Gli otto versi per l’addestramento mentale

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Gli otto versi per l’addestramento mentale

del gheshe kadam Langri Tangpa Dorje Senghe

[Nato a Giethang, nell’Himalaya orientale, Gheshe Lobsang Sherab ha
conseguito l’ambito titolo di Gheshe Larampa, che rappresenta il
massimo titolo di studio conferito dalle università monastiche
tibetane. Successivamente ha studiato presso il monastero tantrico di
Ghyume, sotto la guida di Rinpoce Gheshe Jampel Ciöta. Nel 1998 è
giunto a Roma presso l’Istituto Samantabhadra, da cui è stato inviato
a Zogno (Bergamo) per avviare il Centro Gajang Jangciub]

°°°

Quando la nostra mente non è domata, troviamo difficile accettare gli
altri, specie se spinti da emozioni negative ci maltrattano o ci
danneggiano. Essenziale per superare questo problema è la pratica
degli “Otto versi per l’addestramento mentale”. Composta intorno al
1100 dal gheshe kadam Langri Tangpa Dorje Senghe, si basa sullo
scambiarsi a livello spirituale con gli altri, per sviluppare
l’altruismo. Leggiamo innanzitutto il testo degli otto versi:

Con il pensiero di raggiungere l’illuminazione per il bene di tutti
gli esseri, che sono più preziosi dei gioielli che realizzano i
desideri, seguirò costantemente la pratica di considerarli a me cari.

Ogni volta che sarò con gli altri eserciterò la pratica di
considerarmi inferiore a tutti, e dal profondo del mio cuore
riconoscerò gli altri come supremi.

Esaminerò la mia mente in tutte le azioni, e nel momento in cui sorge
un’illusione che mette in pericolo me stesso o gli altri l’affronterò
con fermezza e l’allontanerò.

Ogni volta che incontrerò una persona di natura cattiva, o sopraffatta
da energia negativa ed intensa sofferenza, terrò cara tale rara
(persona), come se avessi trovato un prezioso tesoro.

Quando gli altri, spinti dalla gelosia, mi maltratteranno con insulti,
calunnie e disprezzo, praticherò l’accettazione della sconfitta e
l’offrire loro la vittoria.

Quando qualcuno che ho beneficiato e in cui avevo riposto grande
fiducia mi danneggerà in modo veramente grave, porrò in atto la
pratica di considerare quella persona come il mio supremo maestro.

In breve, offrirò direttamente e indirettamente ogni beneficio e
felicità a tutti gli esseri, mie madri. Praticherò in segreto
prendendo su me stesso tutte le loro azioni dannose e le loro
sofferenze.

Attraverso la percezione di tutti i fenomeni come illusori, manterrò
queste pratiche incontaminate dalle macchie degli otto interessi
mondani, e libero dall’attaccamento affrancherò tutti gli esseri
dall’indomita mente che porta scompiglio e dal karma.

Il primo verso, che concerne i concetti di rinuncia e bodhicitta,
tratta dell’importanza del beneficiare tutti gli esseri senzienti.

La rinuncia È molto difficile rinascere come esseri umani, giacché a
tale scopo bisogna accumulare molte buone cause. Ancor più difficile e
raro è possedere le qualità di esseri umani gentili. Dobbiamo quindi
generare una buona motivazione e desiderare di non sprecare la nostra
vita, ma di usarla per beneficiare tutti gli esseri senzienti.

La rinascita nel mondo samsarico è causata dai difetti mentali e
dall’ignoranza. Avendo ottenuto una preziosa rinascita umana, non
dobbiamo pensare solo nell’ottica della vita presente, ma preparare le
nostre vite future e cercare di meritare una rinascita favorevole –
come uomini o deva – quanto meno anche nella prossima esistenza.
Comportandoci bene in questa vita, potremo in effetti rinascere nel
reame umano o divino. Ma ciò non basta, perché si tratta sempre di
rinascite samsariche. Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di
uscire definitivamente dal ciclo del samsara.

In nessuno dei sei mondi che fanno parte del ciclo samsarico vi è una
felicità stabile. È per questo motivo che dobbiamo desiderare di
liberarci dal samsara. Il nemico che ci trattiene nel cerchio vizioso
del samsara è dentro di noi, e uindi la guerra che dobbiamo fare è
contro la nostra ignoranza,

la guerra che dobbiamo combattere è una guerra interna, contro la
nostra ignoranza e i nostri difetti mentali. Per realizzare la
rinuncia dobbiamo pertanto iniziare a pensare in questo modo, e questo
modo di pensare diventerà la causa della rinuncia.

Se ci capitano eventi sfavorevoli, ad esempio una malattia, dobbiamo
pensare che stiamo eliminando cause che abbiamo posto nelle vite
precedenti. Se ci ammaliamo e nonostante le cure mediche non riusciamo
a guarire, dobbiamo pensare che stiamo purgando un karma di cui
abbiamo accumulato le cause in una vita precedente, magari
danneggiando altre creature.

Qual è la differenza tra gli dei (deva) e gli uomini? Vi sono numerosi
reami divini. I deva non hanno una nascita corporea come gli uomini.
Negli esseri umani, ad esempio, i cinque sensi si manifestano l’uno
dopo l’altro nel grembo materno. Alcuni deva nascono invece già
completamente formati nei fiori, nei prati, con ornamenti, profumi e
vesti particolari, e con le sembianze di bambini di almeno cinque
anni. Quelli che nascono vicini si considerano fratelli e sorelle. I
deva non hanno cattivi odori corporei, perché il loro corpo non è
fatto di carne, sangue ed ossa, ma è della natura della luce. Anche la
vita sessuale di questi esseri è differente dalla nostra. Le loro
relazioni sessuali si possono svolgere semplicemente attraverso un
sorriso o uno scambio di sguardi. I deva non hanno bisogno della
corporeità e passano la loro lunga esistenza spensieratamente, come
bambini.

Sono dotati di chiaroveggenza e vedono il regno a cui appartenevano
nell’esistenza precedente. Vedono anche noi uomini e la nostra
sofferenza. Però non si ricordano mai di praticare il dharma. Sette
giorni prima di morire (corrispondenti ad oltre trecento vite umane),
si rendono conto di ciò che sta loro accadendo, percepiscono le
condizioni della rinascita futura, non sempre fortunata, e provano
grande sofferenza. Cominciano a perdere i loro ornamenti naturali e ad
emanare cattivo odore. Gli altri deva, accorgendosene, li sfuggono.

In questi sette giorni di sofferenza i deva si lamentano e gli altri,
sentendoli, danno loro consigli, ad esempio quello di rinascere come
esseri umani, per poter accumulare altri meriti e quindi rinascere
nuovamente come deva. In realtà, rinascere come esseri umani dovrebbe
rappresentare piuttosto per i deva un’occasione per uscire dal ciclo
del samsara. Per questo si dice che la nostra vita è molto preziosa.

Gli esseri umani hanno infatti la capacità di raggiungere
l’illuminazione, ma perché ciò accada occorre anche la disponibilità
di Buddha che insegnino. Se dipendesse solo dai Buddha e dalla loro
grande compassione, saremmo già tutti illuminati. Ma il karma è molto
forte, e noi stessi abbiamo accumulato le cause della nostra
sofferenza.

Ai deva manca la capacità di praticare. Anche se un Buddha si
manifestasse tra di loro insegnando il Dharma, non vi sarebbe
risultato, perché i deva non riuscirebbero a ricordare l’insegnamento.
Nel momento in cui esauriscono i meriti grazie a cui sono nati come
deva, muoiono e possono anche rinascere come esseri infernali o come
preta (spiriti affamati). È come accumulare tanti soldi per tutta la
durata della nostra vita e poi sprecarli in due o tre giorni. Alcuni
deva accumulano meriti aiutando gli uomini nelle loro attività, però
non hanno la capacità di meditare e di abbracciare la rinuncia.

Quali sono i sei mondi? Il mondo degli esseri umani, dei deva, degli
asura o semidei, degli spiriti affamati, degli animali ed infine degli
esseri infernali. Noi tutti abbiamo visitato questi mondi e possiamo
rinascere in ognuno di essi moltissime volte. Gli esseri umani che
durante la vita generano attaccamento all’idea di rinascere come deva
in seguito rinasceranno in questa dimensione, avendone maturato le
cause, ma quello che offre maggiori possibilità evolutive è il regno
degli esseri umani.

Il bodhicitta o mente dell’illuminazione. Per raggiungere
l’illuminazione, occorre pensare che tutti gli esseri senzienti con
cui abbiamo rapporti siano più preziosi di gioielli. Dobbiamo imparare
a ritenere gli altri più preziosi di noi stessi. Consideriamo due
poli: noi da una parte e gli altri esseri dall’altra. Quale dei due
poli è più importante? Noi siamo un solo individuo, mentre gli altri
esseri sono innumerevoli. È importante dimostrare e testimoniare amore
verso tutti, indistintamente.

Da bambini dipendiamo dall’amore dei nostri genitori, da anziani
dipendiamo dall’amore di chi ci assiste. Anche noi, quindi, dobbiamo
generare questo amore verso gli altri. Gli innumerevoli esseri
senzienti sono stati tutti, a turno, nostre madri, perciò dobbiamo
desiderare di ricambiare la loro gentilezza e magnanimità.

Se davanti a casa nostra abbiamo una pianta medicinale, certo la
cureremo con molta attenzione, per il beneficio che può procurarci.
Con la stessa sollecitudine dovremmo curare la nostra mente per farla
diventare gentile, giacché questo porterà come risultato finale
l’illuminazione.

Il secondo verso. Quando ci troviamo insieme ad altre persone,
dovremmo generare un atteggiamento di umiltà e considerarci sempre
inferiori a tutti, senza lasciarci prendere dalla gelosia o dall’ira.
Se vediamo persone ricche, ad esempio, non dobbiamo invidiarle.
Confrontarci con gli altri e sostenere di essere più bravi o
importanti procura solo sofferenza. Dovremmo cercare di immaginare gli
altri come fratelli, sorelle o madri, evederli come le persone a noi
più vicine. Inoltre, se qualcuno critica il nostro comportamento, non
dovremmo reagire con rabbia, ma rispondere con rispetto e gentilezza,
riconoscendo i punti di vista altrui.

E di fronte ad un terrorista? Si tratta di persone in preda
all’ignoranza. Se conosciamo personalmente chi commette simili reati,
possiamo dare alcuni consigli, ad esempio spiegando che questi gesti
non solo creano sofferenza agli altri, ma fanno ricadere il dolore
anche su chi li commette. È bene tentare di far riflettere queste
persone sulle conseguenze dei loro comportamenti.

Il terzo verso. L’attaccamento, l’egoismo, la gelosia e la collera ci
danneggiano moltissimo. Se ci arrabbiamo, ad esempio, immediatamente
ci alteriamo, perdendo la felicità e la stabilità mentale, e anche per
chi ci circonda non si tratta di un momento piacevole. Il nostro
equilibrio psicofisico ne risente e non riusciamo neppure a dormire
bene. Possiamo addirittura giungere a picchiare o uccidere qualcuno, e
ci creiamo dei nemici. Noi non conosciamo il risultato della rabbia ed
è per questo che cediamo ad essa. Ma poiché la rabbia danneggia noi
stessi, gli altri e le nostre vite future, dobbiamo combatterla,
identificandola subito quando sorge e trovando il modo di
neutralizzarla.

Tutti riteniamo preziosa la nostra vita. Prendiamo medicine se siamo
malati e cerchiamo di mangiare cibi sani, per mantenere in salute il
nostro corpo. Ma non ci rendiamo conto dei danni prodotti dalla
rabbia, che è un grande errore della mente. Come antidoto alla rabbia
occorre praticare la pazienza verso i nostri nemici.

Il quarto verso. Quando vediamo cani e gatti randagi, o ancora persone
malate o povere agli angoli delle strade, spesso preferiamo restare
indifferenti. Dobbiamo invece prendere atto delle loro sofferenze e
prestare tutto l’aiuto possibile, immaginando che questi esseri siano
stati nostre madri o nostri fratelli. Come si prova grande gioia
trovando un gioiello prezioso, allo stesso modo dovremmo sentirci
felici quando incontriamo persone bisognose d’aiuto, perché ci offrono
l’occasione di praticare.

Il quinto verso. Se qualcuno si comporta male nei nostri confronti,
non dobbiamo reagire negativamente, ma accettare la situazione che si
viene a creare. Ad esempio, se una persona ci insulta e noi non
rispondiamo, dimostreremo di avere una mente positiva.

Consideriamo la gelosia. Possiamo essere gelosi di una persona ricca,
di chi possiede una voce molto bella, di chi occupa posizioni
professionali di prestigio. Ma ciò non porterà alcun risultato: la
ricchezza e le doti degli altri non diminuiranno, né cambierà la loro
posizione sociale. Questo atteggiamento mentale negativo determina
infelicità, e come un veleno contamina anche le nostre vite future.
Quando incontriamo una persona ricca o dotata di grandi qualità,
dovremmo provare gioia e pensare che quella persona ha speso bene le
sue vite precedenti, di cui ora gode i frutti.

In generale, anche le guerre sono causate dalla gelosia. Consideriamo
un paese che gode di grande benessere. Prima o poi questa sua
condizione susciterà nascere la gelosia di qualche altro paese, la
gelosia genererà rabbia ed infine si arriverà alle armi. Questi sono
gli errori di una mente gelosa. Non dobbiamo però pensare che siano
vittime della gelosia solo le persone povere.

È importante non dar energia alla gelosia. Questo sentimento sorge di
frequente perché non siamo capaci di controllare la mente. La mente
gelosa non è sempre attiva dentro di noi, ma arriva quatta quatta,
come un ladro. Se siamo presenti a noi stessi, sapremo coglierla sul
fatto ed eliminarla. Proprio come la polizia cerca di stanare i ladri,
così la nostra mente deve vigilare sul manifestarsi delle emozioni
disturbanti. Se il ladro riesce ad entrare, procura danni, e allo
stesso modo la gelosia, impadronendosi della nostra mente, elimina le
qualità positive precedentemente accumulate.

Il sesto verso. Beneficiando una persona povera o malata, non dobbiamo
pensare con opportunismo ai vantaggi che potremmo ricavarne. Talvolta,
infatti, le persone da noi beneficiate ci si rivoltano contro
danneggiandoci.

Gli amici attuali potrebbero un giorno trasformarsi in nemici. Ciò è
causato dai difetti mentali, che ci rendono instabili. Talvolta
sviluppiamo amicizia o amore per qualche mese, poi litighiamo e
cessiamo di frequentarci, ma per lo più si tratta di sentimenti
contaminati dall’attaccamento. Un vero amore non decade così
rapidamente, ma cresce nel corso del tempo, divenendo ancor più
grande.

Non dobbiamo arrabbiarci con le persone irriconoscenti, perché così
facendo distruggiamo i benefici accumulati. Dobbiamo invece guardare
loro come a nostri maestri. Ciò è molto difficile, perché nelle vite
precedenti abbiamo abituato la mente in modo sbagliato, ma
gradualmente possiamo trasformarla. Una persona che nella vita attuale
è afflitta dalla rabbia, dopo due o tre anni di pratica può riuscire a
trasformare la sua mente. Il fatto di riuscire a provare grande
compassione nei confronti di un nemico, non porta alcun risultato al
nemico stesso. Il risultato verrà a noi. Praticando la compassione e
la pazienza, è però anche possibile che la persona in questione si
trasformi in un amico.

Considerare come un maestro chi ci ha danneggiato non potrebbe tanto
aiutarlo a riflettere quanto accrescere il suo ego, convincendolo di
averci sottomesso? No, perché quando consideriamo un nemico come un
nostro maestro, non dobbiamo certo dirglielo. Si tratta di una pratica
interiore.

Il settimo verso. Praticando la compassione, dobbiamo dedicare il
risultato delle nostre azioni positive a beneficio di tutti gli esseri
senzienti. È possibile anche praticare il tong-len, cioè assorbire la
negatività prodotta dagli altri dando loro in cambio gioia e
compassione. ‘Tong’ vuol dire dare tutta la nostra positività agli
altri, mentre ‘len’ significa prender su di sé tutti i risultati della
loro sofferenza e dei loro errori. Questa pratica si abbina alla
respirazione: inspirando, immaginiamo di assorbire tutte le negatività
degli esseri senzienti, espirando di mandar loro tutta la nostra
positività. Dobbiamo offrire la nostra positività indifferentemente a
tutti gli esseri, senza catalogarli in amici o nemici. Lo stesso vale
per il ricevere da tutti indistintamente la sofferenza. Dobbiamo avere
una mente equanime.

Paragonando le nostre piccole sofferenze a quelle di tutti gli esseri
senzienti, riusciremo a ridimensionarle. Quando prendiamo su di noi il
male di tutti gli esseri, dobbiamo però tener presente che questa
sofferenza non ricadrà effettivamente su di noi. È solo un pensiero,
non si tratta di prenderla materialmente. La causa della sofferenza
degli altri è stata prodotta da loro stessi, e saranno loro stessi a
sperimentarne i risultati.

L’ottavo verso. Per essere puri, lo studio, le pratiche e le
meditazioni da noi effettuati non devono essere associati agli otto
dharma mondani. La comprensione profonda del dharma e della vacuità
porta a non essere più turbati da questi fattori, tradizionalmente
elencati a coppie:

* il guadagno e la perdita

* l’onore ed il disonore

* il biasimo e la lode

* la felicità e l’infelicità.

Benché percepiamo tutti i fenomeni in cui siamo immersi come reali,
dobbiamo riuscire a coglierne il carattere illusorio. Ad esempio, se
usciamo al buio e vediamo una corda, possiamo scambiarla per un
serpente, ma accendendo la luce (cioè riflettendo bene) vedremo come
stanno le cose ed elimineremo la nostra paura. Cercare in modo
sbagliato significa non trovare mai la realtà. Gheshe Lobsang Sherab

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