(del Venerabile Ajahn Jayasaro)
– Parte quarta –
Il fattore più importante per lo sviluppo del samadhl; ossia di
qualità spirituali superiori, è la presenza mentale: la capacità
di fare attenzione a quel che facciamo e proviamo e di
ricordare o tenere a mente ciò che va tenuto a mente in ogni
data situazione. Ajahn Chah paragonava la pratica della
presenza mentale a una stanza con sei porte e una sedia. Se
ti metti seduto sulla sedia, chiunque entri nella stanza e
cerchi un posto a sedere non resta a lungo, perché l’unica
sedia è già occupata. Se c’è presenza mentale, qualunque
stato cercasse di imporsi alla mente non trova nulla su cui
sedersi.
Perciò presenza mentale significa assumersi la
responsabilità della propria vita, essere presenti, dare
attenzione, dare rispetto a tutto. La presenza mentale va
coltivata nei riguardi delle attività quotidiane. Per esempio, a
cosa pensate quando vi lavate i denti la mattina? Vi lavate i
denti o pensate a quello che farete dopo? E’ un buon
esempio di come ci manca la capacità di essere presenti. Se
c’è presenza mentale anche lavarsi i denti può essere
un’attività piacevole. Se ci alleniamo a essere attenti nel corso
della giornata, a essere consapevoli e sapere con chiarezza
cosa sta succedendo, troviamo che quando viene il momento
di sederci in meditazione è molto più facile, perché meditare
non è altro che coltivare la presenza mentale rispetto a un
determinato oggetto. Se conserviamo e nutriamo il potere
della presenza mentale durante il giorno, è più facile essere
presenti all’oggetto di meditazione quando siamo liberi e soli
con noi stessi.
Per coltivare la concentrazione bisogna avere la saggezza di
preferire di rimanere in contatto con l’oggetto di meditazione
piuttosto che lasciarsi andare a pensieri, ricordi, fantasie. Il
samadhi! può crescere solo quando c’è questa disponibilità a
stare con l’oggetto prescelto, questa contentezza con
I’oggetto che nasce dal vedere il valore della presenza
mentale e dalla disponibilità ad abbandonare il piacere che
troviamo in altri oggetti mentali. La mente che ha sviluppato la
concentrazione è tranquilla, in pace, gioiosa e potente. Il
ruolo importante del samadhi è di inibire temporaneamente le
reazioni abituali ai fenomeni.
La mente non allenata, la mente
che manca di semiidht, è sempre sottilmente in movimento,
attratta o respinta dai fenomeni. C’è sempre una reazione di
qualche tipo, grossolana o sottile. Solo quando è capace di
riposare in se stessa, la mente può smettere di reagire. E solo
quando quel movimento abituale si ferma, è in grado di
penetrare la natura dell’esistenza, le tre caratteristiche
dell’esistenza. Ecco perché il samadhi è il presupposto della
saggezza.
Ci sono fondamentalmente tre tipi di semèdhi. Nel primo la
mente è libera da ostacoli, da oscuramenti, e c’è una certa
dose di attività mentale che però non disturba la mente. Nel
secondo livello c’è assorbimento completo nell’oggetto e la
mente è completamente ferma, non c’è riconoscimento o
consapevolezza del corpo o del mondo esterno, la mente è
stabile e luminosa.
Il terzo livello è simile al primo, ma
intercorre quando la mente emerge dall’assorbimento e
riprende alcune delle sue funzioni più sottili. Il primo e il terzo
stadio sono quelli in cui è possibile coltivare vipassana o
panna. Il secondo è uno stato di riposo. Il suo valore consiste
nel dare alla mente un incredibile potere e intensità. Il terzo
stadio, sebbene simile al primo, è molto più adatto alla
coltivazione della saggezza.
Vorrei concludere questa serie di riflessioni sulla pratica del
Buddhe-siisene. la religione del Buddha, con una citazione
latina (che è più o meno tutto il latino che so): “C arpe diem” –
vale a dire, praticate ora!
– Domande e risposte –
D. Quale oggetto consiglia di usare per la concentrazione?
R. Il principio fondamentale del sernèdh! è mantenere l’atten-
zione su un unico oggetto: può essere il respiro, una parola,
un’idea (se è una buona idea, come ad esempio la gentilezza
verso tutti gl”i esseri). L’oggetto in sé non è così importante
quanto la capacità di mantenere su di esso l’attenzione
continuativamente per un lungo periodo. Il samadhi è il
risultato di un flusso ininterrotto di presenza mentale.
D. Secondo la morale cristiana c’è una gerarchia fra gli esseri
viventi per cui la condanna della violenza sembra applicarsi
solo nel caso in cui sia perpetrata contro esseri umani, e non
verso le altre creature. Nel Buddhismo sembra che non si
riconosca alcuna differenza, il che da un lato mi sembra
positivo, ma dall’altro mi crea qualche perplessità. Tutti gli
atti di violenza producono gli stessi risultati in termini di
kamma?
R. Anche nel Buddhismo si riconosce una gerarchia fra gli
esseri in termini di coscienza. Il Buddha diceva che è
estremamente difficile nascere come essere umano, che è
una rara e meravigliosa opportunità perché è la dimensione
in cui è possibile l’illuminazione. La moralità buddhista
poggia sul valore dell’intenzione. L’intenzione di uccidere un
essere vivente, non importa per quale ragione, costituisce in
ogni caso un kamma negativo. Ma la misura della sua
negatività sarà determinata dalle circostanze: ad esempio,
uccidere senza motivo o con crudeltà implica un kamma più
pesante che farlo per difendere se stessi o i propri figli. Il
precetto serve a ricordarci di cosa stiamo facendo e invitarci
ad assumere la responsabilità delle nostre scelte.
D. I termini ‘illuminazione’ e nibbana si riferiscono alla stessa
cosa o a cose diverse? In Tailandia è comune l’opinione che
il nibbana non sia accessibile in questa vita, almeno non per
tutti.
R. Secondo la mia comprensione, per’ nibbana’ si intende la
mente illuminata, la mente di un essere umano completa-
mente libera da avidità, odio e illusione, una mente pura,
dotata di saggezza e compassione illimitate. In questa stessa
vita l’arahant, il realizzato, ‘dimora’ nel nibbana, non è un
posto speciale dove andrà dopo morto.
D. Può chiarire il ruolo dei diversi livelli di samadhi che ha
menzionato?
R. Il primo e il terzo livello sono chiamati in lingua pali con lo
stesso termine: upacara samadhi Significa che la mente è
libera dai cinque ostacoli, la concentrazione è forte e senza
sforzo, c’è gioia e felicità nella mente. Se lo si coltiva, questo
stato porta a uno stadio dove l’attività mentale’ cessa e la
mente è come un piccolo mondo luminoso chiuso in sé,
senza rappresentazioni degli oggetti esterni. Poi la mente si
ritira da quello stato e torna all’ upacara, dove c’è un certo
livello di attività. Una questione molto dibattuta negli ambienti
buddhisti è se sia necessario coltivare il secondo stadio visto
che ai fini della vipassana, della saggezza, ciò che occorre è
l’upacara samadhi Il valore della quiete profonda è che
accresce il potere della mente, la sua forza di penetrazione,
quando upacara ricompare.
D. Può dire qualcosa sulle quattro nobili verità insegnate dal
Buddha?
R. La prima verità è una presa d’atto della situazione in cui ci
troviamo, la definizione del problema. La seconda riguarda
l’esplorazione delle cause e condizioni che tengono in vita il
problema per poterle abbandonare. Per riuscire, dobbiamo
avere in mente un obiettivo preciso – che è appunto il
superamento, o cessazione, della causa del problema – e un
metodo chiaramente definito, ossia l’ottuplice sentiero. La
cessazione – la terza verità – va realizzata; il sentiero – la
quarta verità – va messo in pratica. Fra le nobili verità, la
cessazione, o nibbana, sembra Ia più remota. Ma credo sia
molto importante saperla rapportare alla nostra vita
quotidiana. E’ assolutamente essenziale avere uno scopo
nella nostra vita, perché altrimenti ci manca un criterio su cui
misurare la validità delle nostre scelte. Ad esempio, se dal
monastero voglio andare a Roma e prendo la strada per
Firenze, se chiedo a qualcuno mi diranno subito che ho
sbagliato strada. Ma se invece voglio fare un giro in
macchina per la campagna, se chiedo “è la strada giusta?”
sarà difficile rispondere perché la meta è imprecisata. Lo
stesso vale per la nostra vita. Come decidiamo se una certa
cosa è giusta, appropriata, oppure no? Nel Buddhismo il
criterio è la cessazione della sofferenza, la cessazione delle
impurità mentali.
D. Il desiderio è sempre negativo?
R. Nel Buddhismo ci sono due modi di parlare del desiderio.
Il primo tipo si definisce tanha, ossia brama, sete; il secondo
è chanda, o dhammachanda, un desiderio assolutamente
essenziale per la nostra pratica ..
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