Gesù e Buddha

pubblicato in: AltroBlog 0

Gesù e Buddha

Tratto da:
Thich Nhat Hanh
IL BUDDHA VIVENTE
IL CRISTO VIVENTE

NERI POZZA EDIZIONE
TITOLO ORIGINALE
LIVING BUDDHA, LIVING CRISTO
TRADUZIONE DI FRANCESCO BRUNELLI

Entrare in comunione con il Cristo vivente

Quando invochiamo il nome del Buddha, evochiamo le stesse qualità del Buddha
in noi stessi. Ci dedichiamo alla pratica per
far sì che il Buddha diventi vivo dentro di noi, così da poter avere
sollievo dalle afflizioni e dagli attaccamenti. Ma
diverse persone che invocano il nome del Buddha lo fanno senza cercare
veramente di raggiungere i semi del Buddha in loro
stesse.

Si racconta la storia di una donna che invocava il nome del Buddha centinaia
di volte al giorno senza mai attingere
l’essenza di un Buddha. Dopo una pratica di dieci anni, traboccava ancora di
collera e irritazione. Il suo vicino osservava
la circostanza e un giorno, mentre ella stava invocando il nome del Buddha,
bussò alla sua porta e gridò: “Signora Ly,
aprite la porta!”. La donna era molto seccata d’essere disturbata, suonò la
sua campana molto forte affinché il vicino
udisse che stava salmodiando e smettesse di disturbarla. Ma costui
continuava a chiamarla: “Signora Ly, signora Ly, signora
Ly, ho bisogno di parlarvi”. La donna s’infuriò, gettò la sua campana a
terra e scalpitò verso la porta esclamando: “Non
vedete che sto invocando il nome del Buddha? Perché m’importunate ora?”. Il
vicino replicò: “Ho chiamato il vostro nome
solo dodici volte e guardate come siete andata in collera. Immaginate come
debba essere in collera il Buddha dopo che avete
invocato il suo nome per dieci anni!”.

I cristiani possono fare esattamente come la signora Ly se seguono soltanto
meccanicamente i rituali o pregano senza essere
veramente presenti. Ecco perché sono stati spronati dai maestri cristiani a
praticare la “Preghiera del Cuore”. Nel
cristianesimo, come nel buddhismo, molte persone nella loro pratica
ottengono poca gioia, sollievo, distensione,
liberazione o grandezza d’animo. Anche se continuano per centinaia d’anni in
quel modo, non entreranno mai in comunione con
il Buddha vivente o il Cristo vivente. Se i cristiani che invocano
il nome di Gesù sono presi solamente dalle parole, possono perdere di vista
la vita e l’insegnamento di Gesù. Praticano
solo la forma non la sostanza. Quando praticate la sostanza, la mente vi si
schiarisce e raggiungete la gioia. I cristiani
che pregano Dio devono anche apprendere a fondo l’arte di vivere del Cristo
se vogliono penetrare nei suoi insegnamenti. È
annaffiando i semi delle qualità ridestate che sono già in noi, praticando
la consapevolezza, che entriamo in comunione con
il Buddha vivente e il Cristo vivente.

La luce che rivela

Quando Giovanni Battista aiutò Gesù a entrare in comunione con lo Spirito
Santo, il Cielo si aprì e lo Spirito Santo scese
come una colomba e penetrò nella persona di Gesù. Egli si recò nel deserto e
per quaranta giorni si esercitò a rafforzare
lo Spirito dentro di Sé. Quando in noi germoglia la consapevolezza, dobbiamo
continuare a praticarla se vogliamo
consolidarla.

Ascoltando veramente il canto di un uccello o osservando veramente un cielo
azzurro, tocchiamo il seme dello
Spirito Santo dentro di noi. Per i bambini non è molto difficile riconoscere
la presenza dello Spirito Santo. Gesù diceva
che per entrare nel regno di Dio dobbiamo farci fanciulli. Quando l’energia
dello Spinto Santo è in noi, siamo veramente
vivi, siamo capaci di comprendere l’altrui sofferenza e motivati dal
desiderio di contribuire a trasformare la situazione.
Quando l’energia dello Spirito Santo è presente, sono presenti il Padre e il
Figlio.

Discutere di Dio non è il migliore uso che possiamo fare della nostra
energia. Se entriamo in contatto con lo Spirito
Santo, ci accostiamo a Dio non quale concetto bensì quale realtà vivente.
Nel buddhismo non parliamo mai del nirvana,
perché nirvana significa estinzione completa di nozioni, concetti, discorsi.
La nostra pratica consiste nell’attingere la
consapevolezza in noi stessi sedendo in meditazione, camminando in
meditazione, mangiando consapevolmente e così via.
Osserviamo e apprendiamo a occuparci del corpo, del respiro, delle
sensazioni, degli stati mentali e della coscienza.
Vivendo nella consapevolezza, diffondendo la luce della nostra
consapevolezza su tutto ciò che compiamo, entriamo in
contatto con il Buddha e la nostra consapevolezza cresce.

La consapevolezza è il Buddha

Il Buddha fu un essere umano che si risvegliò e, di conseguenza, non fu più
incatenato alle numerose afflizioni della vita.
Ma allorché alcuni buddhisti affermano di credere nel Buddha, esprimono la
loro fede nei meravigliosi Buddha universali,
non nell’insegnamento o nella vita del Buddha storico. Credono nella
magnificenza del Buddha e ritengono che sia
sufficiente. Ma di estrema importanza sono gli esempi delle vite reali del
Buddha e di Gesù, perché quali esseri umani essi
vissero in modi che anche noi possiamo vivere.

Quando leggiamo: “Il cielo si aperse e lo Spirito Santo scese su di Lui come
una colomba”, possiamo renderci conto che

Gesù era già illuminato. Era in contatto con la realtà della vita, la
sorgente della consapevolezza, della saggezza e della
comprensione nel Suo intimo, e ciò Lo rendeva diverso dagli altri esseri
umani. Quand’Egli nacque nella famiglia di un
falegname, era il Figlio dell’Uomo. Quando aperse il Suo cuore, Gli venne
aperta la porta del Paradiso. Lo Spirito Santo
discese su di Lui come una colomba, ed Egli si manifestò come il Figlio di
Dio: santissimo, sapientissimo e grandissimo. Ma
lo Spirito Santo non è un’esclusiva di Gesù: è per tutti noi. Secondo una
prospettiva buddhista, chi non è figlia o figlio
di Dio?

Sedendo sotto l’albero della Bodhi, innumerevoli, magnifici e santi semi
sbocciarono ulteriormente nel Buddha. Egli
era umano ma, al tempo stesso, si fece espressione del più elevato spirito
dell’umanità. Quando siamo in contatto con il
più elevato spirito in noi stessi, anche noi siamo dei Buddha, ricolmi di
Spirito Santo, e diveniamo molto tolleranti,
molto aperti, molto profondi e molto comprensivi.

Più porte per le generazioni future

Matteo descrive il Regno di Dio come fosse un minuscolo granello di senape.
Ciò significa che il seme del Regno di Dio è
dentro di noi. Se sappiamo come piantarlo nel terreno umido delle nostre
vite quotidiane, quel seme crescerà e diverrà un
grande arbusto su cui molti uccelli potranno trovare rifugio. Non dobbiamo
morire per giungere alle porte del Paradiso.

Dobbiamo invece vivere veramente. La pratica consiste nello stare in
profondo contatto con la vita in modo tale che il
Regno di Dio divenga una realtà. Non è questione di devozione, si tratta di
una questione di pratica. Il Regno di Dio è a
disposizione qui e ora. Numerosi passi dei vangeli confortano questa
visione. Leggiamo nel Padre Nostro che non andiamo nel
Regno di Dio, ma che è il Regno di Dio a venire da noi: “Venga il Tuo
regno…”. Gesù disse: “Io sono la porta”. Egli
descrive Se stesso come la porta della salvezza e della vita eterna, la
porta del Regno di Dio. Poiché Dio il Figlio è
fatto dell’energia dello Spirito Santo, è per noi la porta d’ingresso al
Regno di Dio.

Anche il Buddha viene descritto come una porta, un maestro che ci mostra la
via in questa vita. Nel buddhismo una simile
porta speciale è tenuta in profonda considerazione, perché quella porta ci
permette di entrare nel regno della
consapevolezza, dell’amorevolezza, della pace e della gioia. Si dice che
esistano ottantaquattromila porte del Dharma,
porte dell’insegnamento.

Se siete abbastanza fortunati da trovare una porta, non sarebbe molto
buddhista affermare che la
vostra è l’unica. In realtà, dobbiamo aprire un numero ancor più grande di
porte per le generazioni future. Non dovremmo
temere un maggior numero di porte del Dharma: se mai dovremmo temere che non
se ne aprano più. Sarebbe un peccato per i
nostri figli e i loro figli se ci ritenessimo soddisfatti con soltanto
ottantaquattromila porte già disponibili. Ciascuno
di noi, con la sua pratica e la sua amorevolezza, è in grado di aprire nuove
porte del Dharma. La società è in evoluzione,
la gente cambia, le condizioni economiche e politiche non sono le stesse dei
tempi del Buddha o di Gesù. Il Buddha fa
assegnamento su di noi perché il Dharma continui a svilupparsi come un
organismo vivente, non un Dharma superato ma un
autentico Dharmakaya, un vero “corpo della dottrina”.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *