Gli effetti della preoccupazione sul cervello

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Gli effetti della preoccupazione sul cervello

Stress, ansia, stanchezza perenne, mancanza di energia, pessimismo… Il modo in cui la
preoccupazione si ripercuote sul cervello è tossico, portiamo al limite tutte le nostre risorse
emotive fino a sperimentare una sensazione di allarme costante.

Gli effetti della preoccupazione sul cervello possono essere riassunti in una sola parola: tossici.
Anche se questa realtà psicologica non è altro che una reazione naturale quando percepiamo una
minaccia, in realtà molte delle nostre preoccupazioni sono infondate e persino ossessive. Ci
immergono in uno stato di esaurimento in cui perdiamo l’energia, la forza e qualsiasi barlume di
motivazione.

Dal punto di vista psicologico, si sa bene che gli effetti di un’eccessiva preoccupazione possono
essere perfino più pericolosi di quello che in realtà ci preoccupa. Sembra un gioco di parole, ma in
realtà va ben oltre. Quando sfociamo in questi stati in cui lo stress intensifica e distorce anche
il minimo dettaglio, tutto finisce fuori controllo, prendiamo le peggiori decisioni e il malessere
emotivo si intensifica.

Un esempio: più ci angosciamo per la cattiva qualità del nostro sonno, più soffriremo di insonnia.
Più ci preoccupiamo di mostrarci efficaci e perfetti sul nostro posto di lavoro, più errori
commetteremo. Inoltre, se ci preoccupiamo troppo che il nostro partner non ci ami più, creeremo
situazioni in cui l’altra persona si sentirà più sotto pressione e a disagio.

Quanta più pressione esercitiamo sulla nostra mente, peggio risponderà il nostro cervello.
Esauriremo tutte le sue risorse, avremo più problemi di memoria e ci sentiremo più stanchi. La lista
di effetti causati dalla preoccupazione eccessiva è immensa, alla luce della biologia dello stress.
Vediamolo meglio.

«Ogni domani ha due manici: possiamo prenderli dal manico dell’ansia o da quello della calma.
-Henry Ward Beecher-

Gli effetti della preoccupazione sul cervello

Gli effetti della preoccupazione sul cervello sono più intensi di quanto possiamo pensare. Alcuni
neuroscienziati come il Dottor Joseph LeDoux dell’Università di New York affermano che l’impatto di
questa dimensione è così pesante perché le persone mediamente non sanno preoccuparsi in modo sano.
Abbiamo la strana tendenza a portare quasi tutto all’estremo.

Eppure, lo scienziato ci segnala un altro fattore che forse ci esonera da una parte di colpa. Il
nostro cervello è programmato per preoccuparci, prima, e pensare, dopo. Ovvero, il nostro sistema
emotivo e, nello specifico, la nostra amigdala è la prima a riconoscere una minaccia e ad attivare
in noi un’emozione.

Immediatamente, vengono rilasciati dei neurotrasmettitori come la dopamina per provocare
l’attivazione e il nervosismo. Solo in seguito, il sistema limbico stimola la corteccia cerebrale
per avvisare le strutture mentali superiori. Lo scopo? Spingerle a prendere il controllo, a fare uso
del ragionamento logico per regolare quella paura, quella sensazione di allarme.

Il Dottor LeDoux ci ricorda che nell’essere umano le emozioni hanno più potere della ragione. Questo
fa sì che spesso le preoccupazioni e il labirinto dell’ansia nei quali ci gettano prendano il
controllo della nostra mente. Il modo in cui la preoccupazione si ripercuote sul cervello è quindi
immenso e gli effetti sono i seguenti.

La preoccupazione eccessiva provoca dolore psicologico

Che cosa intendiamo per dolore psicologico? È diverso dal dolore fisico? In effetti lo è, anche se
in realtà è altrettanto limitante. Il dolore psicologico, in pratica, è la sofferenza, la sensazione
di esaurimento, la negatività, lo sconforto…

In un cervello ansioso dominato da preoccupazioni costanti, chi ci controlla è l’amigdala. Essa ci
fa vedere pericoli dove non esistono. Tutto costituisce una minaccia, dubitiamo di tutto e tutto ci
provoca timore. La sua iperstimolazione ha ripercussioni sulla corteccia cerebrale, la cui attività
viene ridotta. Non vediamo più le cose con calma ed equilibrio.

L’amigdala attiva diverse aree cerebrali del dolore come la corteccia cingolata anteriore. In questo
modo, il malessere si intensifica.

Quando gli effetti della preoccupazione sul cervello sono troppo intensi, i processi cognitivi
cessano di funzionare

A cosa ci riferiamo quando parliamo di processi cognitivi? Quando la preoccupazione si ripercuote
troppo sul cervello perché passiamo settimane o mesi bloccati su certi pensieri, possiamo iniziare a
notare alcuni dei seguenti sintomi:

Problemi di memoria.
Problemi di concentrazione.
Difficoltà a prendere decisioni.
Problemi a comprendere messaggi, testi, ecc.

Qual è la soluzione per smettere di preoccuparsi?

In realtà, la soluzione non è smettere di preoccuparsi. La risposta è imparare a preoccuparsi
meglio. In caso contrario, come afferma uno studio realizzato all’Università di Cambridge dal Dottor
Ernest Paulesu, corriamo il rischio di incorrere in un disturbo d’ansia generalizzato.

Per farcela, per imparare a preoccuparsi meglio, bisogna ricordare i consigli dell’eminente
psicologo Albert Ellis. Soffermiamoci quindi un momento su di essi:

Analizzare i propri pensieri irrazionali. Anche se può sembrare assurdo, l’80% delle nostre
preoccupazioni sono eccessive e non hanno una base logica.

Parlare delle proprie emozioni, dare esse un nome, sfogarsi, esprimersi. È possibile che vi stiate
preoccupando troppo del vostro lavoro perché, in realtà, vi sentite insoddisfatti, perché non siete
felici. Approfondite questi aspetti.

Non prendere decisioni basate solo sul proprio stato d’animo. Prima di decidere e di agire,
applicate la calma e fate passare ogni pensiero attraverso il filtro della razionalità. Le emozioni
sono importanti, ma se vanno di pari passo con un ragionamento cauto e logico, otterrete risultati
sempre migliori.

Conoscendo gli effetti della preoccupazione sul cervello, dobbiamo imparare a essere più proattivi.
In altre parole, evitare di cadere in quelle spirali di sofferenza e utilizzare atteggiamenti più
salutari e razionali. Se non ci riusciamo, non dobbiamo esitare a contattare un professionista
specializzato.

Bibliografia

Cryan, J. F., & Kaupmann, K. (2005, January). Don’t worry “B” happy!: A role for GABA B receptors in
anxiety and depression. Trends in Pharmacological Sciences.
doi.org/10.1016/j.tips.2004.11.004
Paulesu, E., Sambugaro, E., Torti, T., Danelli, L., Ferri, F., Scialfa, G., … Sassaroli, S. (2010).
Neural correlates of worry in generalized anxiety disorder and in normal controls: A functional MRI
study. Psychological Medicine, 40(1), 117–124. doi.org/10.1017/S0033291709005649

da lista mente

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