Individuata una nuova variante genetica che favorisce dormite brevi e ristoratrici, senza
conseguenze negative per la salute. Si pensa sia emersa in un passato evolutivo recente.
Svegli e attivi al canto del gallo? Ringraziate i vostri geni.
02 SETTEMBRE 2019 | ELISABETTA INTINI
Perché molte persone si sentono stordite se saltano una soltanto delle canoniche 8 ore di sonno,
mentre alcuni si rigenerano con una dormita di 5 ore? La risposta sarebbe da cercare nei geni. Un
gruppo di scienziati dell’Università della California a San Francisco ha rintracciato una variante
genetica che sembrerebbe favorire il “sonno breve”: sessioni di appena 4-6 ore per notte,
perfettamente ristoratrici.
Il sonno non è semplice da studiare, perché lo alteriamo di continuo con sveglie, caffè, luci
artificiali e pillole per dormire. Come alcuni riescano a funzionare normalmente dormendo poco è
rimasto un mistero fino al 2009, quando lo stesso gruppo di scienziati guidato da Ying-Hui Fu scoprì
che chi presenta una certa mutazione a carico del gene DEC2 si accontenta in media di 6,25 ore di
sonno a notte. A chi non ce l’ha, servono 8,06 ore.
I MATTINIERI? DEI MUTANTI. Fu la prima prova del contributo dei geni nella regolazione dei ritmi
circadiani e – forse – soltanto la punta dell’iceberg. Di recente, Fu e colleghi hanno infatti
incontrato una famiglia in cui il “sonno breve” interessa tre generazioni, ma nella quale nessuno
presenta la mutazione del gene DEC2. Dalle analisi è emersa invece un’altra mutazione, stavolta a
carico del gene ADRB1, che codifica per un recettore della noradrenalina, un importante
neurotrasmettitore.
Quando il team ha studiato ratti geneticamente modificati per ospitare la stessa mutazione, si è
visto che gli animali dormivano in media 55 minuti in meno al giorno. La mutazione si accompagnava
inoltre a un’alterata attività dei neuroni nella parte dorsale del ponte, una struttura del tronco
encefalico (che si trova alla base del cervello, in continuità col midollo spinale).
SUBITO PRONTI. Nei ratti senza mutazione, i recettori che esprimevano il gene ADRB1 apparivano
attivi durante la veglia e inattivi durante il sonno profondo. Stimolando queste cellule, i ratti in
sonno profondo si svegliavano immediatamente. Ma nei ratti “mutanti”, queste cellule sembravano
ancora più attive durante la veglia, e allo stesso tempo più facilmente sollecitabili. Sembrerebbe
che la mutazione sul gene promuova il sonno breve perché aiuta a costruire cervelli più facili da
svegliare, e che rimangono svegli più a lungo.
SOLTANTO UN VANTAGGIO. Dato importante, queste caratteristiche genetiche non sono associate agli
effetti negativi sulla salute che di norma interessano chi dorme troppo poco. Chi le possiede è in
genere soddisfatto del proprio sonno e trova il modo di sfruttare il tempo extra a disposizione.
Secondo gli scienziati, è possibile che le mutazioni studiate siano un retaggio recente
dell’evoluzione. A lungo le 8 ore di sonno per notte sono state la norma (oggi gli esperti ne
consigliano almeno 7), ma è possibile che questi tratti siano emersi da poco e che rappresentino una
sorta di vantaggio evolutivo acquisito. In futuro sarà forse possibile sviluppare farmaci che
imitino gli effetti di queste varianti. O che rendano sopportabili anche le sessioni di riposo più
“ristrette”.
www.cell.com/neuron/fulltext/S0896-6273(19)30652-X#fig1
da focus.it
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