E se lo spazio-tempo fosse un superfluido?

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E se lo spazio-tempo fosse un superfluido?

21 giugno 2014

Una nuova suggestiva teoria attribuisce allo spazio-tempo, il tessuto fondamentale che regge l’universo, le qualità di un liquido con una viscosità bassissima, cioè di un superfluido. Se fosse verificata, questa idea consentirebbe di conciliare la meccanica quantistica con la teoria generale della relatività, un obiettivo che i fisici teorici inseguono da decenni. Le misurazioni astrofisiche per ora non hanno rilevato segni di superfluidità dello spazio-tempo, che si evidenzierebbe con una perdita di energia dei fotoni molto energetici che provengono da regioni remote del cosmo come la Nebulosa del Granchio

di Clara Moskowitz

Se lo spazio-tempo è simile a un liquido – in base a un’idea che secondo alcuni fisici aprirebbe una via per risolvere l’essenziale incompatibilità tra due teorie dominanti della fisica – dev’essere un liquido davvero molto speciale. Un recente studio ha confrontato le osservazioni astrofisiche con le previsioni basate sul concetto di spazio-tempo fluido, e ha scoperto che l’idea funziona solo se lo spazio-tempo è incredibilmente liscio e scorre senza attrito: in altre parole, è un superfluido.

Pensare lo spazio-tempo come un liquido può essere un’utile analogia. Spesso immaginiamo lo spazio e il tempo come i due scenari fondamentali dell’universo. Ma che cosa succederebbe se non fosse così? Se, in uno strato più profondo della realtà, che non possiamo percepire, fossero costituiti da elementi più piccoli? In questo caso, le proprietà dello spazio-tempo dovrebbero “emergere” dalla fisica di base dei suoi costituenti, proprio come le proprietà dell’acqua sono il frutto dalla fisica che governa le particelle che la compongono.

“L’acqua è fatta di unità discrete, singole molecole che interagiscono tra loro secondo le leggi della meccanica quantistica; ma l’acqua liquida appare un continuo, fluido, trasparente e rifrangente”, spiega Ted Jacobson, dell’Università del Maryland a College Park. “Queste sono tutte le proprietà emergenti che non possono essere trovate nelle singole molecole, anche se, in ultima analisi, derivano da esse”.

I fisici hanno preso in considerazione questa possibilità fin dal 1990, nel tentativo di conciliare la teoria dominante che spiega la gravitazione su larga scala, la teoria generale della relatività, con la teoria quantistica che disciplina il comportamento dei pezzi molto più piccoli della meccanica dell’universo. Le due teorie sembrano funzionare perfettamente all’interno dei loro rispettivi domini, ma entrano in conflitto in sistemi fisici che mettono insieme le scale più grandi con quelle più piccole, come i buchi neri, caratterizzati estremamente da una massa enorme e un volume estremamente piccolo.

Molti fisici hanno cercato di risolvere il problema con la “quantizzazione” della gravità, suddividendo il campo gravitazionale in pezzi più piccoli, proprio come nella meccanica quantistica si “sbriciolano” molte grandezze in pacchetti discreti, come i livelli di energia delle particelle. “Sono stati fatti molti tentativi per quantizzare la teoria della gravità: le stringhe e la gravità quantistica a loop sono approcci tra loro alternativi che possono affermare di aver fatto notevoli progressi”, dice Stefano Liberati, della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste. «Ma forse non c’è bisogno di quantizzare la gravità: basta quantizzare l’oggetto fondamentale che costituisce lo spazio-tempo”.

Liberati, insieme al collega Luca Maccione della Ludwig Maximilian University di Monaco di Baviera, ha recentemente studiato in che modo questa struttura ideale possa influenzare luce che viaggia attraverso l’universo. Uno spazio-tempo emergente, che si comporta come un fluido, non sarebbe immediatamente distinguibile dalla spazio-tempo di una qualsiasi altra teoria. Eppure Liberati e Maccione hanno scoperto che, in situazioni estreme, in cui sono presenti particelle di luce molto energiche, alcune differenze sarebbero evidenti. Analizzando i dati di fotoni ad alta energia che hanno origine dalla Nebulosa del Granchio e che attraversano l’universo, i due autori sono riusciti a escludere alcune versioni di spazio-tempo emergente. Inoltre, hanno dimostrato che se si tratta proprio di un fluido, dev’essere in particolare un “superfluido”. I ricercatori hanno pubblicato i loro risultati sul numero del 14 aprile delle “Physical Review Letters”.

In questa analogia, le particelle potrebbero viaggiare attraverso lo spazio-tempo come le onde in un oceano, e si potrebbero applicare le leggi della meccanica dei fluidi, o della fisica della materia condensata. In precedenza i fisici hanno considerato in che modo come particelle di diverse energie verrebbero disperse nello spazio-tempo, proprio come le onde di diverse lunghezze d’onda si disperdono, o si propagano a velocità diverse, nell’acqua.

In quest’ultimo studio, Liberati e Maccione hanno preso in considerazione un altro fenomeno tipico dei fluidi: la dissipazione. Come le onde che si propagano in un mezzo, anche le particelle perdono energia nel tempo. I ricercatori hanno trovato che questo effetto frenante potrebbe anche riguardare i fotoni che viaggiano attraverso lo spazio-tempo. Anche se l’effetto è piccolo, fotoni molto energeti che viaggiano su enormi distanze dovrebbero perdere una notevole quantità di energia.

Un esempio concreto è la Nebulosa del Granchio, il residuo di una supernova che dista circa 6.500 anni luce dalla Terra e che emette raggi X ad alta energia e raggi gamma. Con il passare tempo, questa luce raggiunge i nostri telescopi: la sua energia dovrebbe essersi dissipata in qualche misura se lo spazio-tempo ha effettivamente le proprietà di un liquido.

Osservazioni della Nebulosa del Granchio, invece, non mostrano alcun segno di tale fenomeno. “Nel nostro studio mostriamo che lo spettro di radiazione sarebbe notevolmente influenzato da questa perdita di energia perché viaggia per molto tempo, anche se si tratta di un effetto molto limitato”, sottolinea Liberati. La mancanza di un segnale che indichi dissipazione ha permesso ai ricercatori di porre forti vincoli sugli effetti liquidi che potrebbero essere presenti nello spazio-tempo, mostrando che essi devono essere estremamente piccoli o del tutto assenti. “I dati non stanno dicendo che questa eventualità è del tutto esclusa”, dice Liberati. Gli stessi dati, tuttavia, restringono le possibilità di spazio-tempo liquido a liquidi con viscosità molto basse, che quasi non bagnano le superfici: i superfluidi.

Anche i sostenitori dell’idea dello spazio-tempo fluido ammettono che il concetto di spazio-tempo liquido non ha riscosso molto successo, per la sua improbabilità. Ma potrebbe essere reale? “Non ho assolutamente idea e, personalmente, ritengo che nessuno ce l’abbia in proposito”, risponde Renaud Parentani, ricercatore dell’Università di Paris-Sud, che inizialmente ha suggerito l’idea di considerare gli effetti di dissipazione. “Tutto quello che possiamo fare è elaborare modelli delle varie possibilità.

Se è vero che lo spazio-tempo è un superfluido e che i fotoni di energie differenti viaggiano a velocità diverse e dissipano energia col passare del tempo, allora la relatività non vale in tutte le situazioni. Uno dei fondamentali principi di questa teoria, l’invarianza di Lorentz, afferma che la velocità della luce è una constante fondamentale, indipendente dal moto del sistema di riferimento in cui si trova l’osservatore. “L’dea che lo spazio-tempo come noi lo conosciamo emerga da qualcosa che viola la relatività è piuttosto radicale”, spiega Jacobson. Essa, tuttavia, consente potenzialmente di risolvere alcuni dei problemi che sorgono quando si cerca di combinare la relatività con la meccanica quantistica. “Violare la relatività aprirebbe la possibilità di eliminare la quantità infinite che emergono nella teoria attuale e che probabilmente non sono fisicamente corrette”.

Se lo spazio-tempo è un superfluido, in definitiva, una difficile navigazione attende i fisici teorici.

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