Effetto Mozart e oltre. Gli effetti della musica dall’antichità ai giorni nostri

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Effetto Mozart e oltre. Gli effetti della musica dall’antichità ai giorni nostri

di Antonio Montinaro

Fra musica e neuroscienze: una ricognizione sull’antichità

La recente diffusione, da parte delle agenzie di stampa, dei risultati di una ricerca scientifica sugli effetti della musica condotta sui nati pretermine ha riportato l’attenzione sul cosiddetto Effetto Mozart. Ben noto a chi si occupa di musica e soprattutto di musicoterapia. Ma andiamo con ordine. Nell’antica Grecia, Apollo era considerato il dio sia della Medicina che della Musica. Francis Bacon nella sua opera fondamentale “The Advancement of Learning “ afferma : “I poeti fecero bene a unire la musica e la medicina in Apollo perché il compito della medicina non è altro che intonare quella strana arpa che è il corpo umano e riportarla all’armonia”. Il suono della lira di Orfeo, sceso nell’Ade alla ricerca della sua Euridice, commuove alle lacrime le terribili Furie e l’amata gli viene restituita; la lira di Orfeo anestetizza dunque il male, frena le passioni, e spiana la via alla realizzazione di un percorso che, per quanto sia tinto di dolore e disperazione, condurrà all’unione definitiva della coppia, pur fuori dal mondo dove il tempo non è più un valore e dove regnano la grande pace e l’armonia del silenzio. “La musica congiunge perché porta a consuonare tutto ciò che è capace di vibrare” (A.Romano) E’ in fondo l’utopia illuministica che traspare nel Flauto Magico, opera somma del sommo Mozart, dove il periglioso percorso iniziatico dei due protagonisti, Tamino e Pamina, approda con l’aiuto della musica nel mondo della pace e della luce di Sarastro.Nel libro di Samuele si narra: “Lo spirito del Signore si era allontanato da re Saul ed uno spirito malvagio di Dio lo aveva invaso”; “Davide prendeva la cetra e suonava con la sua mano, Saul trovava la calma”. Davide può essere quindi considerato il primo musicoterapeuta. Il rapporto tra Saul e Davide altro non è che il rapporto fra paziente e terapeuta, e la musica è il farmaco. L’utilizzazione della musica a scopo terapeutico risale, dunque, a tempi antichissimi, sebbene manchi, allo stato attuale, una descrizione scientifica dei meccanismi mediante i quali la musica stessa esercita i suoi effetti. La musica, infatti, solo recentemente ha ricevuto dalle neuroscienze l’attenzione che meritava poiché si è sempre guardato ad essa come strumento edonistico e non come elemento essenziale di vita o possibile presidio terapeutico.

L’influenza della musica sulle funzioni cerebrali umane

Anche se già nel 1811 Pietro Lichtenthal nel suo “Trattato dell’influenza della musica sul corpo umano” asseriva: “ Degno d’esperimento d’un medico è, a parer mio, il ricercare quanta sia la forza dell’arte musicale sull’uomo, e, condotto da ragionamento filosofico, trarne uso talora nella cura delle malattie. Questa idea non fu onorata finora secondo la sua eccellenza …Io cerco di spargere un po’ più di lume su di questo punto… Spero che questo trattato non sarà dìscaro ai medici dotti”. La funzione terapeutica della musica risiede nel suo potere comunicativo, nella sua capacità di aprire canali di comunicazione non verbali. Essa parla infatti il linguaggio delle emozioni e come tale svela il dolore e rivelandolo lo risolve. Gli studi clinici in corso sugli effetti della musica dimostrano con sempre maggiore affidabilità come essa migliori la precisione dei movimenti fini, la deambulazione, il controllo della postura, ma anche lo stato di benessere affettivo e comportamentale nei malati affetti da alterazioni della sfera motoria. È stata ampiamente documentata l’influenza della musica sul miglioramento dei parametri motori in pazienti con Morbo di Parkinson, Alzheimer, Sclerosi Multipla, atassia, spasticità. Una recente pubblicazione ha portato un grosso contributo sul ruolo potenziale della musica nella riabilitazione neurologica. In 20 pazienti colpiti da ictus è stata attuata una strategia di riabilitazione basata sulla musica per evocare risposte sensomotorie. La terapia consisteva in un training guidato all’uso di una tastiera o della batteria, per tre settimane, che coinvolgeva prima l’arto paretico e poi il controlaterale, in aggiunta alla terapia convenzionale. Il gruppo di controllo riceveva solo la terapia convenzionale. Tutti i pazienti sottoposti a training musicale hanno mostrato un significativo miglioramento nella velocità, precisione e scioltezza dei movimenti rispetto al gruppo di controllo, confermando l’efficacia di questo approccio per la riabilitazione neuromotoria dei pazienti con ictus. Ma c’è di più. Un recente report finlandese ha indagato se l´ascolto sistematico e quotidiano della musica possa facilitare il recupero delle funzioni cognitive e del tono dell´umore dopo ictus cerebrale. 60 pazienti, ricoverati in fase acuta per una lesione ischemica nel territorio dell’arteria cerebrale media destra o sinistra, sono stati suddivisi in tre gruppi: musica, linguaggio e controllo. Per i successivi due mesi il “gruppo musica” ha ascoltato quotidianamente musica selezionata personalmente; il “gruppo linguaggio” si è concentrato sull´ascolto di audiolibri, mentre al “gruppo controllo” non sono stati dati compiti di ascolto. Tutti e tre i gruppi partecipavano al programma standard di riabilitazione e cura. I test effettuati (una settimana, 3 mesi e 6 mesi dopo l’ictus) per verificare il tono dell´umore e il recupero cognitivo indicano che il gruppo che ha ascoltato musica mostra miglioramenti cognitivi (memoria verbale e attenzione focalizzata) più significativi e rapidi, sperimentando una depressione minore rispetto agli altri due gruppi.

Alleviare lo stress attraverso l’ascolto di brani musicali

Ma fino a che punto la musica è capace di alleviare lo stress? L’effetto di un’attività musicale ricreativa su alcuni markers di stress è stato valutato in un gruppo di giapponesi maschi impiegati in una grande azienda. L’attività musicale si è dimostrata in grado di ridurre oggettivamente il livello di stress anche dal punto di vita biochimico riducendo i markers infiammatori e migliorando l’attivazione delle cellule “natural killer” del sistema immunitario. In un altro interessante studio, dieci pazienti in condizioni critiche sono stati sottoposti a uno studio randomizzato per identificare se e quali siano i meccanismi biochimici attraverso i quali la musica può indurre il rilassamento. Come test sono stati selezionati alcuni movimenti lenti dalle sonate di Mozart. Prima dell´ascolto e un´ora dopo sono state monitorate l´attività elettrica cerebrale, i livelli sierici di ormoni dello stress e delle citochine, ed è inoltre stata registrata la dose di sedativo necessaria per ottenere il rilassamento del paziente. I risultati mostrano che l´ascolto della musica è in grado di ridurre notevolmente la dose di sedativo utilizzata, e mostrano che, nei campioni di sangue dei pazienti sottoposti alla terapia musicale, si rileva un livello più alto di ormone della crescita e una diminuzione dell´interleukina-6 e dell´epinefrina. Questa riduzione nei livelli ematici degli ormoni dello stress si associa anche a una diminuzione della pressione arteriosa e del ritmo cardiaco. La musica di Mozart è stata finora quella maggiormente utilizzata sia nelle sperimentazioni sui rapporti musica-cervello sia nella musicoterapia e si sostiene che con essa si ottengano i migliori e più costanti risultati in genere e nello sviluppo delle capacità cognitive in particolare (il così detto effetto Mozart). Il termine è stato coniato nel 1991 da Alfred Tomatis. Riscontri positivi vennero riportati nel 1993 da Rauscher, Shaw, e Ky, che pubblicarono su “Nature” i risultati su un gruppo di studenti volontari. Secondo i ricercatori, l’ascolto della Sonata in re maggiore per 2 pianoforti (KV 448) aveva determinato “a short-term improvement on the performance of certain kinds of mental tasks known as spatial-temporal reasoning”. I risultati della teoria, volgarizzata in “listening to Mozart makes you smarter” vennero confermati esclusivamente da Rauscher e Shaw in un successivo articolo del 1997, pubblicato su Neurological Research.

L’effetto Mozart, fra mito ed evidenza scientifica

“The Mozart Effect” è il titolo di un volume di Don Campbell del 1997, il cui enorme successo ha spinto l’autore alla creazione di un marchio che egli definisce: “an inclusive term signifying the transformational powers of music in health, education and well-being”. Il suo consiglio di far ascoltare Mozart ai bambini per accrescere il loro QI ha reso talmente popolare negli USA la nozione di “effetto Mozart” da far scoppiare una moda che, nel 1998, porta il Governatore della Georgia, Zell Miller , a stanziare 105.000 dollari l’anno per regalare un CD di musica classica a ogni neonato. Ma quale sarebbe la peculiarità della musica di Mozart? L’ipotesi formulata da Gordon Shaw è che, oltre alle incredibili doti logiche, mnestiche, e musicali di cui era dotato Mozart, il musicista componeva in giovane età, sfruttando al massimo le capacità di fissazione spazio-temporale di una corteccia cerebrale in fase evolutiva, cioè al culmine delle sue potenzialità percettive e creative. Tomatis sostiene invece che essendo la musica di Mozart la più conosciuta e la più amata, essa può esplicare il massimo effetto terapeutico sul corpo umano, favorendo l’organizzazione dei circuiti neuronali e rafforzando i processi cognitivi e creativi dell’emisfero destro. In particolare ciò avverrebbe con i concerti per violino e con determinati concerti per pianoforte e orchestra. La mia personale opinione è che solo le incomplete conoscenze musicali degli sperimentatori e la grande notorietà e familiarità di parte della vasta produzione mozartiana, soprattutto dopo l’effetto mediatico del pluripremiato Amadeus di Forman, abbiano in un certo senso “guidato” le sperimentazioni e portato all’individuazione di un effetto Mozart piuttosto che di un effetto Haydn o di un effetto Vivaldi o di un effetto Mendelssohn. Inoltre, i risultati assai contrastanti ottenuti con le sperimentazioni succedutesi negli ultimi 10 anni riguardo alla possibilità che l´ascolto sistematico della musica del genio salisburghese possa influenzare positivamente e soprattutto stabilmente la performance cognitiva sostengono la mia perplessità. Non a caso recentemente è stata coniata l’espressione “requiem per l’effetto Mozart”, in contrapposizione all’utilizzo smodato e soprattutto interessato che negli States si continua a fare di questo strumento. E tuttavia è innegabile che la musica di Mozart possegga caratteristiche peculiari, che fanno di essa il pressocché universale luogo ideale di ritorno. Mozart stesso, d’altronde, ci aiuta a capire perché quando nelle sue lettere scrive: “..nella mia opera la musica è per ogni genere di ascoltatori, tranne che per quelli con le orecchie lunghe” (16 dicembre 1780). E a proposito dei Concerti K413,414,415: “…essi sono una via di mezzo fra il troppo difficile e il troppo facile: sono molto brillanti, piacevoli all’orecchio, naturali senza cadere nella vuotezza, qui e là solo gli intenditori possono ricavarne soddisfazione, ma anche i non intenditori proveranno piacere pur non sapendo perché” (28 dicembre 1782).

Oltre Mozart

Torniamo allo studio realizzato dal Dipartimento di Neonatologia del Sourasky Medical Center di Tel Aviv e pubblicato a dicembre su Pediatrics: lo scopo della ricerca era verificare se la musica di Mozart poteva diminuire il livello di consumo di energia a riposo nei bambini sani nati prima del termine fisiologico della gravidanza. È stato quindi condotto uno studio prospettico su 20 bambini sani e pretermine. I bambini sono stati esposti a 30 minuti di musica di Mozart per due giorni consecutivi e il livello di dispendio di energia è stato misurato con la calorimetria. Gli Autori hanno osservato che dopo i primi 10 minuti, in cui il dispendio calorico rimane uguale nei due gruppi, nei successivi 20 minuti, questo comincia a scendere riducendosi dal 10 al 13% della linea di base nel gruppo di bambini esposti alla musica. La riduzione del dispendio energetico a riposo può spiegare il motivo per cui i bambini nati pretermine esposti alla musica guadagnano peso con maggiore facilità. In definitiva, la musica di Mozart potrebbe diventare uno strumento utile per ridurre i tempi di permanenza in incubatrice. Il primo autore della ricerca, Ronit Lubetzky, avrebbe dichiarato alle agenzie di stampa che lo stesso risultato non si è ottenuto con musiche di Beethoven, Bach o Bartok, poiché la loro musica avrebbe un andamento meno lineare di quelle di Mozart. Queste dichiarazioni generano qualche perplessità. Come si può infatti pensare di somministrare Beethoven o Bartok a nati pretermine! Bisognerebbe rivolgersi ad altri autori, ma è qui che si richiedono conoscenze musicali che probabilmente i colleghi israeliani non possiedono. Dunque musica sia, ma musica ben selezionata e adatta allo scopo e non necessariamente musica di Mozart!

Antonio Montinaro
(Neurochirurgo, Direttore U. O. di Neurochirurgia – Ospedale “V. Fazzi” di Lecce)

da musicoterapia-neuroscienze.wikispaces.com

approfondimenti:

http://www.amadeux.net/sublimen/dossier/effetto-mozart-submozart.html

http://www.amadeux.net/sublimen/dossier/tomatis_e_canto.html

http://www.amadeux.net/sublimen/dossier/mozart_e_piante.html

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