Galilei, Galileo

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Galilei, Galileo

Note biografiche

a cura di Maria Agostinelli

Galileo Galilei nacque a Pisa il 15 febbraio 1564 da Giulia Ammannati e Vincenzio Galilei, entrambi
appartenenti alla media borghesia. Vincenzio, nato a Firenze nel 1520, ex liutista ed ex insegnante
di musica, in passato era entrato in conflitto con la tradizione classica che attribuiva la
consonanza tra tutti i suoni al controllo delle proporzioni numeriche ed aveva proposto idee proprie
al riguardo.

Era quindi ferrato in matematica, ma, intuendo le difficoltà pratiche che la professione di
matematico presentava, spinse il figlio a studiare medicina proprio come un loro avo, quel Galileo
Bonaiuti che nel XV secolo si era distinto nell’esercizio dell’arte medica ed in onore del quale un
ramo della famiglia aveva preso il nome di Galilei. Galileo compì i primi studi di retorica,
grammatica e logica nel monastero camaldolese di Vallombrosa ed entrò a far parte dell’ordine come
novizio.

La decisione non poté che contrariare Vincenzio, il quale, nutrendo appunto ben altri progetti per
il figlio, lo fece tornare a Pisa e lo fece iscrivere a Medicina. I corsi della facoltà vertevano su
Galeno e sui libri di scienza naturale di Aristotele, che costituirono i principali oggetti di
critica da parte del giovane Galileo, sempre più attratto dalla matematica e dalla filosofia e
sempre meno produttivo in veste di studente di medicina. Nel 1583 vi fu il suo incontro con Ostilio
Ricci, un matematico probabile allievo di Tartaglia. Ricci era aggregato alla corte di Toscana e
teneva le sue lezioni in volgare, come in volgare era scritto il testo di Euclide su cui basava i
suoi corsi.

Si trattava infatti della traduzione che ne aveva fatta lo stesso Niccolò Tartaglia, il quale, a
differenza delle versioni latine, aveva chiarito la discrepanza esistente tra la teoria delle
proporzioni di Eudosso e quella dell’aritmetica medievale, un chiarimento che si rivelò fondamentale
per la formazione di Galileo. Le sue prime indagini nel campo della fisica lo portarono, tra l’83 e
l’86, a determinare il peso specifico dei corpi tramite un congegno chiamato ‘bilancetta’, simile ad
un utensile già in uso presso i mercanti orafi. Nell’88 diede anche una prova della propria
erudizione letteraria con delle lezioni su Dante tenute presso l’Accademia fiorentina.

Nell’89, nonostante non si fosse laureato, grazie alla stima ed alla fama che si era guadagnato
presso certe frange del mondo accademico ottenne la cattedra di Matematica all’Università di Pisa,
un lavoro che gli assicurò l’indipendenza economica dal padre. A Pisa Galileo rimase 3 anni, durante
i quali scoprì la legge di caduta dei gravi. Ma il periodo più sereno e fruttuoso della sua vita lo
passò come insegnante di matematica presso l’Università di Padova, dove si trasferì nel 1592 e dove
rimase per 18 anni. Qui continuò i suoi studi di meccanica e di astronomia, nell’ambito della quale
abbracciò la teoria copernicana.

Dal 1609 cominciò a perfezionare ed usare il cannocchiale come strumento per le osservazioni
astronomiche. Il cannocchiale non era un’invenzione di Galileo (artigiani olandesi e italiani ne
avevano già approntati diversi tipi) ma i miglioramenti che lo scienziato vi apportò inaugurarono
l’epoca delle grandi scoperte astronomiche, di cui lo stesso Galilei diede annuncio nel Sidereus
Nuncius (Ragguaglio astronomico) del 1610. I 4 maggiori satelliti di Giove, le montagne ed i crateri
della Luna, le macchie solari, furono fenomeni fino ad allora sconosciuti che destarono meraviglia
ed ammirazione tanto nel mondo accademico (Keplero riconobbe e confermò l’importanza delle scoperte
di Galilei), quanto in certo ambiente politico (Cosimo dé Medici lo nominò matematico dello studio
di Pisa), ma anche ostruzionismo ed astio da parte delle gerarchie ecclesiastiche (in particolare
del cardinale Bellarmino) e degli aristotelici.

Nel 1616 il Sant’Uffizio mise all’indice sia la cosmologia copernicana, sia le opere di Galileo, il
quale venne convocato a Roma per giustificare le sue opinioni. Qui il suo tentativo di difendere le
concezioni astronomiche copernicane (e le proprie) in quanto inoffensive nei confronti della Bibbia,
venne respinto e lo scienziato fu intimato a non professarle più. Galileo continuò tuttavia ad
approfondire ed ampliare i suoi studi e, nel 1623, compose in volgare il Saggiatore, nel quale
polemizzava con il padre gesuita Orazio Grassi riguardo alla natura delle comete e a problemi di
ordine metodologico. Sempre nel ’23 salì al soglio pontificio Urbano VIII, un Barberini che si era
dimostrato disponibile nei suoi confronti, tanto che proprio all’ex cardinale, spirito illuminato ed
aperto ai discorsi scientifici, Galileo aveva dedicato il Saggiatore.

Nel 1632 pubblicò il Dialogo sopra i 2 massimi sistemi del mondo, un testo fondamentale per la
scienza moderna in cui Galileo, sotto un’apparente neutralità, dava risalto all’astronomia
copernicana a discapito di quella tolemaica. A causa dell’influenza di alcuni padri gesuiti, Urbano
VIII ebbe allora un’involuzione e, nel 1633, Galileo venne processato a condannato al carcere a vita
dal Sant’Uffizio, una pena da cui poté salvarsi solo abiurando le sue teorie. Il carcere a vita fu
così commutato in isolamento, che Galileo scontò prima nel palazzo dell’Arcivescovado di Siena e poi
nella sua villa di Arcetri.

Morì a Firenze l’8 gennaio 1642, circondato da pochi allievi e nella quasi totale cecità. Galileo
Galilei è stato formalmente assolto dall’accusa di eresia solo nel 1992, trecentocinquanta anni dopo
la sua morte.

Note biografiche a cura di Maria Agostinelli

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