Energia… una crescita insostenibile

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Energia…

R.S. a cura della redazione ECplanet.net

…una crescita insostenibile

FRANCO MARENCO
Scienziate e scienziati contro la guerra

EMILIO MARTINES
CNR, Padova Scienziate e scienziati contro la guerra

MASSIMO ZUCCHETTI
Politecnico di Torino Scienziate e scienziati contro la guerra

Riassunto

Il modello di sviluppo capitalistico richiede una continua crescita della domanda di energia,
necessaria per il funzionamento delle industrie, per i trasporti, per i servizi, per l’agricoltura e
per fornire i comfort domestici. Ma l’energia non può essere prodotta dal nulla: essa può solo
essere ricavata da un certo numero di fonti, quali i combustibili fossili, le centrali nucleari, e
le fonti rinnovabili. Ciascuna fonte presenta dei punti di forza e dei punti di debolezza, che
verranno brevemente analizzati in questo articolo. Il dato complessivo che emerge è l’impossibilità
di sostenere l’attuale crescita della domanda energetica, a meno di accettare un drastico
impoverimento dell’ambiente (riscaldamento globale, emissione di inquinanti, deturpazione del
paesaggio, scorie tossiche e radioattive, ecc.). Tale situazione è tanto più critica se si tiene
conto delle forti ineguaglianze che esistono a livello mondiale nell’accesso all’energia, e delle
forti tensioni internazionali causate dal progressivo esaurimento di talune fonti. Secondo alcuni
osservatori, la soluzione del problema energetico verrà trovata grazie agli sforzi per lo sviluppo
delle fonti rinnovabili, l’introduzione dei veicoli a idrogeno e il risparmio energetico. Tuttavia,
nell’articolo mostreremo che tali sforzi sono del tutto insufficienti se la comunità mondiale non è
in grado di cambiare paradigma, in particolare rinunciando all’obiettivo della crescita economica
continua.

1. Introduzione

Siamo abituati a vedere le macchine lavorare per noi, i calcolatori elaborare per noi le
informazioni, e i termosifoni scaldare le nostre case. Ma queste ed altre attività (lavorare,
trasportare, scaldare, illuminare, cuocere, ecc.) non sono possibili senza energia. La disponibilità
di energia è direttamente collegata al tenore di vita, alla ricchezza e al benessere: da essa
dipendono non solo le comodità ma anche ad esempio la durata della vita media di una popolazione, la
possibilità di usufruire di cure mediche, ecc.

Il sistema capitalistico, d’altra parte, ha come fondamento una continua accumulazione del capitale
produttivo, dalla quale deriva una crescita esponenziale dei flussi di denaro, delle merci, e dei
consumi. E la crescita economica non può che accompagnarsi alla crescita della domanda di energia: a
livello mondiale è infatti prevista una crescita della domanda energetica del 70% nei prossimi
trent’anni.(1)

Il prodotto interno lordo ed i consumi energetici sono quindi due variabili intimamente correlate
fra loro. Ma l’energia occorrente alla crescita economica non può essere prodotta dal nulla.(2)
Nell’ambito dell’approfondimento sul tema dell’energia promosso da Giano, ci è sembrato pertanto
opportuno offrire una riflessione sulla compatibilità del sistema della crescita con la
disponibilità di risorse sul nostro pianeta.

2. Risorse energetiche

La maggior parte dell’energia che utilizziamo ci arriva dal Sole: la frazione dell’energia solare
che viene intercettata dalla Terra rappresenta in effetti una quantità enorme,(3) e tuttavia
soltanto una piccolissima frazione di quest’energia può essere utilmente impiegata per le attività
umane. In era preindustriale, l’energia era principalmente fornita dalla legna da ardere (energia
termica) e dalla forza muscolare di uomini ed animali (energia meccanica).(4) Entrambe queste forme
di energia hanno origine nel processo di fotosintesi, che permette alle piante di accumulare
l’energia solare, e agli animali (incluso l’uomo) di trarne vantaggio attraverso la catena
alimentare. L’avvento dell’era industriale è stato invece marcato dalla capacità dell’uomo di
sfruttare nuove fonti energetiche. Oggigiorno, l’energia occorrente per le industrie, per i
trasporti, e per le comodità domestiche è fornita da un certo numero di fonti, appartenenti a tre
grandi classi: combustibili fossili, combustibile nucleare, ed energie alternative.

Combustibili fossili

Nel corso di lenti processi durati centinaia di milioni di anni, una parte molto piccola
dell’energia accumulata dalle piante per fotosintesi si è immagazzinata nel sottosuolo sotto forma
di carbone, petrolio e gas naturale. Per sfruttarli, questi combustibili vengono bruciati (nelle
caldaie, nei motori, nelle centrali elettriche, nelle fornaci): essi rappresentano circa l’80% del
fabbisogno energetico a livello europeo, così ripartito: 41% petrolio, 22% gas naturale e 16%
carbone.(5) L’uso di queste fonti presenta tuttavia una serie di inconvenienti:(6) (a) le riserve di
combustibile sono distribuite disegualmente fra i paesi del mondo; (b) i combustibili vengono
consumati ad un tasso di gran lunga superiore a quello della loro rigenerazione naturale; e (c) il
loro uso comporta gravi danni all’ambiente, fra cui l’emissione di inquinanti e di anidride
carbonica.

La distribuzione diseguale delle risorse energetiche determina una situazione squilibrata e
politicamente destabilizzante a livello globale. Le riserve maggiori di petrolio e gas naturale si
trovano infatti in Medio Oriente, Russia, Mar Caspio, Nord Africa e Venezuela (ad esempio il 70% del
petrolio mondiale si trova nei paesi aderenti all’OPEC). D’altra parte, i paesi consumatori di
energia, cioè soprattutto i paesi ricchi del Nordamerica e dell’Europa occidentale, considerano a
rischio il proprio stile di vita, minacciato dalle incertezze relative alla sicurezza
dell’approvvigionamento in carburanti e all’instabilità dei relativi prezzi.(7) Secondo la
Commissione Europea, “la dipendenza energetica è il tallone d’Achille dell’economia europea”.(8) La
conseguenza di questo squilibrio è riscontrabile nella contesa geopolitica e nelle `nuove guerre,’
condotte in particolare da parte degli Stati Uniti d’America.(9) La posta in gioco non consiste
soltanto nel dominio sui territori contenenti i giacimenti, bensì anche sulle vie di trasporto dei
combustibili, identificabili con i territori della Turchia, del Caucaso, dei Balcani, e dell’Europa
orientale. Non è quindi casuale che i territori sui quali si sono svolte le `nuove guerre’ (Iraq,
Jugoslavia e Afghanistan) coincidano con questi territori, come non è casuale la destabilizzazione
di determinate repubbliche della Federazione Russa (quale la Cecenia).

Il secondo inconveniente, ossia il consumo dei combustibili fossili ad un tasso troppo elevato,
determina una possibilità ancora più allarmante per i paesi ricchi: l’esaurimento delle riserve. Il
mondo è consapevole sin dagli anni Ottanta che il tasso di scoperta di nuove riserve petrolifere è
ormai piccolissimo rispetto al tasso di produzione e consumo, ragion per cui si attende un forte
scossone per il 2010-2015, quando si prevede che il tasso di estrazione del petrolio comincerà il
suo lento ma inesorabile declino.(10) Per il gas naturale, l’analisi è molto simile, e soltanto per
il carbone vi è una relativa tranquillità, dal momento che le riserve mondiali sono giudicate
sufficienti per circa 200 anni.(11) Infine, come abbiamo detto, vi è una stretta connessione fra
energia e inquinamento: la combustione è infatti associata a tutta una serie di emissioni, quali
monossido di carbonio, ossidi di zolfo ed azoto, idrocarburi, polveri sottili. Lo squilibrio nella
distribuzione mondiale dei combustibili fossili determina altresì gli inconvenienti collegati con il
loro trasporto: maree nere, perdite dagli oleodotti e gasdotti, ecc. Ma l’inconveniente ambientale
che viene considerato più grave è l’emissione in atmosfera di grandi quantitativi di anidride
carbonica, considerata il maggiore responsabile della modifica del clima.(12) La minaccia globale
dovuta alle crescenti emissioni di anidride carbonica ed altri cinque gas ad effetto serra (per la
gran parte attribuite alla produzione di energia) è l’oggetto del Protocollo di Kyoto, sottoscritto
dalle nazioni di tutto il mondo nel 1997, e non ancora entrato in vigore per la mancata ratifica da
parte di Stati Uniti e Russia.

Per mancanza di valide tecnologie energetiche in grado di sostituirli, i combustibili fossili
continueranno a dominare la produzione energetica ancora per molto tempo. Si prevede che essi
rappresenteranno il 90% della produzione energetica mondiale del 2030 (con la seguente suddivisione:
34% petrolio, 28% carbone, e 28% gas naturale).(13) Il rallentamento nell’estrazione del petrolio
sarà compensato dall’ascesa del gas naturale per la produzione di elettricità e calore, nonché per
la propulsione degli autoveicoli. Dal canto suo, l’incremento del consumo di carbone avverrà per i
due terzi in Asia (Cina ed India). In assenza di determinazione e di drastiche politiche correttive,
le emissioni globali di anidride carbonica del 2030 saranno il doppio di quelle del 1990.

Combustibile nucleare

Una fetta consistente dell’energia prodotta in Europa (circa 125 GW, pari ad un terzo dell’energia
elettrica e al 15% del fabbisogno energetico(14)) proviene dalla fissione nucleare. In questo caso
non si tratta di energia solare immagazzinata sotto una qualche forma, bensì di energia accumulatasi
nei nuclei atomici già molto tempo prima della formazione della Terra. Le speranze che l’uso della
fissione nucleare a scopi civili ha fatto sorgere nella seconda metà del XX secolo sono state molte.
Indipendentemente dalla loro dotazione naturale in prodotti energetici, tutti gli Stati che ne
avevano i mezzi si sono impegnati in vasti programmi nucleari civili. Macchiato dal peccato
originale del duplice uso (civile e militare) che caratterizza il ciclo del combustibile, e che
tuttora rappresenta un pericolo, lo sviluppo del settore nucleare, vertiginoso negli anni Settanta
ed Ottanta, è inquadrato nell’Unione Europea dal trattato Euratom, dal trattato di non
proliferazione del 1968 (entrato in vigore nel 1970) e dalle norme dell’AIEA (Agenzia Internazionale
per l’Energia Atomica). Questo sviluppo ha subito un evidente rallentamento nel corso degli ultimi
15 anni.

Per quanto riguarda questo argomento, trarremo la maggior parte delle nostre considerazioni dal
Libro verde.(15) Le preoccupazioni per il riscaldamento climatico hanno modificato la percezione dei
vincoli di approvvigionamento energetico, non solo per l’Europa, e la questione è particolarmente
acuta per il nucleare: esso consente infatti di evitare parte delle emissioni dei gas ad effetto
serra derivanti dal consumo di combustibili fossili. L’energia nucleare permette attualmente di
evitare emissioni di gas a effetto serra corrispondenti ad oltre 300 milioni di tonnellate di
anidride carbonica (ossia circa la metà delle emissioni dovute al parco automobilistico europeo).
L’Unione Europea possiede scarse riserve di uranio naturale, il combustibile in uso nelle centrali
atomiche. Le riserve mondiali accertate sono stimate in 2,5 milioni di tonnellate, cioè circa
quarant’anni di consumo al ritmo attuale. Le risorse conosciute addizionali non ancora sfruttate
sono di 850.000 tonnellate (cioè 15 anni di consumo) e si situano soprattutto in Australia, Canada,
Caucaso ed Africa. Una maggiore disponibilità di uranio è possibile a costi superiori, dovendosi in
tal caso ricorrere a riserve “non convenzionali.” Una stima più ottimista delle riserve deriva dal
carattere riciclabile del combustibile esaurito: a differenza delle altre energie primarie, il
combustibile nucleare può essere riciclato dopo irradiazione, riducendo così il fabbisogno di
importazioni. Una volta separati dai residui (4% circa) del primo utilizzo, l’uranio e il plutonio
possono essere nuovamente usati per produrre elettricità (96%): in questo modo è possibile sfruttare
maggiormente l’uranio dal punto di vista dell’energia da esso ottenibile. Occorre ricordare però che
le tecnologie atte a riciclare l’uranio vengono utilizzate anche per la produzione di plutonio a
scopi militari.

La gamma delle scelte sul nucleare compiute dai vari Stati è molto ampia. L’opzione nucleare rimane
aperta in molti Stati dell’Unione europea, come lo è in Giappone, negli Stati Uniti, in Canada o in
altre parti del mondo: vi sono alcune decine di centrali nucleari in costruzione o progettate,
principalmente nei paesi dell’est asiatico. Per contro, molte decine di centrali nucleari europee
verranno smantellate nei prossimi decenni, in quanto su otto Stati nuclearizzati dell’Unione
Europea, cinque hanno adottato o annunciato una moratoria. L’Italia ha rinunciato al nucleare con il
referendum del 1987, la Germania ha annunciato la sua decisione di chiudere i suoi ultimi reattori
nel 2021 e il Belgio nel 2025. La Francia, il Regno Unito e la Finlandia non si sono pronunciate per
una sospensione del nucleare ma molto probabilmente nei prossimi anni non saranno costruiti nuovi
reattori (tranne forse in Finlandia). La progressiva eliminazione dell’industria nucleare o le
moratorie al riguardo decise da alcuni Stati non incideranno tuttavia a breve termine: ad esempio,
sulla capacità di raggiungere gli obiettivi di Kyoto (nella misura in cui tali decisioni secondo i
progetti attuali, avranno effetti soltanto dopo il 2012). A medio e lungo termine, però, e sulla
base delle conoscenze attuali, bisogna tener presente che l’abbandono totale dell’energia nucleare
significherebbe che l’attuale 35% della produzione di elettricità dell’Unione Europea (il 16%
mondiale) dovrebbe provenire dai combustibili fossili e dalle rinnovabili.

Il futuro di questo settore presuppone una risposta chiara, precisa e trasparente alla questione del
trattamento delle scorie radioattive e del loro trasporto: anche la percezione pubblica del rischio
nucleare è dipendente da ciò. Un sondaggio realizzato nell’ottobre-novembre 2001 per la Commissione
europea (Eurobarometro) mostra che i due terzi degli intervistati ritengono che, se la gestione dei
residui nucleari fosse risolta in maniera soddisfacente per la sicurezza e l’ambiente, il nucleare
potrebbe restare un’opzione aperta per la produzione di elettricità. D’altro lato, la questione
della sicurezza nucleare, ad esempio nel quadro di un’Unione allargata a paesi dell’ex-orbita
sovietica, dove sono tuttora in funzione reattori nucleari obsoleti, resta una delle preoccupazioni
principali.(16) I pericoli potenziali, sanitari e ambientali suscitano l’opposizione di una buona
parte dell’opinione pubblica. Nel 1979 l’incidente di Three Miles Island negli Stati Uniti causò il
referendum svedese sul nucleare. L’entrata di gruppi di pressione e di partiti ecologisti nella vita
politica degli Stati dell’Unione Europea e l’incidente di Chernobyl nell’aprile del 1986 (la
tragedia più grave della storia dell’atomo dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki), hanno
segnato una svolta nello sviluppo dell’industria nucleare in Europa e nel mondo.

La ricerca in questo campo rimane in ogni caso di primaria importanza, così come per tutte le altre
fonti energetiche dove si evidenziano problemi e possibilità di miglioramento. In particolare, la
ricerca è soprattutto orientata verso le tecnologie di gestione dei residui radioattivi e verso lo
sviluppo dei reattori di nuova generazione a sicurezza intrinseca. Anche soltanto per l’esistenza in
questo momento, sul nostro pianeta, di 440 reattori nucleari in funzione, è necessario continuare a
mantenere e padroneggiare il know-how su questa tecnologia. Tuttavia, date le sue presenti oggettive
difficoltà appena messe in evidenza (oltre che per il suo carattere di energia comunque non
rinnovabile), l’energia nucleare non appare, allo stato dei fatti, risolutiva.

Quanto alla fusione termonucleare controllata, da molti indicata come la soluzione possibile e
definitiva del problema dell’energia, bisogna ricordare che difficilmente le ricerche potranno
fornire soluzioni pratiche nel breve e medio termine. Il problema maggiore di questo filone è la
necessità di ricorrere a progetti di ricerca di grandissime dimensioni, dovuta alle condizioni
estreme alle quali è necessario portare e mantenere il combustibile. Ciò fa sì che il cosiddetto
`next step,’ un esperimento chiamato ITER che per primo dovrebbe essere in grado di produrre più
energia di quanta ne richieda il suo funzionamento, attrarrà una parte molto consistente del totale
dei finanziamenti a livello mondiale. La sola costruzione del reattore richiederà circa otto anni,
ed è prevedibile che lo sfruttamento commerciale di questa fonte di energia non sarà possibile prima
di 40-50 anni.

Occorre poi ricordare che anche il reattore a fusione nucleare, basandosi su una reazione fra
deuterio e trizio (un materiale radioattivo) e comportando la produzione di neutroni veloci, sarà un
reattore nucleare a tutti gli effetti, dal punto di vista concettuale, anche se con ovvie differenze
rispetto ai reattori a fissione. In particolare, vi saranno anche qui problemi di sicurezza
radiologica e di produzione di scorie radioattive. La maggioranza degli studi lasciano però
prevedere che i reattori a fusione produrranno scorie con radiotossicità e tempi di dimezzamento
molto inferiori rispetto alle scorie ad elevata attività degli attuali reattori a fissione. Questi
rifiuti richiederebbero infatti tempi dell’ordine del secolo prima che la loro radioattività decada
a livelli trascurabili, tempi che sono da confrontare con i tempi geologici dei rifiuti delle
centrali a fissione. I meccanismi insiti nel modo di ottenimento della reazione di fusione nucleare
garantirebbero inoltre per questi reattori caratteristiche di sicurezza molto maggiori (sicurezza
passiva) di quelle ottenibili tuttora con la fissione, a distanza di cinquant’anni dal primo
reattore nucleare di potenza.(17)

Energie alternative

Vanno sotto questo nome tutta una serie di fonti energetiche: idroelettrica, eolica, solare,
geotermica, da biomasse, ecc. Buona parte deriva direttamente o indirettamente dal Sole:(18) nel
caso del solare, la radiazione viene convertita direttamente in elettricità (solare fotovoltaico) o
calore (solare termico); nel caso dell’idroelettrico e dell’eolico vengono sfruttati rispettivamente
il ciclo dell’acqua ed i venti, entrambi attivati dal riscaldamento solare della superficie
terrestre; nel caso delle biomasse viene fatto uso dell’energia solare immagazzinata per fotosintesi
dalle piante. Queste fonti energetiche prendono talvolta l’appellativo di fonti rinnovabili: esso
deriva dal fatto che, a differenza dei combustibili fossili e nucleari, non viene sfruttata energia
accumulatasi in un lontano passato, per cui in linea di massima il fatto di utilizzarla non ne
consuma le riserve. A causa dei costi elevati e delle difficoltà tecnologiche, le energie
alternative hanno tuttavia difficoltà a decollare. La parte del leone la fa il settore idroelettrico
(circa la metà della produzione energetica rinnovabile in Europa); per tale settore bisogna tuttavia
rimarcare le scarse potenzialità di espansione dovute alle condivisibili resistenze delle
popolazioni locali alla costruzione di nuove dighe.

Risultano viceversa notevoli i progressi registrati dall’energia eolica nel corso dell’ultimo
decennio. Grazie a continui miglioramenti nell’efficienza e nella taglia delle turbine, la potenza
installata nel mondo è cresciuta dal 1995 a oggi allo stupefacente ritmo del 30% l’anno,
raddoppiandosi in media ogni due anni e mezzo. In questa rapida crescita alcuni paesi europei hanno
giocato un ruolo preponderante, in particolare la Danimarca, la Germania e la Spagna, grazie a
oculate politiche di incentivazione. In particolare la Danimarca, che ad oggi produce per via eolica
quasi il 20% dei propri consumi totali di elettricità, è diventata il maggior produttore mondiale di
turbine, creando un’industria che oggi dà lavoro a 20.000 persone. Comunque, siamo ancora lontani
dal poter contare su questa tecnologia per soddisfare gli attuali consumi: le turbine eoliche
installate nel mondo producono infatti una quantità di elettricità circa pari a quella prodotta da
10 grandi centrali termoelettriche (basate sui combustibili fossili) da 1 GW ciascuna. Questo dato
può essere confrontato con i consumi elettrici mondiali, che sono di circa 1700 GW (ricordiamo
inoltre che l’elettricità costituisce solo una parte dei consumi energetici totali). Per il futuro,
è prevedibile che la rapida crescita dell’eolico possa continuare ancora per qualche anno; è lecito
però chiedersi per quanto ancora l’attuale ritmo di crescita possa essere mantenuto. Molto dipenderà
dalla competitività economica di questa forma di energia, che è ancora lontana dal raggiungere
quella delle centrali termoelettriche.

Per quanto riguarda la tecnologia fotovoltaica, che consente di produrre energia elettrica
attingendo direttamente alla radiazione solare, essa è ancora ben lontana da una applicabilità su
larga scala. Nonostante esistano in commercio pannelli fotovoltaici con adeguate caratteristiche di
efficienza e durevolezza, l’ostacolo principale viene ad essere quello economico, in quanto il
chilowattora fotovoltaico ha oggi un costo molte volte superiore a quello termoelettrico; non è
escluso tuttavia che tale costo possa progressivamente ridursi. A questo ostacolo di natura
economica va aggiunto l’aspetto del bilancio dell’energia necessaria per la produzione dei pannelli
e delle strutture accessorie. La questione è abbastanza controversa, ma secondo alcuni autori
occorrono molti anni di funzionamento solo perché il pannello possa `ripagare’ l’energia consumata
nella sua costruzione (e nel suo smaltimento alla fine del ciclo di vita), per cui il rendimento
effettivo risulta sostanzialmente più basso di quello nominale.(19) A questo si potrà forse
parzialmente ovviare in futuro tramite l’introduzione di nuove tecnologie di produzione. Va infine
citato che, in ogni caso, la tecnologia fotovoltaica soffre della necessità di elevate superfici da
ricoprire di pannelli, a causa della bassa efficienza degli stessi e della limitata intensità della
radiazione solare. Alle nostre latitudini, se immaginassimo di coprire i tetti delle case con
impianti da 25 mq ciascuno, occorrerebbero 2 milioni di tetti per produrre una quantità di energia
equivalente a quella fornita da una grande centrale termoelettrica da 1 GW.(20) Un’altra fonte di
energia è rappresentata dalle biomasse, ossia la legna e i residui agricoli e forestali (da ardere
per produrre calore o elettricità) e le nuove colture finalizzate all’alimentazione dei motori: si
sente sempre di più parlare dei biocarburanti, ossia biodiesel e alcool (ricavabili ad esempio
dall’olio di colza, dalla barbabietola, ecc.). Nei fatti, tali carburanti rimangono ben poco
diffusi: attualmente, essi rappresentano appena lo 0,15% rispetto ai carburanti prodotti dal
petrolio. Il motivo va ricercato nel loro costo elevato e nella scarsa efficienza della conversione
dell’energia solare per il tramite della fotosintesi.

Purtroppo, nel complesso le fonti rinnovabili sono destinate a restare una piccola frazione del
fabbisogno energetico: dal 6% attuale, è prevista una crescita sino al 9% nel 2010.(21) Sarebbero
necessari grossi sforzi politico-economici per aumentarne la quota, ma malgrado l’obiettivo fissato
dalla Comunità Europea di raggiungere il 12% del fabbisogno tali sforzi non sono tuttora visibili.
Va anche detto che l’appellativo di `alternative’ non rende queste fonti prive di impatto
ambientale. L’effetto più visibile si esplica nei confronti del territorio (grandi superfici adibite
a pannelli solari o a parchi eolici, radicali modifiche del territorio ad opera delle dighe,
ecc.).(22) Per quanto riguarda i biocarburanti, a rischio è anche la biodiversità, che potrebbe
essere minacciata dall’agricoltura intensiva delle colture energetiche, senza dire che potrebbe
derivarne un’immorale sottrazione di territorio coltivabile alla produzione alimentare.(23) Un mito
ricorrente è quello secondo il quale un ipotetico passaggio alle fonti alternative determinerebbe il
decentramento della produzione di energia.(24) Tale affermazione è in verità molto ottimista: è vero
infatti che è tecnicamente possibile la produzione di piccole quantità di energia in impianti eolici
e solari domestici; ma vi sono ancora numerose incognite da tenere in conto. Se la produzione e la
distribuzione di energia saranno decentrate o no, ciò dipenderà dalle possibilità di ottimizzazione
della produzione, dalle soluzioni che saranno trovate per l’accumulazione dell’energia prodotta,
dalla convenienza economica, e soprattutto dalla volontà politica.

Le false fonti: elettricità ed idrogeno

Una parola va detta riguardo l’elettricità e l’idrogeno, da molti propagandati come forme di energia
pulita, e quindi risolutive dei gravi mali ambientali del Pianeta nonché dei problemi collegati allo
scarseggiamento dei combustibili fossili.(25) Si tratta tuttavia di false fonti energetiche:
entrambe queste forme di energia, in effetti, non sono presenti sulla Terra in forme
addomesticabili, e rientrano pertanto nella categoria dei vettori.(26) Ciò significa che, per essere
utilizzate, esse debbono essere prodotte a partire da una o più fonti primarie, il che comporta
comunque il consumo di una quantità superiore di energia rispetto ad un impiego diretto.(27) A
seconda della fonte primaria impiegata (di tipo fossile, nucleare o rinnovabile), inoltre, ne potrà
conseguire emissione di anidride carbonica, scorie radioattive, inquinamento, ecc.

Il vantaggio dell’elettricità e dell’idrogeno risiede nella possibilità di centralizzarne sia la
produzione che l’inquinamento, liberandone le città ed i luoghi dove avviene l’uso finale
dell’energia. Quando rappresenterà una tecnologia matura, l’idrogeno permetterà inoltre, meglio
dell’elettricità, di immagazzinare l’energia, e di trasportarla su grandi distanze oppure a bordo
dei veicoli privati. È proprio dall’applicazione ai veicoli che traspare infatti una delle grandi
novità che verranno con l’idrogeno: esso consentirà di alimentare le automobili sulla base di
energia prodotta dal carbone e dal nucleare, cosa che in pratica non è oggi possibile.(28) Ad ogni
modo, in nessun caso si può affermare che l’elettricità e l’idrogeno sono fonti pulite di energia,
per due semplici motivi: (a) non sono fonti di energia; e (b) la loro produzione da fonti primarie
non è generalmente un processo `pulito.’ Di per sé, queste forme di energia non sono `né sporche né
pulite’ ed esse non vanno valutate isolatamente, bensì in quanto anelli di una più vasta catena di
produzione e consumo.(29)

Il risparmio energetico

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, nessuna delle fonti energetiche disponibili può essere
considerata risolutiva. Talune fonti, come i combustibili fossili e nucleari, sono esauribili e
rischiano di lasciare una pesante eredità ambientale alle future generazioni. Le altre fonti non
sono ancora giunte ad uno stadio di maturità che ne consenta lo sfruttamento ai ritmi imposti dal
nostro attuale stile di vita. In altre parole, la nostra società sta vivendo al di sopra delle
proprie possibilità. Mossi da questa costatazione, alcuni autori considerano che è necessario
ricorrere ad una risorsa aggiuntiva: il risparmio energetico.(30) Solo risparmiando, essi ci dicono,
potremo continuare a disporre dell’energia occorrente per mantenere il nostro stile di vita; e ciò
potrebbe anche costituire un primo passo verso l’adozione di uno stile di vita più sobrio. Secondo
l’autorevole parere della Commissione di Bruxelles, ad esempio, “se delle misure importanti di
restrizione della domanda (energetica) non saranno prese, l’Unione Europea non potrà lottare contro
i cambiamenti climatici e neanche rispettare gli impegni di Kyoto”.(31) La soluzione proposta dalla
Commissione Europea è quella della stimolazione dell’innovazione tecnologica, finalizzata ad una
maggiore efficienza dei sistemi di produzione di energia e destinata ad accrescere la competitività
dell’economia.

Le misure possibili per l’aumento delle efficienze energetiche sono molteplici. Esse vanno dalla
costruzione di impianti di cogenerazione di energia elettrica e calore, alla modernizzazione delle
industrie, l’isolamento termico degli edifici, il miglioramento del rendimento dei motori, e così
via. Fra le misure possibili, vanno annoverate anche quella dell’incentivazione del trasporto
pubblico e quella del trasporto per mare o ferrovia delle merci. Vanno pure menzionate iniziative di
tipo simbolico, quali sono le campagne contro la “posizione di attesa” (stand-by) delle TV e dei
computer. Nel complesso, si valuta la possibilità di raggiungere un risparmio energetico per niente
trascurabile, sino al 40% del fabbisogno totale.(32) Per raggiungere questo obiettivo, gli strumenti
suggeriti sono di tipo piuttosto tradizionale, e vanno dall’introduzione di incentivi e misure
fiscali all’emanazione di norme tecniche e ad un’appropriata etichettatura degli elettrodomestici.

3. Energia e crescita

I paesi industrializzati consumano la stragrande maggioranza dell’energia prodotta sulla Terra, il
che crea tutta una serie di squilibri.(33) Quanto avviene ad esempio nel settore dei trasporti (al
quale corrispondono i due terzi del consumo di petrolio) simboleggia bene la situazione: contro le 6
auto ogni 10 abitanti dei paesi appartenenti all’OCSE, per i paesi in via di sviluppo se ne
registrano appena due ogni cento. Miliardi di persone hanno una disponibilità di energia pro-capite
appena sufficiente per la sopravvivenza, se non addirittura insufficiente, e provengono da paesi che
hanno ben poche speranze di sviluppo nel futuro prossimo. I paesi in via di sviluppo hanno un
consumo energetico pro capite molto inferiore al nostro, ma come è naturale essi aspirano a
raggiungere il nostro grado di benessere, cosa che sarebbe possibile soltanto incrementando
spaventosamente la produzione energetica globale.(34) Si stima che nel 2020 la crescita dei bisogni
potrà essere imputabile ai paesi in via di sviluppo per il 90%.

Intanto, malgrado il tenore di vita già sufficientemente elevato, nei paesi industrializzati si
continua a registrare una fortissima crescita del consumo energetico, che non potrà che continuare
ad allargare il divario. Per quanto riguarda il parco veicoli, ad esempio, esso è cresciuto nella
sola Unione Europea di ben 57 milioni di veicoli in 13 anni,(35) pari ad un aumento percentuale del
43%, ovvero una crescita media annua del 2,8%. A questo ritmo, l’entità del parco veicoli dovrebbe
raddoppiare nel breve tempo di 25 anni!(36) Sempre rimanendo nel campo dei trasporti, l’esplosione
del traffico aereo è anch’essa impressionante: dal 1980 viene infatti registrato all’interno
dell’Unione Europea un tasso di crescita annuo del 7,4%, tale da determinare il raddoppio del numero
di passeggeri-chilometro ogni dieci anni.(37) A crescere smisuratamente non è soltanto la domanda di
energia, ovviamente: crescono i consumi, crescono i beni in circolazione, crescono i servizi, ed il
tutto è pilotato dalla crescita del prodotto interno lordo (PIL): da qui al 2030, ad esempio, ne è
previsto un aumento del 90% nell’Unione Europea (pari ad una crescita media del 2% annuo).
Nonostante alcune crisi e battute di arresto, questa straordinaria crescita economica non è mai
stata veramente messa in discussione dal dopoguerra ad oggi. Secondo l’attuale Presidente degli
Stati Uniti George W. Bush, ad esempio, “la crescita è la chiave del progresso ambientale, in quanto
fornisce le risorse che consentono di investire nelle tecnologie appropriate: è la soluzione, non il
problema”.(38) Possiamo quindi dire che il modello capitalistico propugna un’economia in crescita
illimitata, accompagnata necessariamente da una comparabile crescita della domanda di energia. Per
quanto riguarda la crescita della produzione di elettricità nell’Unione Europea, ad esempio, essa
arriva al tasso del 3% annuo, ed è tale da far prevedere un tempo di raddoppio della produzione di
appena 23 anni.

Tale situazione appare ancora più iniqua se si tiene conto delle profonde disuguaglianze fra i
ricchi paesi del Nord e la miseria del Sud: tali disuguaglianze sono necessarie affinché i paesi
ricchi possano continuare a mantenere il proprio primato. “Senza un rallentamento della crescita dei
consumi (di energia) nei settori principali di espansione, ossia i trasporti, le abitazioni private
ed il terziario, la dipendenza energetica dell’Unione continuerà a crescere” ci dice la Commissione
di Bruxelles.(39) Ma di fronte alla prospettiva della crescita economica perenne, risulta poco
credibile l’ambizione di adattare il mercato dell’energia alle esigenze dell’ambiente senza
ripercussioni profonde sul modello di sviluppo. Non può considerarsi sufficiente il fatto di agire
sulla domanda, di propugnare il risparmio, e di tentare di ridurre l’intensità energetica (ossia il
rapporto fra energia consumata e PIL).

Tali misure (pure auspicabili) possono portare solo a risultati del tutto temporanei: il
miglioramento del rendimento energetico verrebbe di gran lunga superato dall’effetto della crescita.
Ad esempio, ben poco risolutivo sul lungo termine potrebbe essere il risparmio energetico (il cui
potenziale massimo è, secondo la Commissione Europea, del 40% circa, il che comunque non è poco) di
fronte ad una crescita economica per la quale nei paesi industrializzati è prevedibile il raddoppio
del PIL ogni trenta o quarant’anni; senza tenere conto della crescita molto più sostenuta di taluni
paesi in via di sviluppo densamente popolati quali la Cina e l’India. “Indubbiamente l’efficienza
ecologica è notevolmente migliorata” ci ammonisce Serge Latouche su Le Monde Diplomatique “ma poiché
la corsa forsennata alla crescita non si ferma, il degrado globale del pianeta continua ad
aggravarsi”.(40) L’aumento continuo dei beni in circolazione e la messa in commercio di nuovi
prodotti (ancorché ecologici e maggiormente efficienti) potrà solo determinare un aumento del
consumo di energia, e non una sua diminuzione come viene da molti profetizzato. Bisogna avere il
coraggio di far notare che l’introduzione di talune novità, quale ad esempio l’auto a benzina verde,
è una mera forma di autoriproduzione del modello della crescita economica perenne. Autoriproduzione
mascherata da ambientalismo, ma in verità destinata semplicemente a mantenere alta la domanda.

Fintanto che ci si limita al `modesto’ obiettivo di Kyoto (riduzione delle emissioni di anidride
carbonica del 5% nei paesi industrializzati), è possibile che esso rimanga compatibile con il
modello di sviluppo capitalistico. Ma se questa riduzione deve essere un primo passo verso una
drastica diminuzione del consumo di energia dei paesi sviluppati, al fine di consentire ai paesi
meno sviluppati di crescere anch’essi e alle generazioni future di mantenere un certo grado di
benessere, il modello capitalistico risulta del tutto incompatibile. E tanto meno sembra possibile
mantenere l’attuale stile di vita grazie alle sole energie alternative ed al risparmio energetico
(come tendono a credere molti ecologisti). La limitatezza delle risorse e dell’ambiente smentisce
quindi il mito del capitalismo in grado di soddisfare universalmente i bisogni del genere umano con
le sole `forze del mercato’.(41) “La società della crescita non è auspicabile per almeno tre motivi:
perché incrementa le disuguaglianze e le ingiustizie; perché dispensa un benessere largamente
illusorio, e perché non offre un tipo di vita conviviale neppure ai benestanti: è un’antisocietà
malata della propria ricchezza”.(42) È la folle rincorsa economica che viene registrata oggi la vera
responsabile del crescente consumo di energia, con le connesse conseguenze sull’ambiente. Occorre
quindi “rimettere in discussione il dominio dell’economia su tutti gli altri ambiti della vita,
nella teoria come nella pratica, ma soprattutto nelle nostre menti”.(43) La fede nel progresso
tecnologico non sarà sufficiente a far comparire dal nulla le risorse energetiche ed ambientali che
occorrerebbero per mantenere il ritmo.

Lo sviluppo nel campo delle fonti rinnovabili, nonché le politiche di risparmio e di uso
differenziato delle diverse fonti sono misure necessarie ma che da sole possono avere effetti molto
limitati: se ci sta a cuore il futuro del pianeta diventa invece improcrastinabile uno sforzo
collettivo verso l’elaborazione di un nuovo concetto dello sviluppo, che non sia basato sulla
crescita. Il principio cardine dovrebbe essere il diritto di tutti gli abitanti del mondo a
raggiungere un livello minimo di agiatezza, e non il diritto ad accrescere smisuratamente
l’agiatezza di alcuni nella disuguaglianza. “La decrescita è una necessità, non un ideale in
sé”.(44) L’insostenibilità diventa di giorno in giorno più evidente, e ci sta portando ad uno stato
di conflittualità internazionale permanente per appropriarsi delle sempre più scarse risorse
energetiche: la partita si sta giocando a suon di manovre, pressioni economiche, embarghi, e guerre.
Ma le guerre servono solo a stabilire chi si impossesserà delle risorse residue, e non certo ad
evitare la crisi del sistema. Se ben governata, la prevista carenza di combustibili fossili potrebbe
invece risultare in un miglioramento della vita sulla Terra; purtroppo, però, di un approccio in tal
senso ancora non si vede traccia.

La disponibilità di quantità di energia sufficienti al soddisfacimento dei bisogni di base è un
diritto dei popoli. Gli incrementi forsennati dei livelli di consumo non sono invece ammissibili,
nella misura in cui il loro impatto sull’ambiente e sugli ecosistemi è sempre più distruttivo, ed i
relativi benefici non vengono ripartiti in modo equo. Se si aprissero gli occhi sul fatto che le
necessità prioritarie del mondo odierno non sono la crescita, le nuove tecnologie ed il risparmio
energetico, bensì la redistribuzione, l’umanità potrebbe davvero compiere passi da gigante !

Note:

(1) Pari ad una crescita media annua dell’1,8%: un tasso che, se mantenuto costante nel corso del
tempo, porterebbe al raddoppio della domanda ogni 40 anni. Secondo le previsioni, metà della
crescita della domanda energetica avrà origine nei paesi in via di sviluppo. Cfr. Commissione
Europea, World energy, technology and climate policy outlook 2030 (WETO), Lussemburgo, 2003.

(2) Si tratta di un principio scientifico basilare, noto come principio di conservazione
dell’energia (o anche primo principio della termodinamica).

(3) Circa 170 milioni di GW pari a 130 milioni di Mtep/anno. Questa cifra è di oltre 10.000 volte
superiore al fabbisogno mondiale di energia primaria (GW sta per gigawatt, Mtep sta per milioni di
tonnellate equivalenti di petrolio; 1 GW = 1 miliardo di watt, 1 Mtep = 10.000 miliardi di
chilocalorie).

(4) Con limitati contributi provenienti dallo sfruttamento della forza dell’acqua e del vento per
mezzo di mulini, navi a vela, ecc.

(5) Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza
dell’approvvigionamento energetico, COM(2000) 769 definitivo, Lussemburgo, 2001.

(6) Cfr. A. Di Fazio, “Le connessioni fra la guerra dei Balcani e la crisi energetica prossima
ventura”, in Aa.vv., Imbrogli di guerra, Odradek, Roma, 1999.

(7) Soltanto per il carbone il relativo mercato viene considerato sufficientemente stabile e
concorrenziale. Malgrado il forte declino dell’attività estrattiva nell’Unione Europea, l’uso di
questa risorsa (ormai d’importazione) viene considerato `strategico’, soprattutto per quanto
riguarda la produzione di elettricità.

(8) Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza
dell’approvvigionamento energetico, op. cit.

(9) Cfr. Aa.vv., Contro le nuove guerre, Odradek, Roma, 2000.

(10) Cfr. C.B. Hatfield, “Oil Back on the Global Agenda,” Nature 387, p. 121, 1997; C.J. Campbell
and J.H. Laherrère, “The End of Cheap Oil,” Scientific American 3, p. 78, 1998; A. Di Fazio, “Le
connessioni fra la guerra dei Balcani e la crisi energetica prossima ventura,” op. cit.; A. Coghlan,
“Too little oil for global warming,” NewScientist.Com, 5 ottobre 2003,
www.newscientist.com/news/news.jsp?id=ns99994216; The coming global oil crisis website,
www.oilcrisis.com/ ; The association for the study of peak oil&gas, www.peakoil.net/.

(11) Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza
dell’approvvigionamento energetico, op. cit.

(12) Cfr. J.T. Houghton, Y. Ding, D.J. Griggs, M. Noguer, P.J. van der Linden, X. Dai, K. Maskell
and C.A. Johnson, Climate Change 2001: The scientific basis. Contribution of Working Group I to the
Third Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Cambridge University
Press, 2001; A. Di Fazio, “Le connessioni fra la guerra dei Balcani e la crisi energetica prossima
ventura”, op. cit.; e S. Spiller e M. Zucchetti, “L’evoluzione futura del clima nel mondo e in
Italia,” articolo in questo fascicolo.

(13) Cfr. Commissione Europea, World energy, technology and climate policy outlook 2030 (WETO), op.
cit.

(14) Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza
dell’approvvigionamento energetico, op. cit.

(15) Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza
dell’approvvigionamento energetico, op. cit.

(16) Un reattore a fissione ha tutto il combustibile nucleare pre-caricato, e nel suo nocciolo (il
luogo dove avviene la reazione nucleare) ve ne sono diverse decine di tonnellate: esso contiene non
solo uranio, ma anche plutonio e prodotti di fissione radioattivi come lo iodio 131 e il cesio 137.
In caso di certi incidenti -ed in assenza dell’intervento attivo dei sistemi di sicurezza -il
nocciolo di un reattore a fissione può divenire `sopracritico,’ cioè `fondere’ a causa della
eccessiva potenza prodotta fuori controllo, rilasciando nei peggiori casi la sua radiotossicità
all’esterno (si vedano gli incidenti di Three Miles Island e di Chernobyl, diversi fra loro ma
entrambi classificabili come incidenti di sopracriticità).

(17) In un reattore a fusione, in maniera non dissimile concettualmente da una caldaia, il
combustibile viene continuamente iniettato nella camera di reazione, ed in essa la densità del
combustibile è molto bassa. In caso di malfunzionamento, si ha un’immediata interruzione del flusso
di combustibile, ed inoltre diversi altri fattori rendono impossibile il proseguimento della
reazione di fusione nucleare. Pertanto, per i reattori a fusione non sono concepibili incidenti
simili a quelli di `sopracriticità,’ i più temibili (come abbiamo visto nella nota 16). Ciò non
esclude comunque la possibilità di altri tipi di incidente.

(18) Fanno eccezione alcune fonti di energia di origine non solare: calore proveniente dal centro
della terra (fonte geotermica), energia gravitazionale del sistema Terra-Luna (energia delle maree).

(19) Cfr. A. Di Fazio, “Le grandi crisi ambientali globali: un sistema in agonia, il rischio di
guerra,” in Aa.vv., Contro le nuove guerre, Odradek, Roma, 2000.

(20) Per confronto, si ricordi che il programma di incentivazione del fotovoltaico avviato qualche
anno fa dal governo italiano, e attualmente in corso di realizzazione, è denominato “10.000 tetti
fotovoltaici”.

(21) Dati riferiti all’Unione Europea. Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia
europea di sicurezza dell’approvvigionamento energetico, op. cit., e Commissione Europea, World
energy, technology and climate policy outlook 2030 (WETO), op. cit.

(22) Numerose critiche sono state mosse nei confronti dei grandi impianti idroelettrici, i quali
possono generare notevoli problemi quali: lo spostamento forzato di popolazioni, la perdita di
terreni coltivabili, la distruzione degli ecosistemi, e l’alterazione del ciclo dell’acqua (con
talvolta la nascita di tensioni fra paesi che affacciano sullo stesso bacino idrico). Pesa anche la
minaccia di gravi incidenti, quale è stata ad esempio la tracimazione della diga del Vajont nel
1963.

(23) Si stima che in caso di sostituzione dell’8% dei carburanti per autotrazione usati in Europa
con biocarburanti, il 10% della superficie agricola dovrebbe essere riservata a tale scopo. Cfr.
Commissione Europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al
Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni sui carburanti alternativi per il trasporto
stradale e su una serie di misure per promuovere l’uso dei biocarburanti, COM(2001) 547 definitivo,
Bruxelles, 2001.

(24) Cfr. J. Rifkin, Economia all’idrogeno. La creazione del worldwide energy web e la
redistribuzione del potere sulla terra, Mondadori, 2002.

(25) Cfr. V. Naso e F. Orecchini, “Idrogeno, carta da giocare,” Il Manifesto, 16 marzo 2003; V.
Naso, “Idrogeno energia del Sud. È possibile sostituire il petrolio?”, Carta, 10 aprile 2003; V.
Naso, “Metti l’idrogeno nel motore,” Il Manifesto, 14 maggio 2003; Edo Ronchi, In difesa
dell’idrogeno, www.tuttoambiente.it/comm/idrogeno.html.

(26) Cfr. ad esempio A. Baracca, F. Marenco, E. Martines, A. Martocchia, L. Nencini, M.L. Paciello,
e L. Vitiello, “L’idrogeno `rivoluzione’ sulla carta,” Il Manifesto, 9 marzo 2003; Sabina Morandi,
“Ma l’idrogeno è rivoluzione?”, Liberazione, 5 luglio 2003; e L. Nencini, “Miti e realtà
dell’economia all’idrogeno,” articolo in questo fascicolo.

(27) Questa limitazione è la conseguenza del secondo principio della termodinamica, secondo il quale
in ogni conversione di energia da una forma ad un’altra, una parte di essa viene irrimediabilmente
persa sotto forma di calore (e il calore è una forma degradata di energia).

(28) Cfr. Sabina Morandi, “Ma l’idrogeno è rivoluzione?”, op. cit. e L. Nencini, “Miti e realtà
dell’economia all’idrogeno,” articolo in questo fascicolo.

(29) Tale valutazione sull’intero ciclo di vita dovrebbe inoltre essere fatta per ogni prodotto
dell’attività umana. Cfr. ad esempio E. Magnone, “Astigmatismo e rifiuti,” articolo in questo
fascicolo.

(30) Cfr. ad esempio Legambiente, Forum ambientalista, Sinistra ecologista, Cepes, e Sole del
Mediterraneo, Per un contratto mondiale dell’energia bene comune dell’umanità Pace Clima Equità,
documento indirizzato al Social Forum di Parigi, 2003.

(31) Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza
dell’approvvigionamento energetico, op. cit.

(32) Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza
dell’approvvigionamento energetico, op. cit.

(33) Con il 6% della popolazione mondiale, ad esempio, l’Unione Europea rappresenta il 15% del
consumo di energia, il 20% del consumo di petrolio, ed il 35% del consumo di uranio. La situazione
appare ancora più estrema se si guarda agli Stati Uniti d’America.

(34) Si tenga a mente che fra i paesi in cui è forte la crescita della domanda di energia si
annoverano alcuni fra i più popolosi.

(35) Da 132 milioni nel 1985 a 189 milioni nel 1998: cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso
una strategia europea di sicurezza dell’approvvigionamento energetico, op. cit.

(36) Per una crescita di tipo esponenziale, il tempo di raddoppio (espresso in anni) è calcolabile
approssimativamente dividendo 70 per la crescita annua (espressa in percentuale). I più precisi
aggiungeranno inoltre 0,3 al risultato ottenuto. I puristi, invece, useranno i logaritmi.

(37) Cfr. Commissione Europea, Libro bianco: La politica europea dei trasporti fino al 2010: il
momento delle scelte, COM(2001) 370 definitivo, Lussemburgo, 2001.

(38) Cfr. S. Latouche, “Per una società della decrescita,” Le Monde Diplomatique -Il Manifesto,
novembre 2003.

(39) Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza
dell’approvvigionamento energetico, op. cit.

(40) S. Latouche, “Per una società della decrescita,” op. cit.

(41) Il problema della crescita sfrenata in un mondo finito è stato oggetto di studio dettagliato
sin dagli anni Sessanta e Settanta da parte del Club di Roma: cfr. D.H. Meadows, D.L. Meadows, J.
Randers, and W.W. Behrens III, I limiti dello sviluppo, Mondadori, Milano, 1972; D.H. Meadows, D.L.
Meadows, and J. Randers, Oltre i limiti dello sviluppo, Il Saggiatore, Milano, 1993.

(42) S. Latouche, “Per una società della decrescita,” op. cit.

(43) S. Latouche, “Per una società della decrescita,” op. cit.

(44) S. Latouche, “Per una società della decrescita,” op. cit.

Data articolo: giugno 2007
Fonte: www.informationguerrilla.org

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