Gli errori che facciamo nel controllare la nostra mente
di W.Williams, J.Teasdale, J.K.Zinn
In una storia tradizionale ambientata in un antico regno himalayano, un monaco novizio era entusiasta all’idea di conoscere il suo maestro. Dentro di lui ardevano numerose domande, ma aveva la sensazione che non fosse il momento di porle. Invece ascoltò attentamente le istruzioni del maestro. Questi fu breve e andò subito al dunque. “Alzati presto domattina e sali in cima a questa montagna, dove troverai una caverna. Siederai lì dall’alba al tramonto, senza pensare. Usa qualsiasi metodo tu voglia per bandire ogni pensiero. Al termine della giornata, vieni da me e raccontami com’è andata.”
Il giorno successivo, all’alba, il novizio trovò la caverna, si mise comodo e attese che la sua mente si calmasse. Pensava che se fosse rimasto seduto abbastanza a lungo essa si sarebbe svuotata. Invece la sua mente era affollata di pensieri. Ben presto cominciò a preoccuparsi di poter fallire nel compito che gli era stato affidato. Cercò di scacciare dalla mente i pensieri con la forza, ma ciò non faceva che produrre altri pensieri. Gridò loro: “Andate via!”, ma le sue parole riecheggiarono fragorose nella caverna. Il novizio si mise a saltare, provò a trattenere il respiro, a scuotere la testa, ma sembrava che nulla funzionasse. Non aveva mai sperimentato un tale bombardamento di pensieri in vita sua.
Alla fine della giornata scese, completamente scoraggiato, chiedendosi quale sarebbe stata la reazione del suo insegnante. Forse il maestro l’avrebbe congedato, dichiarandolo incapace e non idoneo a un ulteriore addestramento. Ma sentendo il racconto di quella ginnastica mentale e fisica, il maestro scoppiò semplicemente a ridere e disse: “Molto bene! Ti sei dato davvero da fare e sei stato bravo. Domani tornerai alla caverna. Siederai lì dall’alba al tramonto e non farai altro che pensare. Pensa a ciò che vuoi per tutto il giorno, ma non permettere che ci siano vuoti tra un pensiero e l’altro”.
Il novizio era davvero contento. Sarebbe stato facile. Ci sarebbe riuscito senz’altro. Dopotutto era proprio quello che gli era appena successo: per tutta la giornata non aveva fatto altro che pensare.
Il giorno dopo salì alla caverna, sicuro di sé, e si sedette. Dopo qualche istante si rese conto che non andava tutto bene. I suoi pensieri cominciarono a rallentare. Di quando in quando un pensiero gradevole si presentava alla sua mente e lui decideva di seguirlo per un po’, ma ben presto s’interrompeva. Cercò di formulare pensieri grandiosi, speculazioni filosofiche, di preoccuparsi dello stato dell’universo, di qualsiasi cosa. Cominciò a essere a corto di argomenti a cui pensare e addirittura ad annoiarsi un po’. Dov’erano andati tutti i suoi pensieri? Ben presto i pensieri “migliori” che riusciva a racimolare gli sembrarono logori, come un vecchio cappotto liso. Poi notò i vuoti tra un pensiero e l’altro. Era proprio ciò che gli era stato intimato di evitare. Un altro fallimento!
Alla fine della giornata si sentiva piuttosto infelice. Aveva fallito un’altra volta. Scese dalla montagna e andò a cercare il suo maestro, il quale scoppiò a ridere ancora una volta. “Congratulazioni ! Meraviglioso! Ora sai come praticare perfettamente.” Il novizio non capiva perché il maestro fosse così contento. Che cosa diavolo aveva imparato?
Il maestro era contento perché a quel punto il novizio era pronto a riconoscere qualcosa di veramente significativo: Non si può forzare la mente. E se ci si prova, il risultato non sarà gradevole.
Non c’è bisogno di salire in cima a una montagna per giungere da sé a questa importante conclusione. Forse vorrete provare questo semplice esperimento proprio ora. Distogliete lo sguardo dal computer per un minuto e pensate a qualsiasi cosa vogliate, ma cercate di non pensare a un orso bianco. Un minuto. Assicuratevi che non vi si presentino pensieri o immagini di quell’animale.
lì passato il minuto? Che cosa avete scoperto?
La maggior parte delle persone scopre di non poter completamente sopprimere il pensiero dell’orso bianco. Il professor Daniel Wegner e i suoi colleghi hanno dimostrato che quando tentiamo di sopprimere pensieri come questo, la cosa a cui opponiamo resistenza persiste
i nostri tentativi di forzare la mente possono provocare la reazione opposta a quella desiderata. Non solo è difficile sopprimere il pensiero, ma in seguito, se abbiamo* il permesso* di pensare agli orsi bianchi, tali pensieri si presenteranno con maggiore frequenza di quanto non sarebbe avvenuto se non avessimo cercato di sopprimerli in un momento precedente.
Se questo vale per pensieri e immagini neutre come gli orsi, non è difficile immaginare che cosa possa accadere quando cerchiamo di sopprimere pensieri, immagini e ricordi negativi di natura estremamente personale. Se in passato abbiamo fatto esperienza di umori depressi persistenti, è probabile che facciamo un grande sforzo mentale per tenere a bada i pensieri negativi. Una ricerca condotta da Wenzlaff, Bates e colleghi dimostra che ciò può funzionare per un breve periodo, ma con un costo enorme: coloro che si sforzano maggiormente di tenere lontani i pensieri negativi finiscono per essere più depressi di coloro che non lo fanno.15Sulla base di tale ricerca, molti psicologi hanno confermato la conclusione
suggerita da tempo dalla saggezza meditativa: cercare di sopprimere i pensieri indesiderati non è un modo molto efficace per stabilizzare e sgomberare la nostra mente.
Quando l’intenzione rende più della forza
Come possiamo stabilizzare e calmare la mente se la forza è così inefficace?
Non tutto è perduto. Avete mai visto una neonata studiare la sua mano, completamente assorta nell’esplorare quella meravigliosa creazione della natura? Può mantenere l’attenzione per diversi minuti consecutivi, apparentemente senza alcuno sforzo. La mente ha un meccanismo naturale per sostenere un’attenzione prolungata e vigile. Come facciamo ad attingere a tale meccanismo?
Uno dei modi consiste nel proporre a noi stessi la gentile sfida di concentrare e riconcentrare la nostra attenzione su un singolo oggetto. Storicamente sono stati utilizzati molti diversi oggetti per raccogliere e stabilizzare la mente in questo modo, dalla fiamma di una candela che fluttua dolcemente a un suono come “om”, ripetuto nella mente in silenzio. Diverse ricerche hanno rivelato che concentrarsi intenzionalmente su un solo oggetto in questo modo può stabilizzare la mente, attivando le reti cerebrali corrispondenti al centro d’attenzione scelto e allo stesso tempo inibendo le reti cerebrali corrispondenti a richieste di attenzione contrastanti, senza bisogno di forzature. E’ come se il cervello “illuminasse” l’oggetto selezionato, “oscurando” allo stesso tempo gli oggetti non selezionati.
Per trarre vantaggio da questi processi basilari, da queste tendenze naturali della mente/del cervello di stabilizzarsi in determinate circostanze, dobbiamo effettivamente fare uno sforzo, ma si tratta di un certo tipo di forza gentile. Puntiamo il riflettore della nostra attenzione sull’oggetto da noi scelto e, ogni volta che ci accorgiamo che la nostra attenzione se n’è allontanata, torniamo a puntare il riflettore su tale oggetto. Tutto ciò è molto diverso dagli sforzi orientati al conseguimento di un obiettivo, che cercano di stabilizzare la mente forzando alcuni pensieri, eliminandone altri o erigendo una barriera per impedire l’accesso di pensieri e sentimenti non desiderati. E un tipo di sforzo aggraziato e gentile che segnala il passaggio a una modalità mentale che sostiene la curiosità, l’interesse e una tendenza a esplorare e indagare. Significa attingere alla capacità della mente di avvicinarsi alle situazioni, anziché di evitarle, come abbiamo visto nel capitolo tre.
Tradizionalmente, l’idea di imbrigliare la capacità naturale della mente di generare calma e chiarezza è ben catturata dall’immagine di un bicchiere di acqua torbida. Finché continuiamo ad agitare l’acqua, essa rimarrà opaca e torbida. Ma se abbiamo la pazienza di stare semplicemente ad aspettare, i corpi estranei si depositeranno naturalmente sul fondo del bicchiere, mentre il resto sarà acqua pura e trasparente. Allo stesso modo, i nostri tentativi di stabilizzare, calmare o controllare la mente spesso non fanno che agitare le acque e rendere tutto meno chiaro. Ma possiamo discostarci dalle nostre abitudini e smettere di contribuire alla nebulosità della mente incoraggiandola a posare l’attenzione su un solo oggetto e a soffermarsi su di esso per qualche tempo. Quando abbandoniamo intenzionalmente l’impulso di forzare le cose affinché siano in un certo modo, la mente si stabilizza da sé in modo naturale, dandoci una maggiore calma e chiarezza.
E importante scegliere un oggetto relativamente neutro da porre al centro dell’attenzione. L’oggetto non deve essere carico di valenze emotive o rivestire un tale interesse intellettuale da alterare lo sviluppo della stabilità mentale. Sin dai tempi antichi, il respiro è stato ritenuto idoneo e utilizzato a questo scopo. L’intenzione è quella di prestare attenzione nel modo migliore possibile alle sensazioni fisiche che mutano costantemente mentre il respiro entra ed esce dal corpo.
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