Giudizio e amore
di Roberto Luogo
A volte il sentiero spirituale mi offre molta dolcezza. Può capitarmi
di immergermi dentro di me e scoprire un luogo protetto e felice in
cui entrare, come una pozza d’acqua tranquilla. Luogo da cui poi esco
ritemprato e riconciliato con tutto. Luogo caldo, al centro
dell’universo, dove non c’è una risposta specifica per ogni domanda,
ma la consapevolezza che questa risposta non occorra. L’idea che,
anche se dopo cinque minuti la paura tornerà, sono comunque già salvo,
mi perdessi ancora per mille anni. E non avrò perso nulla lo stesso.
Luogo in cui, una volta arrivato, ho la sensazione che mi era sempre
appartenuto e che non avevo mai abbandonato.
Altre volte, invece, c’è aridità. Nel silenzio non compare nulla.
Allora ho paura di sparire, di annullarmi senza avere nulla in cambio,
perdere tutto senza trovare il ‘tesoro’.
Ma perché il silenzio può essere così vuoto del suo tesoro?
Forse perché non è vero silenzio, non è lasciare tutto. La meditazione
allora diventa uno dei tanti puntelli dell’io: “Sono una persona
ordinata che fa tante cose, anche la meditazione, e questa mi aiuta e
mi protegge”.
Ma quando mi riesce, anche nell’aridità, di continuare fiducioso ad
amare, a inviare il sorriso dell’anima, cioè la metta, a questo
mistero che mi sta dentro, che è davanti al mio sguardo, quando riesco
a inglobare nella fiducia anche il dubbio che accompagna l’aridità,
trovo nuovamente, al di là del velo, l’amico di tanti incontri.
Ma cosa mi ostacola dal trovarlo ogni giorno? A me sembra che
l’ostacolo sia nel giudizio, nella sensazione di sentirmi indegno di
amore. E se decido di amare lo stesso, nonostante e accanto al
giudizio, se decido di amare senza sentire amore, se decido di inviare
metta a me, agli altri e a tutte le cose e a quel tutto di indefinito,
pur sentendomi indegno e arido e freddo ed escluso, allora il cerchio
si chiude. L’amore torna a se stesso, da chi da sempre, sin dal primo
minuto, lo aspettava, e mai nemmeno per un attimo si era nascosto.
Quest’unione calda mi sembra diversa da un semplice volermi bene o
essere soddisfatto di me, ed è più ampia del semplice piccolo me,
almeno come me lo figuro di solito, perché smetto di sentirmi solo, è
come se finalmente stessi in compagnia.
Penso che il silenzio non nasca dalla pulizia dal chiacchiericcio
mentale. Penso che la pace nasca dalla fermentazione di ciò che c’è, e
non da una condizione asettica. Mi accorgo che la pace dentro è stare
dalla parte propria, è proteggersi così come si è, è sorridersi come
si vorrebbe che tutti ci sorridessero. Se anche tutti ci sorridessero,
ma noi non ci sorridessimo dentro, sentiremmo ugualmente un gran
vuoto.
Il vuoto resta finché non lo riempiamo noi. Ma riempire e accogliere
sono un tutt’uno: io sono colui che riceve e colui che dà, siamo due e
uno allo stesso tempo.
Mentre cerco pace e tranquillità per il mio piccolo io, in realtà sono
disperato. Ma se accetto di ricevere pace e tranquillità, sto già bene
fin d’ora. E se mi accorgo che c’è qualcuno o qualcosa dentro che mi
sta consolando e, dolcemente, in uno straordinario cambio di
prospettiva, divento quel qualcuno che consola
allora non occorre più
veramente ricevere quei doni. Il vero dono è donarsi la pace, ancor
prima di riceverla.
Se osservo amando, posso guardare gli altri e me stesso sotto la
stessa luce. E pian piano divento questo osservatore silenzioso e
paziente, che tutto guarda, tutto ascolta, e sempre ricomincia da
capo. Questo osservatore di tutto è curioso con calma, per ogni cosa è
certo ci sarà una soluzione, sicuro che questa verrà da sé, essendo la
naturale conseguenza delle cose.
Se giudico, invece, voglio dominare, pretendo che le cose siano in un
certo modo, temo che qualcosa vada storto. Allora torno al grande
problema, alla mia mente divisiva e giudicante.
A lungo l’ho schivata, non l’ho voluta incontrare. Poi, in una seconda
fase della mia pratica, ho creduto di doverla affrontare con coraggio
ed eroismo.
Ma ora pian piano affiora qualcosa di diverso. Il mostro da abbattere
probabilmente non c’è. È un bambino travestito o un vecchietto
nascosto dietro un ingegnoso macchinario, proprio come in realtà era
il temuto e potente mago di Oz della fiaba. La mente giudicante è
solo una parte sofferente la più sofferente di questa misteriosa
realtà in cui quotidianamente mi identifico. E il mio compito è
soltanto quello di accompagnarla lentamente per mano a sorridere.
Nasce da un vuoto d’amore. L’amore può guarirla
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