Felicità senza sofferenza

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Felicità senza sofferenza

di Urmila Devi Dasi

Possiamo trovare la felicità in questo mondo? Per la maggior parte di noi ciò che chiamiamo felicità
è una temporanea diminuzione della sofferenza o dell’infelicità. Prabhupada spiega: “L’interruzione
temporanea della causa della sofferenza ci fa pensare che stiamo godendo.” (Lezione tenuta a Tokyo
il 27 gennaio 1975) Nella visione materiale della vita la felicità non ha praticamente significato
senza l’infelicità. “Questo mondo materiale,” scrive Srila Prabhupada, “è il mondo della dualità e
non possiamo comprendere la felicità senza la sofferenza o la sofferenza senza la felicità. Perciò,
questo si chiama il mondo della relatività.” (Insegnamenti di Sri Kapila, Capitolo 7 verso 13)

Quindi tutto ciò che chiamiamo felicità dipende da una sofferenza precedente. Godiamo del cibo
perché sentiamo la sofferenza della fame; se non abbiamo fame o appetito, mangiare non ci darà alcun
piacere per quanto il cibo sia gustoso e ben preparato. Troviamo piacere nel dormire per la
sofferenza dovuta alla stanchezza; un bambino che non è stanco si ribella all’idea di andare a
letto. Il sesso dà piacere perché estingue temporaneamente il fuoco del desiderio sessuale. Godiamo
la compagnia degli altri per contrastare la nostra noia o la nostra solitudine. Un’altra
caratteristica del piacere in questo mondo è che diminuisce sperimentandolo.

Il grande saggio Narada spiega che la felicità materiale è come un fiore, attraente quando è fresco,
ma ripugnante quando è marcio (Srimad-Bhagavatam 4.29.54). Egli dice che tutti gli oggetti del
piacere materiale diventano insipidi (4.28.9). Prabhupada lo esprime così: “Gli argomenti materiali
appassiscono e non li si può ascoltare senza provare ben presto il desiderio di variare.” (Libro di
Krishna, Capitolo 13) Se mangiamo il nostro cibo preferito – diciamo la pizza – a colazione, a
pranzo e a cena, in pochi giorni, sicuramente in qualche settimana, non solo non troveremo più
piacere nella pizza, ma la detesteremo.

Una persona circondata sempre da buoni amici gradualmente cesserà di godere della loro compagnia e
desidererà stare un po’ da sola. Tutti i piaceri materiali devono dunque, essere interrotti ogni
tanto in modo da poter continuare a goderne. Prabhupada spiega: “Impegno materiale significa
accettare una particolare situazione per un certo periodo di tempo e poi cambiarla. Questo
alternarsi di ricerca del piacere e di rinuncia è tecnicamente detto bhoga-tyaga. Un essere vivente
non può rimanere in modo permanente nel godimento dei sensi o nella rinuncia.” (Il Nettare della
Devozione, Prefazione)

I nostri modelli di lavoro e di vacanza, mangiare e non mangiare e così via evidenziano questo ciclo
di piacere e rinuncia. Nessuna attività destinata al piacere darà la stessa felicità sempre, quindi
ci devono essere tempi di astensione per ravvivare il piacere originale, e anche se si pratica con
periodi d’intervallo, il piacere col tempo tende a diminuire.

Il Desiderio Innato di una Felicità Vera

Il nostro desiderio di una felicità non legata alla sofferenza o a periodiche rinunce indica che
questa felicità può esistere. Scriviamo, cantiamo e sognamo una felicità che duri per sempre, in un
crescendo d’intensità e di piacere, senza alcuna forma di sofferenza concomitante. Le nostre canzoni
d’amore sono piene di promesse di felicità eterna che aumenta col tempo e immaginiamo che passando
la vita a mettere insieme famiglia, cultura, denaro, cose e realizzazioni, il nostro senso di
soddisfazione e di felicità crescerà. Se una felicità senza fine e sempre crescente non esiste,
perché la cerchiamo? La risposta è che non siamo di questo mondo, ma che invece, come Sri Krishna
spiega nel Secondo Capitolo della Gita, siamo esseri spirituali eterni imprigionati in un corpo di
materia in un mondo di materia.

Il santo Rupa Gosvami spiega che il nostro patrimonio spirituale comprende una varietà di scambi
d’amore con Dio. Questi scambi sono pieni di un’estasi in costante espansione e continuano per
sempre senza traccia di sofferenza. Noi cerchiamo e glorifichiamo la posizione in cui tali scambi
esistono, perché essi fanno parte della nostra natura. Proprio come un animale della foresta nel
deserto desidera ardentemente ombra e acqua, così noi esseri spirituali desideriamo la felicità che
ci spetta per natura in questa Terra che ne è chiaramente priva.

La Vera Felicità è un Mito?

Naturalmente l’esperienza di una felicità passeggera legata alla sofferenza convince alcune persone
che tutti i tipi di felicità devono essere noiosi e sciocchi se non comprendono periodi
d’interruzione o di sofferenza. Non riescono ad immaginare, anche se molti di loro possono
desiderarlo in qualche misura, che un mondo perpetuamente felice potrebbe esistere o essere
interessante. Considerano la felicità spirituale un mito o qualcosa di noioso. Molte persone sante
come Sanatana Gosvami e Rupa Gosvami descrivono invece la felicità spirituale come dinamica e
variegata.

Questa felicità si basa su una relazione d’amore individuale con un Dio che è Persona ed è tuttavia
illimitato, Sri Krishna, il quale reciproca con ogni devoto in un’inesauribile varietà di modi, in
un’infinita varietà di attività trascendentali. Sanatana Gosvami nel suo commento al Capitolo
Tredicesimo del Decimo Canto dello Srimad-Bhagavatam scrive che Krishna ha innumerevoli qualità e
che ognuna delle innumerevoli anime è attratta da una particolare qualità del Signore.

La Varietà nella Felicità Spirituale

Nel Bhakti-rasamrita-sindhu Rupa Gosvami descrive alcuni tipi di felicità spirituale che sembrano
far parte della sofferenza – paura, dolore, ansietà e via dicendo. Grazie all’apparente similitudine
tra questi stadi avanzati di estasi e la comune sofferenza, possiamo fraintendere molte delle
attività più elevate del Signore con i Suoi devoti. Se esaminiamo i modi in cui le persone cercano
di essere felici nella vita materiale, possiamo capire come cose normalmente sgradevoli siano
piacevoli nel contesto degli scambi d’amore con Dio.

Per esempio, le persone che pagano per film e libri che li spaventano, li inquietano o perfino li
terrorizzano, trovano un certo piacere in queste sensazioni. Per quanto deviante e sfortunata sia la
ricerca della felicità che porta una persona a vedere un terrificante film dell’orrore, sta di fatto
che anche le persone materialiste cercano la felicità in una grande varietà di modi. Perché la
felicità spirituale dovrebbe essere priva di tale varietà?

Poiché il mondo materiale è un riflesso o un’ombra di quello spirituale, la felicità spirituale ha
molte più variazioni e sfumature di quella materiale. Esse accrescono in modo dinamico l’emozione di
coloro che amano Dio. In realtà, l’amore per Krishna anche in questo mondo può portarci a una vita
che la Gita descrive come un fremito di gioia ad ogni momento senza traccia d’infelicità.

Urmila Devi Dasi, redattrice associata di BTG, è laureata in Scienza dell’Educazione alla University
of North Carolina a Chapel Hill. “Learn to Read” della dottoressa Best è il suo libro diviso in tre
parti per insegnare a leggere ai bambini. È disponibile al Krishna. Com Store.

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