Doping sonoro e performance sportive

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Doping sonoro e performance sportive

Doping sonoro, e’ possibile modificare le performance sportive con la musica?

Moltissimi atleti utilizzano la musica per concentrarsi e migliorare i propri risultati, prima e
dopo le gare. Ma funziona d’avvero? Ecco cosa dice la scienza

di Simone Valesini

24 FEB, 2018

Che sia in palestra, in piscina o all’aria aperta, c’è un gadget che oggi non può mai mancare
nell’armamentario di un vero sportivo: le cuffie. La musica aiuta a isolarci dal caos circostante, a
dimenticare la fatica e concentrarci sugli esercizi che stiamo effettuando. E con la giusta canzone,
sembra anche in grado di portare le nostre performance al livello successivo. Questa almeno è
l’opinione di molti sportivi, amatoriali o professionisti che siano. Non ultimi gli atleti impegnati
nelle olimpiadi invernali coreane: in particolare gli snowboarder, che come ricorda un articolo del
New York Times si lanciano dall’halfpipe rigorosamente armati di cuffie, ascoltando di tutto, da
Eminem a Lady Gaga, passando per Bob Marley e gli Acqua. Ma cosa dice la scienza? La musica è
realmente in grado di migliorare le performance sportive?

Doping sonoro

C’è un nome che è impossibile non citare se si parla di musica e sport: Costas Karageorghis, esperto
di Sport, Health & Excercise Sciences della Brunel University di Londra che da anni studia gli
effetti della musica sulle performance fisiche degli atleti.

E con quasi un decennio di ricerche nel campo, Karageorghis si è fatto un’opinione precisa: la
musica può migliorare nettamente i risultati di uno sportivo, con effetti addirittura paragonabili a
quella di farmaci e altre sostanze dopanti. E ovviamente in modo completamente legale. In un’ampia
metanalisi delle ricerche effettuate nel campo pubblicata qualche anno fa, Karageorghis elenca
diversi benefici della musica, suddivisi tra due differenti modalità d’ascolto: pre-esercizio, dove
la musica può aiutare a seguire con più precisione il riscaldamento e la routine pre-gara e può
motivare e mettere nel giusto stato d’animo, diminuendo anche del 10% la percezione della fatica (ma
solo in caso di esercizi anaerobici); e durante l’esercizio, quando la musica si trasforma in un
metodo per aumentare la concentrazione, potenziare la performance e scacciare la fatica.

La playlist perfetta

Diversi programmi e app di allenamento forniscono l’opzione di personalizzare la propria playlist
musicale in base all’esercizio che si intende effettuare. Basandosi sulle sue ricerche Karageorghis
si è spinto anche più in là: playlist scientifiche, che scelgono le canzoni per ogni fase
dell’allenamento in base alle esigenze dell’organismo e agli effetti della musica. In un’intervista
rilasciata alla Bbc nel 2014 l’esperto chiarisce il suo metodo, con tanto di esempi. Prima degli
esercizi è il momento di musica lenta, che non consumi energie mentali con ritmi troppo incalzanti
(deve rimanere tra i 70 e i 100 bpm, o battiti per minuto, una misura equivalente a quella riportata
dai metronomi), ma che al contempo sia in grado di ispirare l’atleta, con i testi, la composizione,
o altro. I tre pezzi che consiglia come esempio sono:

– Search for the Hero degli M People – 100 bpm

– Gonna Fly Now (dal film Rocky) – bpm 97

– Chariots of Fire dei Vangelis – bpm 70

Giunti all’inizio dell’allenamento vero e proprio, è tempo di cambiare musica: le canzoni in questa
fase sono pensate per restare sullo sfondo, senza attirare l’attenzione dell’atleta sul tempo del
pezzo, che andrebbe sincronizzato non con la velocità di esecuzione dell’esercizio (come vedremo più
avanti) ma con la frequenza cardiaca (fino ad un massimo di 140 bpm, oltre il quale l’efficacia
defaticante della musica inizia a scemare). Le canzoni proposte sono:

– Mercy di Duffy – bpm 127

– Don’t Stop the Music di Rhianna – bpm 123

– Put Your Hands Up for Detroit di Fedde Le Grande – bpm 129

Entrati nel vivo dell’esercizio aerobico, la musica diventa un modo importante per regolare lo
sforzo e mantenere costante il ritmo dell’esercizio. L’opzione migliore sarebbe quella di filmarsi
durante una seduta di allenamento, o una corsa, e poi trovare il tempo su cui studiare la playlist.
In mancanza di questa informazione, vanno scelte canzoni relativamente veloci, ma soprattutto con un
ritmo costante. Ecco gli esempi dell’esperto:

– Pump It Up di Danzel – bpm 128

– I See You Baby dei Groove Armada – bpm 128

– Don’t Stop Moving degli S Club 7 – bpm 117

Il meccanismo cerebrale

Fino a qui abbiamo parlato dei possibili effetti della musica sullo sport. Ma da dove arrivano? La
risposta ce la da il lavoro più recente di Karageorghis e del suo team di ricercatori della Brunel
University: un esperimento descritto sulle pagine della rivista Psychology of Sport and Exercise, in
cui hanno fatto indossare un elettroencefalografo portatile a 24 volontari per misurare l’attività
del loro cervello durante l’attività fisica, e misurare i cambiamenti indotti dall’ascolto della
musica. Camminando lungo un percorso di 400 metri all’aperto, alcuni partecipanti si sono trovati ad
ascoltare la canzone Happy di Pharrell Williams, altri la voce di uno speaker radiofonico, mentre un
terzo gruppo ha svolto l’esercizio senza musica nelle cuffie.

Analizzando quindi i risultati sono emerse diverse differenze: la musica ha dimostrato di aumentare
le energie dei partecipanti e di migliorarne l’umore, al prezzo di una leggera perdita di
concentrazione, mentre la voce dello speaker radiofonico si è dimostrata in grado di far apprezzare
maggiormente la passeggiata, rispetto al gruppo che non ha ascoltato nulla dalle cuffie. E guardando
i tracciati registrati dell’elettroencefalogramma, i ricercatori ritengono di aver identificato
l’origine di queste differenze. Tutto merito delle onde beta, che in presenza della musica sono
risultate più potenti, specialmente nelle aree frontali e centrali della corteccia cerebrale.

Non tutte le ricerche concordano

Se fino a qui la musica può essere sembrata la risposta perfetta per migliorare le vostre sessioni
di allenamento, è bene ricordare che non tutti gli indizi raccolti dalla scienza vanno nella stessa
direzione. Uno dei più recenti arriva ad esempio da due ricercatori tedeschi, Paul Elvers, del Max
Planck Institute for Empirical Aesthetics di Francofore e Jochen Steffens della Technische
Universität di Berlino. Il loro lavoro, pubblicato su Frontiers in Psychology, ha coinvolto 150
persone invitate dai ricercatori a partecipare a un gioco a premi: una gara il cui scopo era
lanciare una palla all’interno di un canestro, e in cui si veniva ricompensati con una somma di
denaro calcolata in base alla distanza da cui si decideva di effettuare il lancio. Perché
coinvolgere anche il denaro? Perché lo scopo dei ricercatori era duplice: valutare l’effetto della
musica sulla performance sportiva e anche sulla propensione al rischio (lanciando la palla da più
lontano aumentava il rischio di fallire il tiro, ma cresceva anche la potenziale vincita in denaro).

Ovviamente, durante i lanci ai partecipanti veniva fatta ascoltare una playlist di canzoni (che
comprendeva pezzi di genere molto diverso, dai Queen a David Guetta) studiate proprio per motivare i
partecipanti e migliorarne le performance agonistiche (cosiddette motivational music). E stando ai
risultati, la musica non ha mostrato gli effetti sperati: ascoltare canzoni motivazionali infatti
non ha migliorato in alcun modo la percentuale di successo dei partecipanti. Al contempo, dallo
studio è emerso un effetto collaterale inaspettato: una maggiore propensione a correre dei rischi
quando di ascolta la musica. Visto che al termine dell’esperimento i partecipanti che avevano scelto
di correre più rischi avevano guadagnato, in media, anche una cifra maggiore, difficilmente si può
parlare però di un effetto negativo.

www.nytimes.com/2018/02/20/sports/olympics/snowboarding-music.html?mtrref=www.google.it

www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3339578/

www.bbc.co.uk/wales/raiseyourgame/sites/motivation/psychedup/pages/costas_karageorghis.shtml

www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1469029217301425

www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2017.02026/full

www.frontiersin.org/files/Articles/302953/fpsyg-08-02026-HTML/image_m/fpsyg-08-02026-t001.jp
g

da wired.it/scienza/medicina

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