È proprio vero: siamo quello che mangiamo (almeno per il microbioma)

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È proprio vero: siamo quello che mangiamo (almeno per il microbioma)

Il catalogo più completo dei microrganismi presenti nel cibo conferma che una piccola parte del loro
microbioma rimane nel nostro intestino.

4 settembre 2024 – Elisabetta Intini

I lattobacilli abbondanti nell’intestino umano sono anche impiegati nell’industria casearia.

Non è solo un modo di dire: siamo quello che mangiamo – almeno se si considera il microbioma, il
patrimonio genetico delle specie ospiti che popolano il tratto digerente umano. La conferma arriva
dal più ampio e completo catalogo di funghi, batteri e altri microrganismi contenuti nel cibo, un
lavoro coordinato dai biologi dell’Università di Trento e pubblicato su Cell.

COMPENDIO DELL’INVISIBILE. Gli scienziati hanno sequenziato il DNA dei microrganismi in quasi 2.000
cibi e li hanno integrati con i dati già esistenti su altri 600 alimenti. Il lavoro espande le
precedenti conoscenze sui microbiomi degli alimenti e il loro ruolo nell’influenzare la nostra flora
intestinale: benché si sapesse che i cibi che mangiamo ospitano spesso comunità di microrganismi
complesse, la diversità di queste popolazioni rimaneva in parte misteriosa.

BATTERI UTILI (E ALTRI UN PO’ MENO). Alcuni microrganismi sono parte integrante di certi alimenti e
hanno un ruolo di primo piano nella loro creazione (si pensi ai cibi fermentati come i crauti, il
kimchi coreano, o alle muffe che rendono squisito il gorgonzola, tra i formaggi inclusi nello
studio). Altri sono invece implicati nei processi di degradazione degli alimenti e possono influire
negativamente sulla salute umana.

ALCUNE SORPRESE. Come spesso accade negli studi sul microbioma, molti dei microrganismi identificati
dagli scienziati sono risultati del tutto nuovi per la scienza: circa la metà di quelli censiti era
finora sconosciuta. L’analisi ravvicinata dei microrganismi e del loro patrimonio genetico ha
rilevato anche curiose affinità e differenze: per esempio i microrganismi in caffè e kombucha, una
bevanda frizzante che si ottiene dalla fermentazione del tè, somigliano a quelli di alcune bevande
alcoliche; mentre i lattobacilli contenuti nel blue cheese sono molto diversi da quelli presenti in
fontina e mozzarella.

PICCOLE COMUNITÀ STABILI. Ma l’aspetto forse più interessante è emerso dal confronto tra il
microbioma del cibo e quello di migliaia di microbiomi del tratto digerente (cavo orale e intestino)
umani. Il 3% delle specie di microrganismi nell’intestino umano, l’8% di quelle presenti
nell’intestino dei bambini e il 50% di quelle nei neonati si trova anche nel cibo (per quanto
riguarda i neonati, soprattutto nel latte materno).

Questo, precisano gli autori dello studio, non significa che derivino necessariamente dal cibo
appena ingerito. Potrebbe trattarsi di un retaggio di una fase passata dell’evoluzione umana, nella
quale alcuni microrganismi presenti nel cibo si stabilirono in pianta stabile nei nostri organi
digestivi e iniziarono ad essere scambiati da uomo a uomo.

www.cell.com/cell/fulltext/S0092-8674(24)00833-X

da focus.it

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