La stupenda favola di Richard Bach che ha fatto riflettere intere generazioni.
Devo confessarlo: non l’avevo ancora letto. E dire che leggo molto. Mentre riordinavo la mia
libreria (piuttosto fornita e zeppa di libri dei quali avevo persino dimenticato l’esistenza), mi è
ricapitato fra le mani. Il gabbiano Jonathan Livingstone! Eh sì, considerai, è ora che lo legga; in
fin dei conti è un libricino che si può leggere nel giro di quaranta minuti. Mi sono seduto in terra
fra le centinaia di libri sparsi e l’ho letto tutto d’un fiato. Mi è piaciuto.
L’autore è Richard Bach, che oltre ad essere uno scrittore è anche un pilota (qui si spiega la
dovizia dei particolari nei voli di Jonathan), ed ha anche pubblicato altri libri, quali “Biplane”,
Nothing by chance” e “Stranger by ground”. Molta della poesia che l’opera ispira è dovuta anche alle
numerose foto di gabbiani; un grazie al fotografo, dunque, Russell Munson, che oltre a occuparsi di
fotografia si occupa anche di aviazione. Niente da dire: il libro è bello davvero; non per nulla è
stato un best seller.
Il protagonista è Jonathan Livingstone, ed è un gabbiano. Ma è chiaro fin dalle prime battute che
nell’orizzonte del suggestivo simbolismo l’autore si riferisce all’uomo, a uno dei tanti, uno
qualunque che potrebbe essere benissimo uno di voi o io. Il nome è comune, un nome che da noi
potrebbe coincidere con un nostrano Mario Rossi. Jonathan è uno di noi comuni mortali, dunque, uno
che cerca, che vive la realtà d’ogni giorno. Uno della folla.
Ma anche se esternamente Jonathan sembrava un gabbiano come gli altri, qualcosa dentro lo
differenziava. Gli altri gabbiani passavano il loro tempo nella scia dei pescherecci aspettando la
misericordia di un pesce da mangiare; lui no. Aveva ben altri pensieri per la testa. “Più di ogni
altra cosa al mondo a lui piaceva librarsi in cielo.” Sì, la sua più alta aspirazione era quella di
imparare a volare alla perfezione, ma non per un meschino guadagno materiale, che so, quello di
riuscire a pescare meglio, bensì per il piacere di volare in sè. Tutto il resto gli sembrava
volgare, inutile.
“Ma perchè Jon,” gli diceva la madre, “non fai il bravo come tutti gli altri gabbiani? Lascia il
volo spericolato ad altri uccelli, e procurati del buon cibo. Ma guardati, sei ridotto a penne e
ossa.”
“Non importa se sono ridotto a penne e ossa, mamma,” gli rispose lui, “io voglio migliorarmi, volare
oltre ogni limite. Che vita è la mia se non conosco, se non imparo, se non scopro cose nuove?”
“Ma quale sapere, figlio mio,” gli disse con aria saggia il padre. “Studia la pappatoia e come
procurartela. Tra poco verà l’inverno e non sarà più così facile.” No. Jonathan non era proprio tipo
da accettare una simile filosofia di vita.
Orbene, vediamo quanto sia attuale questa scenetta. Quante volte nel passato l’abbiamo vista e
abbiamo sentito quelle parole. Quante volte noi stessi abbiamo sentito quelle paternali, coi nostri
genitori preoccupati unicamente che i loro figli abbiano il meglio dal punto di vista materiale. Del
buon cibo, una bella casa, una famiglia. Tanto per fare un esempio, vi ricordate i giovani degli
anni sessanta? Volevano cambiare un certo tipo di cultura al quale non volevano sottostare, non si
accontentavano dell’alienante tran-tran quotidiano; era un’esigente prepotente di sapere, di
conoscere, di indagare nei meandri dell’animo umano e della creazione. E i genitori che
raccomandavano di badare alla “pappatoia”, al mangiare, al posto in banca, allo stipendio sicuro, a
una qualche sistemazione sociale. Ma quanto futili sembrano queste cose agli uomini come Jonathan!
Per nulla convinto nonostante l’insistenza dei genitori, Jonathan continuò ad esercitarsi nel volo;
sempre più spericolato, sempre più pericoloso. E lo sappiamo: la via della conoscenza non è
facilmente percorribile, e ben se ne accorse Jonathan. Provò delle difficoltà, qualche momento di
sfiducia, il desiderio di smettere tutto lì, ma poi ancora sotto: migliorare, aumentare la velocità,
acquistare maestria nelle più astruse tecniche di volo.
Ci sono uomini che non si fanno irretire dalle attrazioni del materialismo e che intraprendono il
cammino della ricerca di se stessi. Ma questo è un sentiero irto di pericoli, di fatiche, e i
momenti di sconforto vengono, viene la sfiducia, e in quei momenti non si è più sicuri di potercela
fare. Poi coloro che sono sinceri riprendono la strada che conduce alla conoscenza del sè.
Nel suo stormo Jonathan diventò impopolare e fu crudelmente esiliato per aver voluto scoprire cose
che avrebbero disturbato il “quieto vivere” degli altri. Jonathan dovette partire, solitario e
reietto.
Nella società “i diversi” sono spesso guardati con diffidenza. “Cosa vuole fare, questo?” chiedono
con lo sguardo bieco. “Cosa mi vuole dimostrare? Ho impiegato tanto tempo per mettere a dormire
certe sciocche esigenze, certi pensieri futili, e ora cosa vuol fare questo, risvegliarmi tutto? No,
glielo impedirò.” La vita è fatta per mangiare, dormire, godere del piacere sessuale e difendere,
appunto, il mangiare, il dormire e il piacere, dicono i materialisti. Chi riesce a perfezionare e a
rendere poco difficoltoso il raggiungimento di questi fini è un uomo di successo. Poniamo il caso
che salti fuori qualcuno che dica: no, signori miei, non è vero, la vita è fatta per ben altre cose;
quanto disturbo darebbe un uomo simile. E’ qualcuno da mettere al bando. E quante maniere ci sono
per bandire persone del genere!
Così il gabbiano Jonathan Livingstone visse la sua vita in perfetta solitudine, incompreso dagli
altri. Si impegnò completamente nella studio della sua scienza preferita, diventando un campione in
ogni stile di volo.
Poi un giorno, quando oramai era diventato vecchio e stanco, incontrò due stupendi gabbiano
celestiali. “C’è ben altro ancora da imparare,” gli dissero, “vuoi saperne di più?” Cos’altro
aspettava se non di sentire queste parole uno come lui?
Un uomo alla Jonathan non spende la sua vita per le cose futili e temporanee. La vita scorre, è
breve, conviene usarla per capire chi siamo e da dove veniamo. Poi un giorno potrebbe anche
succedere che due splendidi angeli vengano a prenderci per mostrarci altri mondi, fatti di gioie e
conoscenza. La morte è paradossalmente al momento più importante della vita, perchè è in
quell’istante che si decide il futuro, quello vero, quello che ci vedrà protagonisti coscienti di
situazioni più vere e più durature.
Jonathan ottenne un corpo celestiale, col quale poté volare come mai avrebbe neanche sognato,
imparando, in quel luogo paradisiaco, a fare cose sempre nuove. Ma sentiva che neanche tutto ciò era
la verità e la perfezione ultima; c’era dell’altro. E fu il vecchio Ciang ad insegnargli come il
movimento fosse impedito dal concetto di tempo e di spazio, il quale è un concetto, un’idea, che
esiste nella dimensione materiale. Nel reame assoluto, gli disse, questi concetti sono assenti.
Doveva dunque distaccarsi dalla concezione corporale. E Jonathan, spirito inquieto e anelante a
sempre maggiori vette di perfezione nel volo, raggiunse anche la liberazione da ogni limite.
Secondo i Veda in questo universo ci sono pianeti molto evoluti, che tuttavia non sono pianeti
spirituali. La loro perfezione materiale è quasi totale, ma non sono ancora i pianeti assoluti, nei
quali non esistono limiti. Lo sapeva, il vecchio Ciang, uomo saggio che aveva saputo distaccarsi dai
legami con la materia fino al punto da non essere più attratto neanche alle perfezioni raggiungibili
grazie alla pratica dello yoga e alle gioie del paradiso. Un vero maestro spirituale è colui che
insegna il distacco dalle cose di questo mondo e la conoscenza dell’assoluto.
Grazie a Ciang, Jonathan Livingstone si liberò da ogni limite e conobbe la massima perfezione del
volo. Ma non si accontentò neppure di quello. Pensate: aveva raggiunto il massimo e non era ancora
contento. Cosa gli mancava? Pensate: voleva tornare nel mondo della dualità per insegnare quelle
meraviglie agli altri. Così ridiscese e subito trovò le prime anime inquiete.
In accordo ai Veda, un’anima veramente liberata sente la necessità di “salvare gli altri”, di
impegnarsi nell’opera di predicazione. In fin dei conti questo è ciò che fecero grandi personaggi
della religione e del pensiero, come Gesù, Maometto, Confucio, Caitanya e altri. Questo voleva fare
Jonathan. Ci sono diversi tipi di anime liberate, ma fra tutti i più grandi sono coloro che si
sacrificano per il bene degli altri.
Ma l’aver trovato un certo numero di anime inquiete e aver insegnato loro la perfezione non gli
bastava ancora. Accompagnato dai suoi discepoli, un giorno Jonathan decise di andare fra la massa,
di non restare isolato, di non insegnare solo ai pochi eletti. Lì mostrò a tutti quale meraviglia
sia volare veramente liberi da ogni limitazione. Ma non gli fu facile. La diffidenza era grande,
c’erano leggi che non permettevano ai diversi di disturbare gli equilibri e ci furono reazioni
violente. Ma alla fine venne il successo. Così tanta era la frustrazione e l’insoddisfazione che
regnava latente fra i gabbiani, che seguirono Jonathan in gran numero.
Gran finale: quando Jonathan vide tra i suoi discepoli qualcuno che potesse tramandare i suoi
insegnamenti, pensò che non c’era più bisogno di lui, lì: non quanto in altri posti. Lasciando
sgomenti i suoi discepoli, partì. Rimasero i suoi insegnamenti, la vera ricchezza di chi viene a
comunicare un messaggio di pace e di spiritualità.
E’ proprio così. La grande anima, il vero grande spiritualista prova un immenso piacere a insegnare
il suo messaggio alle masse; e quante anime sincere ci sono in questo mondo che seguiranno i suoi
insegnamenti?
Quanti Jonathan ci sono al mondo? Quanti di noi sono come lui? Dicono molti. E’ bello sapere che
tanta gente vuole imparare a volare sempre più in alto.
dal forum di www.isvara.org
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