Tratto da: Raymond A.Moody JR. La luce oltre la vita
ARNOLDO MONDADORI EDITORE
– Nessuna paura della morte –
Dopo un’esperienza di pre-morte, nessuno ha più paura della morte. Il significato di questo cambia a
seconda delle persone: alcuni hanno principalmente paura delle sofferenze terribili che suppongono
accompagnino la morte, altri si preoccupano di chi avrà cura dei loro cari in loro assenza, altri
ancora sono spaventati dall’idea della cessazione definitiva della coscienza.
Le persone dominanti e autoritarie temono la perdita di controllo su se stessi e sugli altri che la
morte potrebbe comportare; il terrore delle fiamme e della dannazione dell’inferno spaventa molti,
mentre altri hanno semplicemente paura dell’ignoto.
Quando i «risuscitati» dicono di aver perso la paura della morte, nella maggior parte dei casi
intendono dire che non temono più l’obliterazione della coscienza o del sé. Ciò non significa che
vorrebbero morire al più presto: vuol dire che l’esperienza ha reso la vita più ricca e più piena.
Quelli che io conosco vogliono continuare a vivere più che mai. Anzi, molti hanno l’impressione di
vivere per la prima volta.
Qualcuno lo ha spiegato così:
“…Per i primi cinquantasei anni della mia vita, ho avuto costantemente il terrore della morte. Il
mio scopo principale era quello di evitare la morte, che consideravo una cosa terribile. Dopo la mia
esperienza ho capito che, vivendo perennemente nel terrore della morte, mi impedivo di apprezzare la
vita.”
Per molti «risuscitati» la paura dell’inferno come punizione per le azioni terrene, non è più un
problema: durante l’esame della propria vita, i «morti» realizzano che l’essere di luce li ama, che
non vuole giudicarli, ma piuttosto desidera che diventino delle persone migliori. Questo li aiuta ad
eliminare la paura e a concentrarsi sull’amore.
É importante capire che non è l’essere di luce a dire che devono cambiare. Dopo aver ascoltato
centinaia di casi, sono giunto alla conclusione che la gente cambia spontaneamente: è la presenza di
quel modello di bontà che la spinge a mutare radicalmente il proprio comportamento.
Un uomo da me intervistato era stato, in passato, un pastore estremamente rigido. Non di rado, mi
disse, minacciava i fedeli che, se non avessero interpretato la Bibbia in un certo modo, sarebbero
stati condannati a bruciare in eterno.
Mentre era «morto», l’essere di luce gli disse di non usare più quel tono con i fedeli,
comunicandogli non verbalmente, ma implicitamente, che la sua opera rendeva infelici i fedeli.
Quando tornò sul pulpito, il predicatore annunciò un messaggio d’amore, anziché di terrore.
Vi dirò di più: dopo un’esperienza di pre-morte, l’idea di perdere il proprio potere di coercizione
non spaventa più persone precedentemente autoritarie. In molti casi, il bisogno di autorità proviene
dalla paura. Tuttavia, molte persone mi hanno detto che, dopo l’esperienza di pre-morte, sentono di
non poter più basare la vita sulla paura: ciò, in parte, è dovuto al fatto che adesso credono
nell’aldilà, ma è anche la conseguenza del barlume di felicità che hanno intravisto. Come potrebbero
continuare a sentirsi impauriti e infelici, dopo aver conosciuto la vera beatitudine?
Se diminuisce la paura della morte, non così avviene per la voglia di vivere. La maggior parte delle
persone che ho conosciuto è oggi più sana mentalmente di quanto non lo fosse prima dell’esperienza.
Nonostante la ritrovata fiducia nell’aldilà, nessuno è particolarmente ansioso di «farla finita» con
la vita normale. Mi disse una volta un paziente:
Ciò non ti fa desiderare di uscire ed essere investito da un camion, pur di tornare lassù. Io ho
ancora un forte istinto di sopravvivenza: l’esperienza che ho avuto mi ha fatto capire che la voglia
di sopravvivere è un istinto.
Poco dopo l’infarto, presi una caduta sugli scalini di casa mia. Mentre cadevo, cercavo
disperatamente qualcosa a cui aggrapparmi. É vero che pensavo: «Strano! Sai benissimo che se muori
vai in un posto meraviglioso!»; comunque, sentivo il nodo della paura stringermi in gola. L’istinto
di sopravvivenza non scompare, dopo un’esperienza del genere.
– Il senso dell’importanza dell’amore –
«Hai imparato ad amare?» É, questa, una domanda cui quasi tutti devono rispondere durante
l’esperienza di pre-morte. Al ritorno, quasi tutti sostengono che l’amore è la cosa più importante
della vita. Molti dicono che esso è il motivo della nostra esistenza, il segreto della felicità e
dell’appagamento, di fronte al quale gli altri valori impallidiscono.
É facile comprendere che una simile rivelazione cambia radicalmente la scala dei valori, per questi
soggetti. Se, prima, erano degli intolleranti, adesso vedono in ogni individuo una persona da amare;
se, prima, il benessere materiale era al culmine delle loro ambizioni, adesso impera l’amore
fraterno. Ecco cosa mi disse un paziente:
“Sa, un’esperienza del genera influenza tutta la vita, in seguito. Già camminare per strada è una
cosa del tutto diversa, mi creda. Prima, quando camminavo per strada, ero chiuso nel mio piccolo
mondo, immerso nei miei piccoli problemi; ora, quando vado in giro, mi sento in un oceano di
umanità. Ogni persona che vedo vorrei conoscerla; e sono sicuro che, se davvero la conoscessi,
l’amerei.
Una volta, un collega d’ufficio mi ha chiesto perché avevo sempre il sorriso sulle labbra. Non
sapeva della mia esperienza e così gli risposi semplicemente che, avendo rischiato di morire, ero
felice di vivere. Un giorno scoprirà lui stesso la verità.”
– Un senso di fusione con tutte le cose –
Al ritorno dall’esperienza di pre-morte, tutti hanno la sensazione che nell’universo ogni cosa sia
collegata alle altre. É difficile per loro spiegare questo concetto; comunque provano maggior
rispetto per la natura e per il mondo che li circonda.
Un’eloquente descrizione di questa sensazione mi fu fornita da un uomo d’affari rude e taciturno,
che aveva avuto un’esperienza di pre-morte durante un arresto cardiaco, all’età di sessantadue anni:
Quando mi risvegliai in ospedale, la prima cosa che vidi fu un fiore. Mi misi a piangere: lei non mi
crederà, ma non avevo mai veramente visto un fiore, fino a quando non sono risuscitato.
La cosa importante che ho imparato morendo è che facciamo tutti parte di un unico universo vivente.
Se crediamo di poter ferire un’altra persona, o un altro essere vivente, senza ferire noi stessi, ci
sbagliamo di grosso. Adesso, quando vedo una foresta, un fiore, un uccello, penso: «Quella è una
parte di me». Noi siamo collegati a tutte le cose; se trasmettiamo amore attraverso quei
collegamenti, allora siamo felici.
– La rivalutazione della conoscenza –
Dall’esperienza di pre-morte si ritorna, inoltre, con un rinnovato rispetto per la conoscenza.
Alcuni dicono che sia una conseguenza dell’esame della vita: l’essere di luce ha detto loro che la
cultura non finisce con la morte, che la conoscenza è qualcosa che ci si porta dietro; altri parlano
di un intero regno dell’aldilà predisposto per il conseguimento della conoscenza.
Una donna descrisse tale luogo come una grande università, in cui si dissertava seriamente sul mondo
circostante. Un uomo lo descrisse come uno stato di consapevolezza nel quale qualsiasi desiderio è
realizzabile: basta pensare a qualcosa che si vorrebbe conoscere, ed essa (è lì perché tu
l’apprenda). Le nozioni più difficili sono reperibili sotto forma di pensiero.
Questo riguarda nozioni di ogni tipo. Per esempio, se volessi sapere che significa essere il
presidente degli Stati Uniti, mi basterebbe desiderarlo per sperimentarlo; se volessi sapere che
significa essere un insetto, dovrei soltanto «chiedere» ciò attraverso il desiderio e ne farei
l’esperienza.
Per quanto breve, quest’esperienza di conoscenza è così efficace che ha cambiato la vita di molti
«risuscitati». L’aver avuto, seppure per poco tempo, la possibilità di un apprendimento totale li ha
resi, una volta tornati nel corpo, assetati di conoscenza.
Spesso queste persone s’imbarcano per una nuova carriera, oppure intraprendono seriamente un corso
di studi. Tuttavia nessuno, ch’io sappia, ha perseguito la conoscenza; questa è importante soltanto
se contribuisce all’integrità della persona. Ancora una volta, entra in gioco il senso della
fusione: la conoscenza ha valore se serve a integrare le cose.
L’uomo d’affari che ho citato nella sezione precedente lo spiegò meglio di qualsiasi ricercatore:
“Dottore, devo ammettere che, prima del mio arresto cardiaco, provavo soltanto disprezzo per gli
studiosi. Nella mia ignoranza, me la cavavo bene lavorando sodo. Da queste parti c’è un’università:
tutti quei professori per me erano dei pigri, dei parassiti, che non facevano nulla di concreto. A
molti di loro feci sapere che mi sentivo offeso, che io faticavo a volte sette giorni per settimana,
dieci, o dodici ore al giorno, per consentir loro di fare ricerca e di scrivere libri che non
avevano nulla a che fare con la realtà.
Invece, mentre i medici dicevano che ero morto, quella persona che era con me, quella luce, quel
Cristo, mi mostrò la dimensione della conoscenza, per così dire. Non riesco a descriverla, ma non
importa, perché ogni essere della terra la vedrà prima o poi, che ci creda o meno.
Comunque, per me è stata un’esperienza umiliante. Stia tranquillo che adesso non disprezzo più i
professori. La conoscenza è importante. Leggo tutto ciò che mi capita sotto mano, mi creda. Non
ch’io rimpianga la via che ho scelto, ma adesso sono contento di avere il tempo per coltivarmi.
Storia, scienza, letteratura, tutto m’interessa. Mia moglie se la prende con me per i libri in giro
in camera nostra. Alcuni mi aiutano a capire meglio la mia esperienza; anzi, in un modo o
nell’altro, sono tutti utili perché, come ho già detto, quando si ha un’esperienza del genere, si
capisce che tutto è collegato.”
– Una nuova capacità di controllo –
Chiunque abbia avuto un’esperienza di pre-morte diventa più responsabile della propria vita e più
sensibile alle conseguenze, immediate e non, delle proprie azioni. É la drammaticità dell’«esame
della vita» in terza persona che consente loro di esaminarsi obiettivamente.
Mi dicono che, durante l’esame della propria vita, il «morto» vede la sua vita come nella proiezione
di un film. Di frequente, egli sente le emozioni derivanti dalle azioni che osserva: non solo le
proprie, ma anche quelle delle altre persone presenti. Vede degli eventi, apparentemente isolati,
collegarsi tra loro, e ne comprende il «bene» ed il «male» con lucidità cristallina. L’esperienza
gli insegna che, alla fine della vita, egli dovrà essere autore e destinatario di ogni sua singola
azione.
Non ho ancora conosciuto una sola persona che, avendo vissuto quest’esperienza, non si accorga di
essere diventata più accorta nella scelta delle proprie azioni. Con questo non voglio dire che si
diventi nevrotici e pieni di sensi di colpa.
Il senso della responsabilità è un fatto positivo, e non si manifesta con l’ansia o col senso di
colpa.
Mi disse una donna che aveva avuto un’esperienza di pre-morte il giorno del suo ventitreesimo
compleanno, poco dopo essersi laureata in sociologia:
“La cosa più importante che quest’esperienza mi abbia insegnato è che sono responsabile di tutto ciò
che faccio. Qualsiasi scusa era impossibile, mentre ero lì con lui a esaminare la mia vita. Non
solo: ho capito che la responsabilità non è affatto brutta, che non devo trovare scuse, né cercare
di scaricare i miei errori sugli altri. É strano, ma i miei errori mi sono diventati molto cari,
perché sono miei e perché, accidenti, mi saranno d’insegnamento, qualunque cosa accada!
Ricordo, in particolare, un episodio che ho rivisto in questo esame della vita: da bambina, strappai
via dalle mani della mia sorellina il cestino pasquale, perché conteneva un giocattolo che volevo.
Durante l’esame, ho provato il suo sentimento di dispiacere, di perdita e di ripulsa.
Cosa facciamo agli altri quando ci comportiamo in maniera sgradevole! Comunque, è stupendo che siamo
destinati a non rimanere ignari. Se qualcuno non mi crede, non importa: c’incontreremo nell’aldilà
quando anche loro avranno potuto capirlo, e ne parleremo…
Tutto ciò che hai fatto è lì (nell’esame), perché tu possa valutarlo; e, per quanto sgradevoli siano
alcune parti, è bellissimo rivedere il tutto. Nella vita si può agire con leggerezza e poi crearsi
delle scuse, o addirittura mascherare le cose; e, se si vuole, si può continuare a soffrire a furia
di mascherarle. Mentre ero lì, invece, durante l’esame della mia vita, non v’era nulla da
mascherare: io stessa ero coloro che avevo ferito, così come sempre io ero coloro ai quali avevo
fatto del bene. Vorrei trovare il modo di trasmettere agli altri come è bello sapere di essere
responsabili e vivere un’esperienza come questa, nella quale è impossibile non affrontare il
problema! É la sensazione più liberatoria del mondo. É davvero stimolante sapere, di giorno in
giorno, che quando morirò rivedrò nuovamente ogni mia singola azione, ma che questa volta ne sentirò
davvero gli effetti sugli altri. Certo, la cosa mi dà da pensare, ma non mi spaventa: ci provo
gusto”.
– Un senso di sollecitudine –
Quando parlo con questi soggetti, viene fuori continuamente l’espressione «senso di sollecitudine».
Spesso, si riferiscono alla brevità e alla fragilità della propria vita; spesso, invece, esprimono
la loro ansia per un mondo nel quale ampi poteri di distruzione sono nelle mani di semplici esseri
umani.
Perché abbiano queste sensazioni non lo so, ma questi elementi sembrano ispirare a chi ha avuto
un’esperienza di pre-morte un profondo apprezzamento della vita. Dopo l’esperienza, la gente tende a
dichiarare che la vita è preziosa, che sono le «piccole cose» che contano, che la vita va vissuta in
pieno.
Una donna mi disse che durante l’esame della vita non compaiono soltanto i grossi eventi, come si
potrebbe pensare, ma anche le piccole cose. Per esempio, nel suo caso, uno degli episodi che aveva
rivisto con maggiore chiarezza era quello della volta in cui aveva trovato una bambina smarrita in
un grande magazzino. Poiché la bambina piangeva, la donna l’aveva messa a sedere su di un bancone e
le aveva parlato fino all’arrivo della madre.
Sono queste piccole cose (quelle che si fanno senza nemmeno pensare) che vengono fuori con maggior
rilievo nell’esame della propria vita.
A molte persone l’essere di luce domanda «Cosa avevi in cuore mentre questo accadeva?», come per
dire che i piccoli atti di bontà dettati dal cuore sono i più importanti, perché sono i più sinceri.
– Lo sviluppo dell’aspetto spirituale –
L’esperienza di pre-morte porta quasi sempre alla curiosità spirituale. Molti, dopo l’episodio,
studiano e accettano gli insegnamenti spirituali dei grandi pensatori religiosi.
Ciò, comunque, non vuol dire che diventino dei pilastri della chiesa locale: al contrario, essi
tendono ad abbandonare la dottrina religiosa in quanto tale.
Un resoconto succinto e stimolante di tale atteggiamento mi fu fornito da un uomo il quale, prima
dell’esperienza di pre-morte, aveva studiato presso un seminario.
“Il mio medico diceva che durante l’intervento ero «morto». Gli ho spiegato che invece avevo visto
la vera vita. Con quella visione capii che asino presuntuoso ero stato a fissarmi con la teologia, a
guardare dall’alto in basso chiunque non appartenesse alla mia stessa setta, o non aderisse alle mie
stesse idee teologiche. Molte persone che conosco resteranno sorprese, quando scopriranno che al
Signore non interessa affatto la teologia! Tutt’al più la trova divertente! In realtà, non era
affatto interessato alla mia religione: voleva sapere cosa avessi in cuore, non in testa.”
– Il ritorno nel mondo «reale» –
Il riadattamento alla vita terrena è stato soprannominato, da alcuni studiosi, «sindrome da
rientro». Perché no? Non è normale che questi soggetti abbiano delle difficoltà di riadattamento?
Non è normale che, una volta conosciuto il paradiso dello spirito, il ritorno al mondo rappresenti
un problema?
Oltre duemila anni fa, Platone accennò a questa sindrome nella
c’invita ad immaginare un mondo sotterraneo pieno di prigionieri che sono lì dalla nascita,
ammanettati e col viso rivolto al muro posteriore di una caverna, sicché possono vedere soltanto
l’ombra degli oggetti in movimento, davanti al fuoco che divampa alle loro spalle.
Supponiamo, dice Platone, che uno di questi prigionieri venisse liberato e portato di sopra,
all’esterno della caverna, nel nostro bellissimo mondo, e che poi fosse ricondotto con la forza in
quel mondo di ombre: qualora egli raccontasse la propria esperienza agli altri prigionieri rimasti
nella caverna, questo lo deriderebbero e lo metterebbero in ridicolo. Ma, peggio ancora del
ridicolo, egli avrebbe grosse difficoltà a rispettare le regole di un mondo diventato per lui troppo
ristretto.
É di questi problemi che mi occupo nella mia attività di psichiatra. Cominciai quella che chiamo
«attività spirituale» nel 1985, quando compresi che molte persone, dopo un’insolita esperienza
spirituale, avevano difficoltà a conciliare questa con la propria vita.
Per esempio, molti si rifiutano di ascoltare il racconto di un’esperienza di pre-morte: si sentono
turbati dall’evento e arrivano anche a pensare che chi parla sia folle. Dal punto di vista
dell’interessato, invece, è accaduto qualcosa di molto importante, la sua vita è cambiata, ma
nessuno lo ascolta con comprensione: pertanto, ha soltanto bisogno di parlare con qualcuno che
comprenda la sua esperienza.
Stranamente, i «risuscitati» non trovano alcun sostegno da parte dei coniugi, o dei familiari,
quando si tratta di parlare della loro esperienza. Spesso, il notevole cambiamento di personalità
che segue all’episodio genera tensione in famiglia. Per esempio, vi sono persone le quali, avendo
represso le proprie emozioni per anni e anni di matrimonio, dopo l’esperienza di pre-morte diventano
improvvisamente molto espansive: questo può risultare terribilmente imbarazzante per l’altro
coniuge, al quale sembrerà di trovarsi sposato con una persona nuova.
Un uomo mi disse:
“Quando «ritornai», non sapevano come fare con me. Prima dell’infarto, ero un tipo molto irascibile.
Se qualcosa non mi andava bene, diventavo intrattabile, sia in casa che al lavoro. Se mia moglie
tardava nel vestirsi quando dovevamo andare in qualche posto, esplodevo e le rovinavo il resto della
serata.
Non so perché lei lo sopportasse. Comunque, credo che ci si fosse abituata negli anni perché, dopo
l’incidente, la mia malleabilità la metteva a disagio. Non urlavo più; non insistevo più, né con lei
né con altri, perché facessero delle cose; ero diventato la più facile delle persone con cui
convivere, ma per lei quel cambiamento era insopportabile. Ci volle molta pazienza da parte mia
(cosa che, in passato non avevo mai avuto) per mantenere in piedi il nostro matrimonio. Continuava a
dirmi: «Sei così cambiato, da quando hai avuto l’infarto!». Credo che in realtà volesse dire: «Tu
sei impazzito».
Per mitigare queste tensioni, di tanto in tanto faccio incontrare tra di loro alcuni pazienti con i
rispettivi coniugi, perché possano confrontare con gli altri gli effetti dell’esperienza di
pre-morte sulla vita familiare. Quando apprendono che anche altri hanno i loro stessi problemi,
cercano di capire come comportarsi con il nuovo personaggio.
Un’altra cosa che capita a questi soggetti è che, quando ritornano nel nostro regno, rimpiangono lo
stato di beatitudine provato durante l’esperienza di pre-morte: quindi, devono imparare a gestire
questo rimpianto.
Nel 1983, organizzai un congresso sui rapporti con questi pazienti, al quale parteciparono decine di
professionisti esperti del fenomeno. Nel corso di quei tre giorni di simposio, escogitammo diverse
direttrici per affrontare queste crisi spirituali. Le includo qui perché possiate vedere alcuni
aspetti dei rapporti con chi ha avuto un’esperienza di pre-morte.
– Lasciarli parlare liberamente della propria esperienza –
Ascoltate con interesse, lasciandoli parlare a piacimento della loro esperienza di pre-morte. Non
approfittate dell’occasione per cercare di alleviare i vostri timori circa la sopravvivenza dopo la
morte, né per dimostrare le vostre teorie in proposito. Un «risuscitato» ha avuto un’esperienza
importante ed ha bisogno di orecchie attente quando racconta l’episodio.
– Assicurarli che non sono soli –
Dite loro che queste esperienze sono molto frequenti. Aggiungete che non sappiamo bene perché si
verifichino, ma che le numerose persone che hanno avuto un’esperienza di pre-morte ne sono uscite
migliorate.
– Spiegare di che si tratta –
. Nonostante vi siano milioni di persone che hanno avuto quest’esperienza, pochissimi sanno di che
si tratta. Spiegate loro che hanno avuto un’esperienza di pre-morte: conoscendo la definizione
clinica dell’episodio, il paziente troverà la chiave per comprendere quest’evento inatteso e
sconcertante.
– Coinvolgere la famiglia- .
I cambiamenti causati dall’esperienza di pre-morte sono spesso difficili da affrontare per i
familiari. Un padre da sempre autoritario può improvvisamente diventare indulgente dopo l’episodio:
questo cambiamento può risultare imbarazzante per i parenti, abituati a un capofamiglia esigente ed
intransigente. É importante incoraggiare il dialogo per chiarire le reazioni di ciascuno e
affrontarle prima che provochino una spaccatura nella struttura della famiglia.
– Farli incontrare con altri pazienti- .
Non di rado provoco degli incontri tra persone reduci da un’esperienza di pre-morte. Attraverso gli
anni, ho tenuto varie sessioni di terapia di gruppo con questi soggetti, mettendoli insieme in base
al rapporto medico. L’ideale è un gruppo di circa quattro persone che si limitano a parlare di
problemi causati dall’esperienza di pre- morte. Le sessioni di gruppo sono tra le più sbalorditive
che abbia mai tenuto. Le persone parlano con semplicità di un evento comune, che non è illusione,
sogno o fantasia: è come se avessero fatto insieme un viaggio in un altro paese.
Spesso, invito i coniugi dei pazienti a partecipare a queste sessioni di gruppo: la presenza degli
altri pazienti e dei rispettivi coniugi è rassicurante per loro. É dimostrato che, spesso,
l’esperienza di pre-morte è seguita dal divorzio, perché il soggetto subisce grandi cambiamenti di
personalità: conoscendo altre persone che si trovano nella stessa situazione, i nuovi pazienti e i
loro coniugi hanno modo di vedere come gli altri abbiano conciliato l’episodio con la vita
familiare.
Naturalmente, alcuni sono felici di avere per casa un coniuge «più mite». Altri non lo sono affatto:
anche se per anni hanno pregato il partner di calmarsi, quando questo avviene in realtà sono
scontenti. A volte interpretano la trasformazione come la manifestazione di una psicosi, o di un
indebolimento.
L’Associazione Internazionale di Studi sulla Pre-morte sponsorizza gruppi di appoggio per tutto il
paese, attualmente in quasi trenta città. Per eventuali informazioni, scrivete a: «Friends of
IANDS’», Department of Psychiatry, University of Connecticut Health Center, Famington, CT 06032.
– Consigliare qualche lettura sull’esperienza -. Questo tipo di terapia si chiama biblioterapia ed è
abitualmente sconsigliata da psichiatri e psicologi. Il motivo di ciò è che la maggior parte dei
pazienti non trova alcun sollievo negli scritti sui suoi problemi psicologici. Del resto, uno
schizofrenico non si consolerebbe di certo vedendo i sintomi del proprio male stampati, nero su
bianco. L’esperienza di pre-morte, comunque, è una cosa ben diversa: essa è considerata
un’esperienza spirituale, non una malattia.
Ho scoperto che dopo qualche tempo, quando il paziente ha avuto il tempo d’integrare da sé
l’esperienza, è importante consigliargli un buon libro sull’argomento: così avrà modo di rivedere
con comodo la varietà di esperienze e di idee sul fenomeno.
Lo scopo di ciò è di aiutare la persona a convivere con la propria esperienza e a comprendere che il
cambiamento provocato da un’esperienza di pre-morte è soltanto positivo.
Per quanto limitate, le ricerche sull’argomento dimostrano che i cambiamenti sono abbastanza
positivi e che l’esperienza di pre-morte, sia essa un viaggio nell’aldilà o meno, produce degli
effetti notevolissimi in chi l’ha subita. Oppure, come disse un sociologo: «Una cosa è reale nella
misura in cui sono reali le sue conseguenze.»
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