqua. Scorgendolo, così minuto ed
isolato, la vostra curiosità è tale che vi fermate, senza la minima
esitazione.

Vi è un solo abitante presente. Si tratta di un monaco d’età media,
con l’aria tranquilla, ed un costante sorriso all’angolo delle labbra.
Vi accoglie con spontaneità e vi invita a bere qualche tazza di tè
fresco, che cresce sull’altra riva.

Gioite dell’occasione fortunata, che vi permette di rivolgergli tutte
le domande che, da anni, trottano nella vostra mente.

Cosa è il buddhismo?

E’ la via che ci permette di liberarci dall’attaccamento, fonte di
tutte le nostre noie. E’ capire la realtà, come essa appare e
sparisce, in ogni istante. E’ conoscere la nostra mente, per non essere
più sotto la prigionia delle sue tendenze perniciose.

Qual è la meta?

Liberarsi dalla prigionia dei sensi. Quando si raggiunge la piena
Realizzazione, non conosciamo più la minima impurità.

Entriamo in uno stato superiore, in un luogo particolare, o nel nulla?

Nè l’uno e nè gli altri. Quando Buddha, o chiunque individuo vi
perviene, egli continua a sperimentare delle visioni, dei suoni, dei
tatti, dei gusti, degli odori e dei pensieri ma, a differenza della
gente, li vede come essi sono, senza considerarli stabili,
soddisfacenti ed esistenti di per se stessi, quali la nostra cecità e
la nostra confusione mentale ci incitano a credere di continuo.

Lo scopo non è quello che si chiama nibbana?

Sì, in qualche maniera è una sorta di esperienza di purezza completa
dello spirito, che sopravviene dopo avere distinto in profondità,
attraverso la meditazione, i componenti fisici e psichici, e da cui
nasce il completo distacco.

Ma com’è possibile farsi una corretta idea di un’esperienza che non
rassomiglia a nulla di ciò che abbiamo potuto sperimentare? Volersi
interessare alla sommità del monte, prima di mettersi in cammino sul
sentiero di base, è come porre il carro davanti ai buoi.

Quanto tempo ci vuole per giungere al completo distacco?

Numerose vite! Allorché ci sono delle buone condizioni, può avvenire
presto. Ciò dipende da numerosi fattori, ma principalmente dalla
propria capacità di comprendere il Dhamma, cioè la vita che conduce
alla saggezza, e che Buddha ci ha insegnato. Chi vuole, può praticare
questo Dhamma.

Per dare un ordine di idee più preciso, diciamo che un individuo
virtuoso, che giunge a rinunciare alla vita mondana, cioè, che se ne
sta isolato da zone abitate e da ogni distrazione e piacere sensuale,
e che si consacra seriamente alla meditazione, seguendo le istruzioni
delle guide competenti, può sperare in grandi risultati, come il
nibbana, o in una fase preliminare ad esso, in capo a qualche anno.

Dunque, questi non hanno atteso numerose vite!

Se le loro condizioni sono propizie, è perché si sono dedicati a ciò
da numerose vite. Non esiste alcun privilegio. Ognuno raccoglie quel
che merita.

Solo i monaci e le monache possono giungere allo scopo?

Chiunque sviluppi diligentemente la concentrazione e la sagacia
giungerà alla stessa meta. Buddha aveva anche numerosi discepoli laici
realizzati. Importa comprendere che la vita da rinunciante — monaco,
monaca, novizio, suora, asceta, eremita — non è uno scopo in sè, ma
semplicemente un mezzo che offre le condizioni più propizie allo
sviluppo del Dhamma.

E ben più importante rinunciare ai piaceri sensoriali, che al conforto
della vita laica — in rapporto a quello della vita monastica, ove non
esistono più il denaro, nè i bei vestiti, né pasti variegati ad ogni
ora, ecc.. Tuttavia, la rinuncia materiale resta il migliore
“calzascarpe” della rinuncia interiore.

Cosa succede se non si riesce?

L’obiettivo si avvicina sempre di più e la pratica diventa sempre più
facile, per non dire automatica. Prima dei grandi risultati, la
meditazione porta dei benefici inestimabili, e ciò sin dall’inizio:
calma, tranquillità, distacco, contentezza; cioè, la capacità di
soddisfarsi di poco e di adattarsi ad ogni situazione, senza
soffrirne.

Cosa è la meditazione?

Un trattamento dello spirito che consiste, in un primo tempo, a
renderlo perfettamente calmo ed equanime (samatha); poi, a penetrare
direttamente nella realtà, attraverso il riconoscimento degli elementi
che costituiscono la coscienza e la materia (vipassana).

Ciò, suppongo, richiede molto sforzo

Al contrario! E’ solo quando non si forza più nulla in qualunque cosa,
che si è veramente in grado di meditare. Nella vita sociale, siamo
talmente abituati a fornire numerose sollecitazioni di ogni tipo per
ottenere dei risultati, che l’idea di “non fare nulla” per acquisire
concentrazione e saggezza diviene sconcertante.

Il successo nella meditazione non sta nello sforzo, ma nel lasciare la
presa. E’ un totale abbandono di tutto, un arresto dell’aggrapparsi
permanentemente a tutto e a non importa chi, come facciamo, di
continuo, senza rendercene conto.

Buddha non parla del “giusto sforzo”?

Ciò non ha nulla a che fare con una forma di tensione fisica, o
mentale, come espone l’abituale definizione della parola “sforzo”.
E’ molto più sottile. Questo tipo di pressione “giusta” e senza
esagerare, nasce da “viriya” in paḷi. Come molti altri termini
buddhisti, lo abbiamo tradotto in italiano, come potevamo.

Tale “giusta pressione si definisce piuttosto come un’applicazione
sostenuta della mente su di un oggetto unico (ritornarci sopra, ogni
volta che si evade nei pensieri, o nelle sensazioni). Possiamo anche
parlare dell’evitare, in modo continuo, il lasciare andare lo spirito
alle sue tendenze naturali, che vanno verso l’attaccamento, il rigetto
e la confusione. Fatto che permette, poco a poco, di sviluppare la
tranquillità interiore ed una giusta visione della realtà. Con
l’abitudine, questo diviene un riflesso naturale. Ecco perché più
meditiamo e più ci diviene facile farlo.

Cosa bisogna compiere se non si ha il tempo di meditare?

Se ne ha sempre il tempo! Solo che, agli inizi, si è meno abili; è
tutto qui. Coloro che posseggono una potente concentrazione sono
quelli che si sono allenati a lungo. Non sperate di riuscire a parlare
una lingua straniera, senza cominciare dalle basi. Nella meditazione,
le basi sono rappresentate da tutto ciò che impedisce alla
concentrazione di svilupparsi in modo naturale. Che chiamiamo gli
ostacoli alla meditazione (nivaraṇa).

Come iniziare a meditare?

Trovate un momento tranquillo, relativamente silenzioso e sedetevi in
modo comodo; a terra, su di un cuscino, se potete. Chiudete bene gli
occhi e distendetevi completamente, rilassando tutti i vostri muscoli.
Mettete da parte ogni pensiero della giornata. Rimanete semplicemente
presenti alla vostra respirazione, senza forzare alcunchè, né cercare
di localizzare una zona, oppure l’altra. Prendete come oggetto di
attenzione la respirazione nel suo assieme e ritornatevi ogni volta
che la mente evade in pensieri e in domande; cosa inevitabile, sino a
che la concentrazione non diviene un fatto stabile. L’importante è
fare quel che noi possiamo, quando lo possiamo, senza aspettare
progressi. Certi giorni le cose sembreranno più facili; in altri sarà
il contrario. Come per la meteorologia, la mente è raramente stabile.

La meditazione è come una pianta. Perché cresca bene, bisogna
innaffiarla regolarmente ed accordarle tutta la propria attenzione,
quando ce ne occupiamo.

E se non abbiamo il tempo di meditare?

Tutti noi troviamo molto tempo per le distrazioni. Individuare un
quarto d’ora di tempo per meditare è concesso ad ogni persona. Detto
questo, la mente espone sempre le sue forti ragioni per trovare tutto
ciò troppo difficile, o “non possibile, al momento”.

In ogni caso, è importante cogliere ogni occasione per sviluppare le
qualità necessarie alla Realizzazione. La meditazione diverrà sempre
più facile, dal giorno in cui la praticheremo, poiché ogni azione nel
Dhamma è un preliminare ad essa. E conduce alla Liberazione definitiva
da tutte le insoddisfazioni.

Queste qualità sono chiamate parami Si tratta, tra l’altro, della
generosità, del comportamento virtuoso, della rinuncia, dello sforzo —
giusto —, della pazienza, della benevolenza…

In maniera generale, evitate quel che è malsano, fate ciò che è sano,
rinunciate, poco a poco, a tutto ciò che non è veramente utile —
materiale, abitudini, attività, principi, credenze; non frequentate
individui che privilegiano il piacere alla saggezza; favorite i
rapporti con individui sani, virtuosi e ragionevoli; preferite
l’isolamento dalla effervescenza mondana; favorite la calma e la
tranquillità.

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