– di Sri Ramana Maharshi
Tratto da:
Insegnamenti spirituali del Bhagavan Sri Ramana Maharshi
di Ramana Maharshi
Ottava Edizione 1974
Traduzione riveduta
Pubblicato da
V.S. Ramanan
CAPITOLO I
ISTRUZIONE (UPADESA)
1.. Quali sono le caratteristiche di un vero maestro (Sadguru)?
Stabile permanenza nel Sé, guardando a tutto con occhio equanime,
incrollabile coraggio in ogni momento, in ogni luogo e circostanza, ecc.
2.. Quali sono le caratteristiche di uno studioso serio (sadsisya)?
Un intenso desiderio per la rimozione del dolore e il conseguimento di gioia
ed una intensa avversione per ogni tipo di piacere mondano.
3.. Quali sono le caratteristiche dell’insegnamento (upadesa)?
La parola “upadesa” significa: “vicino al posto o sedile” (upa=vicino,
desa=posto o sedile). Il Guru che è l’incarnazione di ciò che è indicato dai
termini sat, chit e ananda (essenza, coscienza e beatitudine), previene il
discepolo, che a causa della sua accettazione delle forme degli oggetti dei
sensi, si è allontanato dal suo vero stato ed è conseguentemente afflitto e
tormentato da gioie e dolori, dal continuare così e lo stabilisce nella sua
stessa reale natura senza differenziazioni.
Upadesha significa anche il mostrare un oggetto distante come se fosse
vicino. Viene cioè fatto comprendere al discepolo che il Brahman che egli
crede essere distante e diverso da lui, è vicino e per nulla diverso da lui
stesso.
4.. Se è vero che il Guru è lo stesso Sé di un individuo, che cos’è quel
principio che stà alla base della dottrina che dice che, per quanto un
discepolo possa essere istruito o per quanti poteri occulti egli possa
possedere, non potrà ottenere la realizzazione del sé (atma-siddhi) senza la
grazia del Guru?
Sebbene in assoluta verità lo stato del Guru sia quello del sé stesso è
molto duro per il Sé che è divenuto anima individuale (jiva) a causa dell’
ignoranza realizzare il suo vero stato o natura senza la grazia del Guru.
Tutti i concetti mentali sono controllati dalla mera presenza del vero Guru.
Se e gli avesse detto ad un individuo che con arroganza si vantasse di aver
visto i più remoti lidi dell’oceano del sapere o ad uno che si vantasse con
arroganza di poter compiere imprese che sono quasi impossibili, “Sì, tu hai
imparato tutto ciò che può essere imparato, ma hai imparato (a conoscere) te
stesso? E tu che sei capace di compiere imprese pressochè impossibili, hai
visto te stesso?”, essi chinerebbero le teste (vergognosamente) e
resterebbero in silenzio.
Così è evidente che solo attraverso la grazia del Guru e non attraverso
altri adempimenti è possibile conoscere sé stessi.
5.. Qual’è il significato della grazia del guru?
Essa va oltre le parole e i pensieri.
6.. Se è così, com’è che è stato detto che il discepolo realizza il suo
vero stato attraverso la grazia del Guru?
E’ come un elefante che si sveglia vedendo un leone nei suoi sogni. Così
come l’elefante si sveglia alla sola vista del leone, allo stesso modo è
certo che il discepolo si sveglierà dal sonno dell’ignoranza nella veglia
della vera conoscenza attraverso il benevolo sguardo di grazia del Guru.
7.. Qual’è il significato del detto che lanatura del vero Guru è quella
del Signore Supremo (Sarvesvara)?
Nel caso dell’anima individuale che desideri raggiungere lo stato di vera
conoscenza o lo stato di Divinità (Isvara) e con quell’obbiettivo pratichi
sempre la devozione, quando la devozione individuale avrà raggiunto uno
stadio di maturazione, il Signore che è il testimone di quell’anima
individuale e identico ad essa, si manifesta in forma umana con l’aiuto di
sat-chit-ananda, le sue tre caratteristiche naturali, e con nome e forma che
egli assumerà anche benevolmente, e con il fatto di benedire il discepolo,
lo assorbe in Sé stesso.
In accordo con questa dottrina il Guru può veramente essere chiamato il
Signore.
8.. Come ha fatto allora qualche grande persona a raggiungere la
conoscenza senza il Guru?
Per un piccolo numero di persone il Signore brilla come luce di
consapevolezza e impartisce consapevolezza della verità.
9.. Qual’è il fine della devozione (bhakti) e del sentiero di Siddhanta
(Sarva Siddhanta)?
E’ di imparare la verità che tutte le azioni compiute da un ente con
devozione disinteressata, con l’aiuto dei tre strumenti purificati (corpo,
parola e mente), nella capcità del servitore del Signore, diventano azioni
del Signore, e per restare saldi liberi dal senso di “io” e “mio”.
Questa è anche la verità di ciò che il Sarva-Siddhantis chiama para-bhakti
(devozione suprema) o del vivere al servizio di Dio (irai-pani-nittral).
10.. Qual’è il fine del sentiero della conoscenza (jnana) o Vedanta?
E’ di conoscere la verità che l’ “io” non è diverso dal Signore (Isvara) e
per essere liberi dal sentimento di essere l’agente (kartrtva, ahamkara).
11.. Come può essere detto che il fine di entrambi questi sentieri è lo
stesso?
Qualunque cosa comporti, la distruzione del senso di “io” e “mio” è la meta,
ed essendo essi interdipendenti, la distruzione di uno dei due causa la
distruzione dell’altro; perciò al fine di ottenere quello stato di Silenzio
che è al di la di pensiero e parola, uno dei due, il sentiero della
conoscenza che rimuove il senso di “io” o il sentiero della devozione che
rimuove il senso di “mio”, sarà sufficiente.
Quindi non vi è alcun dubbio che il fine dei sentieri di devozione e
conoscenza è uno e lo stesso.
Nota: Fintanto che l’ “io” esiste è necessario accettare anche il Signore.
Se qualcuno desiderasse riguadagnare facilmente il supremo stato di identità
(sayujya) ora perso per lui, è soltanto consono che egli abbia ad accettare
questa conclusione.
12. Qual’è il significato dell’ego?
L’anima individuale nella forma dell’ “io” è l’ego. Il Sé che è della natura
dell’intelligenza (chit) non possiede alcun senso di “io”. Né il corpo
insenziente possiede un senso di “io”. La misteriosa apparenza di un ego
ingannevole esistente tra l’intelligenza e l’insenziente, attualmente causa
prima di tutti questi problemi, dopo la sua distruzione per mezzo di
qualsiasi causa, che però realmente esista, verrà vista così com’è. Questa è
chiamata Liberazione (moksha).
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