Gli aforismi di Patanjali sullo yoga 2f

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Gli aforismi di Patanjali sullo yoga 2f

(di Swami Veetamohananda)

– Parte seconda, e fine –

Malgrado non possegga una luce propria, la mente sembra essere luminosa.
Benche’ sembri conoscere, il mentale non e’colui che sa, ma soltanto lo
strumento della conoscenza. E’ grazie e solamente alla coscienza che esso ne
rappresenta lo strumento.

Assumiamo la nostra esperienza come esempio. Sappiamo che la nostra mente
rimane distinta dai nostri organi e dal nostro corpo. Possiamo pensare,
essere sensibili, volere, immaginare, ricordarci, gioire, rimpiangere..e
tutto ciò senza utilizzare i nostri dieci organi. Il fatto non prova che
esiste uno strumento interiore distinto, che serve a rendere possibili le
suddette funzioni?

L’Upanishad Brihadaranyaka spiega:

Si dice: ” La mia mente era altrove..non l’ho visto” – oppure: ” La mia
mente era altrove, non l’ho sentito”. E’ attraverso la mente, allora, che si
vede e si sente. Il desiderio, la determinazione, il dubbio, la fede e la
volonta’ di aver fede, la stabilita’ e l’instabilita’, la vergogna,
l’intelligenza e la paura, tutto cio’ altro non e’ che la mente. Persino
quando si provano emozioni si sa, in qualche modo, che lo si fa attraverso
la mente. Ecco perche’ essa esiste.

Essa ha il potere di farci rivolgere verso il suo interno.Come, difatti, ben
sapete noi possiamo analizzarla e vederne ogni processo.

La psicologia indiana accorda al mentale tre costituenti, tre livelli,
quattro funzioni e cinque condizioni

I tre costituenti.

Risulta evidente che la mente non si trova sempre in uno stato uniforme. Il
fatto e’ dovuto a tre forze indipendenti, chiamate i gunas: sattwa, rajas e
tamas. Qualita’ che ritroviamo, poi, nei costituenti basilari dell’intero
universo fisico e mentale.

Sattwa rappresenta il principio di equilibrio, che conduce alla purezza,
alla conoscenza ed alla gioia.

Rajas e’ il principio di mobilità, che trascina verso l’azione, il desiderio
e l’agitazione.

Tamas e’ invece il principio di inerzia, il cui effetto e’ l’inattivita’, la
passivita’, la menzogna.

Tamas costringe la mente a involversi verso un livello inferiore. Rajas la
rende dispersiva ed agitata. Sattwa le fornisce una direzione superiore.

Panchadaci definisce molto bene gli effetti dei gunas.

” Il non-attaccamento, la capacita’ di perdonare, la generosita’, ecc.. sono
prodotti da Sattwa.

Il desiderio, la collera, l’avarizia, ecc., da Rajas.

La letargia, la confusione, la sonnolenza, ecc.., da Tamas.

Quando e’ sattwa a predominare nella mente si acquisisce del merito. Quando
lo fa rajas, nasce del demerito. E quando entra in azione tamas, non si
produce ne’ merito, ne’ demerito, e la vita intera viene sciupata in un
nulla di fatto.

La mente individuale viene orientata dalle differenti combinazioni e
permutazioni di questi tre gunas. Ed ecco cosa giustifica le diversita’
esistenti tra gli uomini e la natura mutevole di essa.

Non affermiamo spesso: “Ho cambiato parere”?

E come sarebbe possibile cio’ se la natura della mente fosse fondata solo
sull’unitarieta’? Le persone , allora, rimarrebbero per l’intera vita
identiche a come si trovavano alla nascita.Non apparirebbe alcuna
intelligenza superiore, brillante, o inferiore.

I tre livelli.

I termini “coscio” e “inconscio” ci sono famigliari. Indicano i diversi
livelli in cui opera la mente. Nel livello cosciente ogni azione e’
solitamente accompagnata dal sentimento di egoismo. Nel piano subconscio e’
assente il senso dell’egoismo.

Un livello superiore nel quale la mente riesce ad esprimersi – e che e’ ben
conosciuto dagli yoghi – e’ quello del super-conscio.

Anche qui il senso dell’egoismo rimane assente, poiche’ essa si trova al di
sopra della coscienza relativa.

Tuttavia, esiste un enorme differenza tra lo stato supercosciente e quello
subconscio.

Quando gli stati mentali passano oltre il livello della coscienza relativa,
essi fluiscono nella supercoscienza; ossia, nel samadhi.

Qui, la mente si ritrova nel suo stato più originale.

Codesti tre stati, tre piani – conscio, subconscio e superconscio –
appartengono tutti ,alla natura mentale. Sono i tre livelli attraverso i
quali essa evolve.

Le quattro funzioni.

Nel suo aspetto funzionale, il mentale possiede quattro facolta’: manas,
buddhi, ahamkara e chitta.

Manas e’ la precipua modificazione dello strumento interno (antahkarana),
che analizza i pro ed i contro di ogni situazione.

Buddhi e’ la modificazione dello strumento interno, che possiede una
facolta’ di determinazione.

Chitta e’ la modificazione dello strumento interno, che agisce da memoria.

Ahamkara e’ la modificazione dello strumento interno che possiede la
caratteristica dell’autocoscienza.

Le quattro caratteristiche intervengono in qualunque funzione percettiva
esteriore. Si seguono e si stabilizzano con potere istantaneo.

Il mentale si manifesta attraverso cinque condizioni: disperso, oscuro,
raccolto, unificato e concentrato.

Ascoltiamo i chiarimenti di Swami Vivekananda:

” La forma dispersa e’ attività. Essa tende a manifestarsi sotto l’aspetto
del piacere o del dolore. La forma oscura e’ debolezza, che spinge verso il
male. Nella forma raccolta la mente lotta per darsi una centralita’…”

Il commentatore sa che il terzo aspetto esaminato e’ pertinente agli dei ed
agli angeli; mentre, il secondo appartiene ai demoni.

La forma unificata appare quando la mente tende a concentrarsi, e la forma
concentrata e’ quella che conduce al samadhi.

Le condizioni medie della mente sono l’oscurita’ e la dispersione.

Nell’oscurità, ci si sente appannati e passivi. In quello disperso,
agitati.

Ma, attraverso la disciplina yoga, la mente riesce a divenire “unificata” e
“concentrata”.

Un manager industriale dalla mente concentrata riuscira’ a fare prosperare
i suoi affari. Un musicista senza la mente concentrata non riuscira’ ad
esprimersi nelle migliori condizioni; uno scienziato necessita assolutamente
di questa condizione per giungere alle sue grandi scoperte. Ed e’ soltanto
attraverso la pratica e lo sviluppo della meditazione che la mente potra’
raggiungere lo stato di pura concentrazione. In tal caso, e solo in tal
caso, la supercoscienza potra’ venire toccata.

Senza dubbio, sarete interessati a sapere cosa accade realmente in colui che
ha raggiunto lo stato di supercoscienza: il samadhi.

Il primo effetto – quando si realizza tale stato – e’ di sentirsi al di
sopra dei bisogni che l’attività patogena del corpo produce.

Infatti, ogni tendenza al compiacimento fisico svanisce per incanto. Si vive
una gioia incommensurabile; la gioia che scaturisce dalla liberazione
definitiva dalla schiavitu’ del corpo.

Le Upanishad dicono: ” Ogni nodo del cuore viene sbriciolato, ogni dubbio
svanisce, gli effetti delle azioni sono annichiliti, una volta che egli ha
visto Dio, la piu’ alta di ogni vetta.”

Quando sentiamo dire che la felicità della Realizzazione puo’ venire
misurata, ebbene abbiamo in diritto di chiederci in che grado cio’
corrisponda al vero

Nelle Upanishad Taitteriya, un calcolo ed una misura della felicita’ di
Brahman sono cosi’ descritti:

” Immaginate un giovane uomo, dotato di tutta la conoscenza; il migliore dei
sovrani, dal corpo sano e dallo spirito forte, e supponete che egli possegga
il mondo intero con ogni sua ricchezza. Cio’ vi dara’ la misura della
felicita’ umana.

E questa felicita’ umana, moltiplicata per cento volte, da la misura della
felicita’ dei gandharvas (i super-uomini)…”

E l’Upanishad prosegue, moltiplicando le felicità…e conclude:

” Colui che risiede, qui, nell’uomo e abita, la’, nel sole, sono Uno. Chi
conosce questa verita’ ha raggiunto la felicità eterna.”

Dopo di cio’ si potra’ avere una idea dell’estensione, della profondita’ e
dell’intensita’ di quanto prova uno yoghi perfetto e felice.

Ma, non ci spaventa questo stato di coscienza invisibile ed immaginata?

La morte non ci insegna a perdere tutto cio’ che possediamo? Si’, e’ proprio
qui il timore dell’uomo non illuminato.

Tuttavia, chi conosce il reale e’ del tutto libero da ogni tipo di paura.
Un’assenza di timori assoluta, indistruttibile.

L’Upanishad afferma: ” Egli diviene un essere senza alcuna paura, perche’
ha ottenuto una nicchia in quel supporto privo di supporti, invisibile,
incorporeo, indefinibile..”

Tra tutti noi, qualcuno certamente esiste che non sia particolarmente
interessato alla vita spirituale. Egli preferisce perseguire
intelligentemente lo scopo del massimo profitto nella sua esistenza. Ebbene,
se, malgrado tutto, egli proseguira’ i suoi sforzi sino alla logica
conclusione, potra’ trasformarsi in cercatore della conoscenza sperimentale
degli stati superiori che abbiamo descritto.

Raggiungere l’illuminazione yoga in questa stessa vita porta come risultato:

1. la cessazione di ogni eccitamento fisico
2. lo svanire di ogni dubbio
3. la realizzazione di un potere infinito
4. la realizzazione di una gioia illimitata
5. la scomparsa di ogni timore
6. La realizzazione di qualunque meta contemplata dallo yoghi.

Sforziamoci di comprendere il messaggio dell’Islam, annunciato dal Corano:

” O, credente, temi Dio. Desidera l’unione con Lui. Lotta sinceramente sulla
via che può condurti alla felicità.
Nessun’anima conosce quelle gioie degli occhi riservate al saggio, in
ricompensa ai suoi sforzi.”

Ecco che, malgrado le loro diversita’, tutte le religioni promettono questa
unione con la gioia ultima ed eterna. Ed anche la semplice descrizione di
questa gioia, che puo’ offrirci tuttavia solo un minima idea di tanta
esperienza, rappresenta una salutare brezza per la mente.

Concluderei la mia lunga introduzione ai “Sutra Yoga” di Patanjali con la
storia di un grande yoghi, che li ha commentati.

Sadashiva Brahmendra era un brillante studioso. Un giorno, mentre se ne
stava occupato a dibattere con passione i concetti della filosofia non
dualista, il suo Guru lo esorto’ ad osservare il silenzio ed a meditare.

Sadashiva, di conseguenza, divenne silenzioso e prese a meditare, dimentico
del mondo attorno a lui.

Inizio’ a vagabondare, completamente nudo.

Mentre stava assorto sulle rive di un vasto fiume, ecco che venne afferrato
dalle onde e sepolto sotto una spessa quantita’ di sabbia, sotto la quale
resto’ per diverse settimane. Lo ritrovarono solo per caso. Vivo e radioso
come prima.

Un’altra volta, senza rendersene conto, entro’, sempre completamente nudo,
nella tenda dello Zenanal di un Nawab.

Costui, furioso, gli trancio’ il braccio destro. E quando si accorse che
Sadashiva restava completamente indifferente alla ferita che gli aveva
inflitto, rimase stupefatto e gli chiese perdono.

Allora, Sadashiva si tocco’ il moncherino con la mano sinistra e fece
nascere un nuovo braccio!

Ben altri racconti vengono narrati sulla vita di questo grande yoghi.

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