Gli analgesici e l’Alzheimer

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Gli analgesici e l’Alzheimer

di: Donata Allegri

La malattia di Alzheimer è la causa più frequente di demenza (perdita progressiva delle capacità
intellettive come memoria, linguaggio e giudizio) e rappresenta la terza causa di morte nei paesi
occidentali. È determinata da una lenta perdita di cellule nervose (neurodegenerazione) in tutte le
aree della corteccia cerebrale. Al centro del processo patologico si trovano precipitazioni di
proteine all’interno e all’esterno delle cellule nervose. Il processo patologico inizia molti anni
prima della manifestazione dei primi sintomi clinici, che appaiono quando sono esaurite le capacità
di riserva cerebrale e rappresentano uno stadio già avanzato della patologia.

Il più importante fattore di rischio finora conosciuto è genetico e consiste nel tipo e4 della
apolipoproteina E (molecola che trasporta il colesterolo nel sangue). Il 10% delle persone che
presenta questa forma di apolipoproteina E ha un rischio di sviluppare la malattia aumentato per
circa 4 volte. Altri fattori di rischio sono traumi cranici e un basso livello di educazione
scolastica, probabilmente perché coincidono con una diminuita capacità del cervello a compensare un
certo grado di deficit.

L’interesse principale della ricerca è attualmente rivolto alla prevenzione della patologia, che è
caratterizzata da una lunga fase preclinica che dura fino a 20-30 anni. Modesti interventi
(nutritivi, farmacologici o influendo sui fattori di rischio) potrebbero prevenire l’insorgenza
della malattia in un grande numero di persone. Quando la malattia si manifesta in modo clinico, il
processo è già avanzato. Uno studio epidemiologico condotto dall’Erasmus Medical Center di Rotterdam
(Olanda) e dall’Istituto nazionale per lo studio dell’invecchiamento di Bethesda, negli Usa, rivela
che alcuni farmaci analgesici comunemente usati per alleviare i sintomi provocati dall’artrite
reumatoide, dalla gotta e dall’artrosi, potrebbero proteggere dalla malattia di Alzheimer.

I risultati, pubblicati su New England Journal of Medicine, hanno messo in evidenza che chi aveva
assunto per periodi prolungati farmaci antinfiammatori non steroidei, i cosiddetti FANS, era più
protetto contro la malattia di Alzheimer. Dopo molti studi era emerso che antiossidanti e
antinfiammatori, in particolare quelli non steroidei, potessero ridurre il danno cerebrale implicato
nello sviluppo della malattia perché sembra che alla base delle lesioni tipiche dell’Alzheimer vi
possa essere sia un accumulo di radicali liberi che un processo infiammatorio.

Tale convinzione era avvalorata dalla constatazione che coloro che assumevano anti-infiammatori non
steroidei (NSAID) per altre patologie, erano meno soggetti all’Alzheimer. Secondo uno studio
recente, condotto da Paul Aisen e dai suoi colleghi dell’Università di Georgetown è emerso che in
effetti i 351 pazienti sottoposti ad una cura con naproxen o rofecoxib per un anno non hanno
mostrato i benefici sperati ed anzi si sono manifestati numerosi effetti collaterali come capogiro,
pressione alta e stanchezza. Recentemente, utilizzando una serie di scansioni ottenute tramite
risonanza magnetica, Paul Thompson, neurologo presso l’università della California, è riuscito ad
ottenere un filmato su come l’Alzheimer diffonde nel cervello. Questo permetterà di capire come e
con che rapidità si espanda la malattia.

Istituzione scientifica citata nell’articolo:

Georgetown University

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