La psilocibina altera in modo radicale ma temporaneo i network cerebrali responsabili della
percezione de sé e dello spazio: uno studio svela come.
10 agosto 2024 – Elisabetta Intini
Una tempesta nel cervello: gli effetti della psilocibina studiati in risonanza magnetica
La psilocibina è un composto contenuto nei funghi allucinogeni.
La psilocibina genera un tale scompiglio nel cervello da alterare completamente le reti di regioni
cerebrali interagenti che controllano il senso del tempo e del sé. A documentare questa radicale e
tempestiva trasformazione è uno studio che per la prima volta ha osservato gli effetti del composto
allucinogeno sull’intero cervello durante, prima e dopo la sua somministrazione in risonanza
magnetica funzionale (fMRI). Il risultato è la GIF caleidoscopica che vedete qui sotto, una sorta di
“mappa termica” delle alterazioni cerebrali indotte da psilocibina. La ricerca è stata pubblicata su
Nature.
Un viaggio allucinogeno a scopo scientifico
Obiettivo dello studio, coordinato da Nico Dosenbach, Professore di Neurologia dell’Università di
Washington, era capire in che modo la psilocibina agisca sul cervello, arrivando ad alleviare i
sintomi di alcuni disturbi mentali, come la depressione. Se infatti un potenziale effetto
terapeutico di questa e altre sostanze psicoattive, se assunte in un contesto strettamente
controllato, è suggerito da diversi studi, le basi neurofisiologiche di questi presunti benefici
restano ancora poco chiare.
Lo studio ha analizzato l’attività cerebrale di sette adulti sani che avevano assunto o una singola
dose di psilocibina o un placebo – ossia, per questo studio, una dose di metilfenidato, uno
stimolante del sistema nervoso anche conosciuto come Ritalin, che, spiega il sito di Humanitas.it,
“viene usato nel trattamento del disturbo da deficit di attenzione, del disturbo da deficit di
attenzione/iperattività, della depressione e della narcolessia”.
Il numero di partecipanti è stato tenuto basso per poter investire invece sul numero di scansioni
cerebrali: 18 per ciascuno, prima, durante e dopo il “viaggio” allucinogeno, in risonanza magnetica
funzionale (fMRI). L’esame permette di vedere i cambiamenti di afflusso di sangue nelle varie aree
cerebrali e misurare in che modo le reti neurali comunicano tra loro. Quattro partecipanti sono
stati riconvocati sei mesi dopo per ripetere l’esperimento.
Il cervello sotto psilocibina: irriconoscibile
La psilocibina ha completamente desincronizzato il default mode network, una rete di aree cerebrali
attive simultaneamente quando il cervello non sta lavorando a un compito specifico (per esempio,
quando compiamo ragionamenti introspettivi o sogniamo ad occhi aperti). Anche se questo network ha
ricominciato a funzionare in modo coordinato passati gli effetti più acuti della psilocibina, alcune
piccole differenze – per esempio nel modo in cui il default mode network comunicava con la zona
anteriore dell’ippocampo, implicata nel senso del tempo, dello spazio e del sé, sono rimaste
visibili per settimane. Nulla di tutto questo è accaduto nelle persone che avevano ricevuto
metilfenidato, nonostante l’effetto neurostimolante del farmaco.
Di solito, il default mode network è specifico per ogni persona, come un’impronta digitale. La
psilocibina lo ha distorto così radicalmente, che non è stato più possibile distinguere gli
individui a partire da esso, fino alla fine degli effetti acuti. «I cervelli delle persone che hanno
assunto psilocibina si somigliano più tra di loro, di quanto non somiglino a se stessi in condizioni
normali» spiega Dosenbach. «La loro individualità viene temporaneamente cancellata. Ciò costituisce
una verifica, a livello neuroscientifico, di quello che si dice sulla perdita del senso di sé
durante il viaggio allucinogeno».
Distruggere e ricostruire
«L’idea è che si prende questo sistema, che è fondamentale per la capacità del cervello di pensare a
sé stessi in relazione al mondo, e lo si desincronizza del tutto temporaneamente. A breve termine,
questo genera l’esperienza psichedelica. La conseguenza a lungo termine è che il cervello è reso più
flessibile e potenzialmente più capace di raggiungere uno stato più sano» aggiunge lo psichiatra
Joshua S. Siegel, coautore dello studio.
Lo scienziato ritiene che lo sconquasso nell’attività cerebrale evidenziato dall’esame, così come i
connotati stessi dell’esperienza psichedelica (visioni intense, distorsioni del tempo e dello
spazio, senso di scollamento dal sé) possano essere parte integrante del processo terapeutico quando
la psilocibina viene usata contro la depressione o il disturbo da stress post-traumatico. Altri
ricercatori non sono dello stesso avviso, e stanno cercando di imitare le proprietà dei composti
psichedelici senza i loro effetti disorientanti.
Gli autori dello studio sottolineano che la loro ricerca servirà a costruire esperimenti clinici
sull’uso terapeutico della psilocibina più precisi e controllati, e che non è certo un invito ad
assumere questa sostanza, la cui vendita – e coltivazione in forma di funghi allucinogeni – è
illegale a scopo ricreativo. L’alterazione psico-fisica indotta da sostanze come questa è tale, che
il viaggio psichedelico può rivelarsi un’esperienza spaventosa – tanto che i soggetti scelti per lo
studio sono stati assistiti e preparati da figure professionali che li hanno accompagnati in ogni
fase della ricerca.
www.nature.com/articles/s41586-024-07624-5
www.humanitas.it/enciclopedia/principi-attivi/farmaci-attivi-sul-sistema-nervoso/metilfenida
to/
da focus.it
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