Essere per sempre giovani
di Radha Burnier
Da “The Theosophist”, febbraio 2003, pagg. 163-166.
Traduzione di Patrizia Moschin Calvi
C’è un verso sanscrito che ha ispirato, con la sua semplicità e profondità,
molte generazioni di persone in India e che, tradotto in inglese, recita:
“Guarda! Seduti sotto l’albero di banyan ci sono dei discepoli attempati e
un giovane insegnante. L’insegnante spiega in silenzio e i discepoli sono
liberi dal dubbio”.
Questo verso si riferisce a Dakshinamurti, uno degli aspetti del grande dio
Siva e lo raffigura come la quintessenza dell’insegnante, eternamente
giovane. Giustapporre giovinezza e vecchiaia – la giovinezza collegata alla
saggezza e la vecchiaia con la perplessità, affascina la mente. La
magnificenza dell’albero di banyan, che in natura è simbolo di longevità e
perfino di eternità, fa da sfondo.
Secondo le antiche tradizioni tutti gli immortali sono sempre giovani. Non
possiamo immaginare un essere immortale diventare sempre più vecchio, “senza
denti, senza vista, senza gusto, senza niente”, per usare le parole di
Shakespeare. Una tale persona difficilmente diverrebbe una ispirante figura
di deva. I deva o immortali non invecchiano, cosa che ci viene suggerita dal
concetto che gli immortali non toccano mai terra. Se così facessero,
verrebbero contaminati e puniti. I deva non sono solo sempre giovani ma
irradiano luce, sono attenti e felici.
Secondo la letteratura teosofica gli adepti o esseri liberati, che hanno
trasceso la schiavitù del karma, possono vivere per molti anni nel corpo
fisico (se desiderano averne uno) senza invecchiare, apparentemente.
Parlando con Charles Johnston, che le aveva chiesto qualcosa riguardo
all’età
del suo Maestro, Madame Blavasky replicò: “Non posso affermarlo con
esattezza, perché non lo so. Ma questo ti voglio dire. Lo incontrai per la
prima volta quando avevo vent’anni, nel 1851. A quel tempo egli era un
giovane uomo. Ora sono una donna anziana, ma egli non è invecchiato di un
giorno”. (Dalla biografia di Sylvia Cranston su H.P.Blavatsky).
Il karma ci riguarda tutti, a livello fisico, emozionale e mentale. Il corpo
che abbiamo e le condizioni in cui viene modificato dalle nostre azioni,
emozioni e pensieri fanno parte del gioco karmico. Se siamo nati con
determinati tratti genetici e caratteristiche razziali, è il risultato del
karma.
Ma con le peculiarità della nostra vita attuale possiamo far divenire il
nostro corpo avvenente o brutto. Il corpo cambia a seconda delle nostre
condizioni mentali. L’ansia produce rughe di preoccupazione sul viso;
l’ambizione
lo indurisce. Desideri ed egoismo causano stress e non solo alterano la
salute, ma anche le sembianze del corpo. Ecco perché ci sono persone che,
con l’età, accrescono anche la loro leggiadria mentre altre sono poco
attraenti già nell’età di mezzo.
Le attitudini mentali variano enormemente, a seconda se si viva con o senza
attaccamento. Gli adepti, essendo liberi dall’attaccamento alle irrealtà del
mondo, non hanno problemi che alterino le condizioni del corpo. Essi non
creano karma, nel presente e la maggior parte di loro ha esaurito anche il
karma creato nel passato. Così i loro corpi non si deteriorano – quanto meno
non con la stessa velocità della gente ordinaria.
E’ meraviglioso essere giovani, come tutti ben sappiamo. Le persone che
stanno disperatamente cercando di essere giovani percepiscono in qualche
modo la bellezza della gioventù e nel contempo soffrono per paura della
morte. I giovani sono svegli, hanno entusiasmo e rispondono con gioia e
immediatezza alla Natura, agli altri esseri umani, alle cose buone e belle.
Sono spontanei, essendo meno condizionati degli adulti. L’innocenza li fa
saltare di gioia senza motivo apparente, essi sono felici come gli adulti
non sono più capaci di essere. Nel contatto con i giovani gli adulti
sperimentano, tramite loro, parte di quella gioia, spontaneità ed innocenza.
E desiderano fortemente di trovare un modo per rimanere giovani.
In epoche diverse la gente ha cercato di scoprire l’Elisir di Lunga Vita.
Gli indiani vedici cantavano di quell’essenza che gustano gli dei. Per
preservare il corpo e prevenirne l’invecchiamento si è provato di tutto:
dalle pratiche alchemiche agli incantesimi, alle pozioni, alle più severe
pratiche ascetiche. Ma nessuno di questi mezzi pare abbia avuto successo,
poiché nessuno ha trasmesso agli umani il segreto della giovinezza.
Ma può il Tempo essere assoggettato con tali mezzi? Per capirlo dobbiamo
chiederci quale sia l’essenza della giovinezza, la sua fonte. Appartiene al
corpo? Possiamo inchiodare al corpo giovinezza e longevità cambiandone la
composizione o innestandovi materiali come il fegato di un maiale o il
cervello di una scimmia?
Mentre il corpo invecchia anche la mente decade, diventa rigida, è piena di
pregiudizi, desideri ed attaccamenti. O è il contrario? Nel verso citato
all’inizio
il giovane insegnante brilla per la sua saggezza, capace com’è di comunicare
senza parlare. Si pone allora la a domanda ripetuta da Sri Ramana Maharishi:
“Chi sono?” “Chi è quell’Io che vuole essere giovane?” Questa è una domanda
cruciale; senza una vera risposta è impossibile scoprire il segreto per
rimanere giovani. I dinosauri, coi loro piccoli cervelli, vivevano a lungo,
ma sicuramente gli uomini desiderano restare giovani come i deva e non
sopravvivere per lunghi anni come i dinosauri!
La Bhagavadgita paragona il corpo a una veste; proprio come gli abiti logori
vengono gettati via e sostituiti da quelli nuovi, così dobbiamo fare coi
nostri corpi quando invecchiano, e prenderne di nuovi. Capiamo bene che i
vestiti nuovi sono meglio di quelli sdruciti ma perfino le persone molto
malate, paralizzate o costrette a letto si aggrappano al corpo esausto. Il
Buddha disse che tutto ciò a cui viene data una forma prima o poi si
disintegra, mentre la Bhagavadgita sottolinea che tutto quel che è nato deve
morire e che tutto ciò che è soggetto a nascita lo è anche alla rinascita.
Solamente Colui che dimora nel corpo è immortale e invulnerabile. Se non
realizziamo che il Sé non è il corpo ma è quel misterioso elemento che lo
usa e lo lascia quando necessario, non scopriremo il segreto degli esseri
immortali e senza tempo.
La maggior parte di noi percepisce qualcosa di profondo dentro di sé, che
non è il corpo che vediamo. Osserviamo anche emozioni, ricordi, pensieri ed
altre attività interiori. Avere la sensazione di “essere” però non ha niente
a che fare con tutto questo. Anche se il corpo è mutilato il senso di essere
non viene intaccato, non si percepisce che la nostra propria natura venga
mutilata per questo. Ricordi, immagini e fluttuazioni della mente – questo è
tutto ciò che Krishnaji chiamava il contenuto della coscienza e che
continuamente appare e scompare. L’esperienza di essere rimane, non
intaccata e disidentificata da ciascun pensiero o sensazione che sorga solo
per poi andarsene. Se noi ci identifichiamo con tali oscillazioni cambieremo
costantemente il nostro carattere. Sottostante a tutti i cambiamenti c’è un
senso di essere che è quello che possiamo percepire nei momenti di quiete.
Sebbene le persone possano visualizzare il Signore Buddha attraverso
un’immagine
mentale, egli disse che chi vede il dhamma vede veramente anche lui stesso.
Il Buddha è essenzialmente la coscienza illuminata e non una forma. Essere
uno con il dhamma o verità è uno stato di saggezza. Colui che afferra il
vero insegnamento e raggiunge la saggezza conosce il Buddha.
Sullo stesso filone H.P.B. ha dichiarato che chi vuole vedere il Maestro
spesso vuole semplicemente vedere un corpo ed un viso: che è una maschera e
non il Maestro. Il Maestro è una consapevolezza che è omnipervasiva,
elevata, piena di amore, saggezza e pace, che non cambia mai e non perde la
purezza della sua propria natura. Nello Yoga-vasishtha c’è una spiegazione
dell’immortalità da parte di un essere immortale: “La mia mente non dimora
né nel passato né nel futuro, ma è sempre nel presente”. Passato e futuro
sono fenomeni mentali causati dai movimenti della mente. Richiamare alla
memoria passate esperienze crea il “passato”; farsi portare da desideri e
speranze in un’altra direzione crea il”futuro”. Quando la mente non
vagabonda senza meta ma rimane fissa nel presente, essa è libera dal tempo.
Solo nel presente c’è amore – una vera relazione con il Tutto.
Continuando con il suo insegnamento l’essere immortale afferma che pensieri
come: “Ho ottenuto questo oggi e avrò qualcosa di meglio domani”, non si
affacciano mai alla sua mente. Né mai la sua mente esperimenta cose come:
“Questo è mio amico, mio parente; l’altro è un estraneo, uno straniero”.
Libero dalla schiavitù dei desideri – che progettano il futuro e guardano al
passato per ottenere cose desiderabili – è il saggio dalla mente ferma
descritto nella Bhagavadgita. Egli è sereno, in pace e gioioso e sicuramente
immortale, essendosi liberato dalla stretta del tempo.
La dottoressa Besant, in una conferenza edita ne La Vita Spirituale dice:
“Non siamo schiavi del tempo, se non ci sottomettiamo alla sua imperiosa
tirannia. Così restiamo sempre noi stessi e possiamo camminare risolutamente
attraverso le luci cangianti e le ombre gettate dalla sua magica lanterna
sulla vita che non può invecchiare. Perché gli dei sono raffigurati per
sempre giovani, se non per ricordarci che la vera vita non viene toccata dal
tempo? Noi prendiamo in prestito un po’ della forza e calma dell’eternità,
quando cerchiamo di vivere in essa, fuggendo dalle maglie del grande
Incantatore”.
Il tempo tiranno vive entro di noi, alimentato dalle nostre attività mentali
e dai desideri per le cose transeunti. A seconda delle nostre condizioni
mentali il tempo corre veloce o passa lentamente. Passioni ed emozioni
disturbano le menti dei mortali mentre gli dei, non contaminati dai pensieri
e desideri terreni, esperimentano immortalità e giovinezza.
Per essere giovani e belli dobbiamo necessariamente liberarci dalle
impellenze: l’urgenza di arrivare da qualche parte, di essere i primi, di
ottenere un risultato – che ci rendono schiavi del tempo. Il tempo priva
cervello e mente di sensibilità e flessibilità e li rende prede delle
ansietà dell’egocentrismo che invecchia il corpo.
Dobbiamo vivere in maniera assolutamente diversa per preservare la
giovinezza. Il Dhammapada dice: “La morte si porta via la persona che coglie
i fiori del mondo, proprio come una grande inondazione spazza via un
villaggio addormentato”. I fiori del mondo, per quanto affascinanti possano
essere, sono una fonte illusoria di felicità. La Voce del Silenzio recita:
“Sotto ad ogni fiore c’è un serpente attorcigliato”. Anche nella Bibbia
troviamo frasi come: “Sorgi dalla morte”, che non è tanto un appello a far
sorgere un cadavere dalla sua bara, quanto piuttosto ad emergere dalle
condizioni simili alla morte in cui è immerso il mondo che percepiamo.
L’attaccamento è la vera essenza della mente terrena; l’assenza di
attaccamento è libertà. Per essere giovane la mente deve essere libera, non
incatenata. Per citare di nuovo il Dhammapada: “L’assenza di attenzione è la
strada verso la morte. Le persone vigili non muoiono, quelle immemori è come
se fossero già morte.” Nella vita quotidiana la vigilanza, che aiuta a
liberarsi da ogni passione, pensiero o attitudine egoistica, è un sentiero
verso uno stato simile a quello degli dei, pieno di amore e saggezza.
Egoismo è ignoranza, mancanza di saggezza. Riusciremo noi a fare di noi
stessi dei giovani, vivendo in maniera giusta, o aspetteremo che qualche
tecnico o mago prolunghi la miseria dell’egocentrismo?
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