Essere Dio: ovvero come uscire dalla prigione del perfezionismo

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Essere Dio: ovvero come uscire dalla prigione del perfezionismo

di Giampiero Ciappina

°°°

– Il Perfezionismo è la più crudele delle prigioni interiori –

Essere Dio è stata una delle mie prime aspirazioni, e se dovessi
valutarmi secondo quei parametri, confesso di non essere ancora
riuscito in quell’obiettivo. Essere come Dio significava che gli altri
avrebbero dovuto fare ed essere ciò che io pensavo fosse giusto fare o
essere; significava anche che gli eventi della vita avrebbero dovuto
seguire la direzione che io pensavo fosse giusta. Significava anche
arrabbiarmi tutte le volte che questo non si verificava. E ciò
accadeva molto spesso. Penso che ciò accadesse perchè avevo molto da
imparare, e ancora oggi mi accorgo quanto ancora posso apprendere
sulla Vita e sull’Amore.

Se oggi posso affermare di aver imparato qualcosa, è certamente perchè
ho fatto molti errori. È stato un cammino lungo e impegnativo che mi
ha permesso di esplorare e scoprire nuovi universi mai immaginati
prima. Mi ha aiutato a comprendere che se fossimo come Dio – perfetti
– non avremmo nulla da imparare. Ho anche capito che la perfezione, o
meglio il perfezionismo, non fa guadagnare neppure una briciola
d’amore in più. Anzi, se possibile, la fa perdere. È come una promessa
d’amore che però in realtà si rivela una truffa, un imbroglio. Essere
perfetti non ci fa sentire più amati, ma semmai più distanti e
incompresi. Il perfezionismo è una prigione della materia e non ha
nulla di divino. È figlio del giudice interiore che non riesce a
perdonare nessuno, neppure se stesso. E perdonare è una fatica
immensa. È figlio dell’orgoglio che non riesce ad accettare i propri
limiti, è figlio della superbia che pretende di soggiogare la Vita e
sottometterla al proprio servizio. È figlio dell’avidità di divorare
tutto e tutti per riempire i propri vuoti, il proprio narcisismo e la
propria vanità.

Uscire dalla prigione del perfezionismo è come fare un piano di fuga
da Alcatraz. Solo che i passaggi non sono materiali, ma esistenziali.
Quello che segue è il mio piano.

1)Lascia perdere! Comincio con un punto che sembra tra i più semplici,
ovvi, banali e naturalmente, facili. Ma pensateci bene: è veramente
così facile “lasciar perdere”? Ogni volta che ci penso, mi viene in
mente quel famoso lampione sul Ponte Milvio a Roma, dove una montagna
di lucchetti, catenacci e chiavistelli sono inchiavardati l’uno
sull’altro. Un ammasso di ferro e acciaio massiccio del peso di
diversi quintali. E quale simbolo migliore di un lucchetto per
rappresentare una prigione? “Lasciar perdere” di fronte ad un torto,
reale o immaginario, è davvero un lusso che pochissimi sanno
permettersi. “Lasciar perdere” significa non lasciarsi incatenare,
significa rimanere liberi, affermare con forza e straordinario
coraggio, la propria libertà. Ogni volta che invece “non lasciamo
perdere”, aggiungiamo un lucchetto alla nostra montagna interiore di
chiavistelli di tutte le cose che ci siamo legati al dito, degli
eventi che ci hanno ferito, delle situazioni in cui abbiamo subito un
torto e richiediamo (o pretendiamo) una giusta vendetta. E rimaniamo
in attesa, in lunga attesa, di quell’evento o persona magica, che
finalmente comprenderà i tanti oltraggi che abbiamo subito, vendicherà
i soprusi, e ci porterà sotto l’arco del meritato trionfo e
dell’agognata gloria. Tutto questo è follia e porta verso la morte.
Prova invece a “lasciar perdere”, impara ad “essere leggero”!

2)Perdonati! Talvolta è più facile perdonare gli altri piuttosto che
se stessi. Perdonare se stessi è come scalare una montagna impervia.
Sono necessarie tenacia, forza e straordinario coraggio. Siamo
talmente abituati a condannarci, a punirci per le nostre fragilità, a
espiare le colpe reali e immaginarie, a rimproverarci per i nostri
limiti e per le tante cose che non sappiamo fare, che la sola idea di
poterci perdonare è davvero lontanissima. Vivere sotto un costante
senso di colpa è più di una consuetudine: è un vizio a cui siamo
assuefatti, un’ossessione che ci rende dipendenti, una mania che
diventa tradizione, pratica quotidiana, routine giornaliera. Il senso
di colpa è un abito a cui difficilmente sappiamo rinunciare. Ci veste
e ci fornisce la sgradita dignità del vittimismo, dell’auto-sabotaggio
e dell’autocommiserazione. Qualsiasi colpa va bene al nostro giudice
interiore: sia colpe socialmente riconosciute, sia quelle inventate
dalla follia del nostro perfezionismo. Ricominciare ad amarsi,
ritornare ad amare se stessi dopo aver commesso una colpa, aver
manifestato un limite o aver rivelato una propria fragilità è un
compito arduo. Tornare a darsi il diritto di essere felice è davvero
una conquista. Accettati così come sei. Mandiamo in pensione il
giudice interiore. Dopo tanto (certamente intensissimo) lavoro se lo è
sicuramente meritato.

3)Sii grato alla vita. Ringraziare è un modo meraviglioso per andare
verso la vita. Il senso di gratitudine è l’inequivocabile segnale di
‘Pieno’: è il migliore indicatore della vittoria sull’avidità di avere
e di possedere. “Ringraziare” significa riconoscere di aver già
ricevuto tantissimo, significa sancire ed affermare che siamo nati in
un universo che ci ha voluti, ci ha desiderati, ci ha amati. Quando il
mostro del perfezionismo si avvicina, proviamo a pensare alle migliaia
di cose che abbiamo e di cui essere grati. A cominciare dall’amore dei
nostri cari, agli affetti, agli amici che non vedono l’ora di poterci
amare più liberamente. Per non parlare poi del cibo sulla nostra
tavola, del tetto sulla nostra testa e del comodo letto sul quale
riposiamo. Il senso di gratitudine ci permette di armonizzare noi
stessi con la ricchezza e l’abbondanza dell’universo, ci permette di
sintonizzarci con i miracoli che attendono ancora di rivelarsi e con
le opportunità che la nostra esistenza desidera mettere a nostra
disposizione. Essere grati ci aiuta anche a accordarci ancora più
profondamente con il nostro progetto esistenziale, con la nostra
missione spirituale, con il sacro compito che dà senso e significato
alla nostra vita su questa Terra.

4)La vita è fonte di gioia. Questa è l’ultima soglia da oltrepassare,
l’ultimo muro da scavalcare, l’ultimo tunnel della prigione da
attraversare. Ogni singola cellula del nostro corpo vive e lavora
dentro un universo immenso, composto da miliardi e miliardi di altre
cellule di tutte le forme e dimensioni. Enormi ammassi cellulari
convivono accanto ad altre galassie organiche dalle funzioni più
curiose e misteriose. Costellazioni di eritrociti percorrono orbite
iperboliche accanto a sterminate nebulose viscerali. Un cosmo vasto e
smisurato, se osservato dal punto di vista di una singola cellula.
Eppure quella piccola, singola cellula è talmente importante che la
sua sofferenza può innescare un “effetto dòmino” in grado di
distruggere l’intero organismo. Ogni singolo essere umano è talmente
importante che i suoi pensieri, positivi o negativi, influenzano e
condizionano l’intero universo.

Così come ogni singola cellula si nutre d’amore e di gioia, anche ogni
singolo essere umano si nutre d’amore e di gioia. Il cibo dà
sostentamento, ma sono l’amore e la gioia che permettono la vita e
l’esistenza. La rabbia, la paura, la frustrazione, il risentimento, il
rancore, l’amarezza sono i veleni che inquinano le nostre cellule e la
nostra vita. Scegliere di vivere immersi in una fonte di gioia
continua significa guarire i nostri mostri interiori, significa uscire
dalla prigione e svolgere il nostro compito nell’universo. È così che
possiamo finalmente sentirci partecipi di un ‘tutto’ che innalza il
nostro spirito e ci permette di essere parte armonica di un disegno
d’amore divino.

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