Tratto da un discorso di Thich Nhat Hanh del ritiro estivo del 1996
Quando amate qualcuno, dovete essere veramente presenti per l’altro.
Ho conosciuto un bambino di dieci anni al quale il padre aveva chiesto
cosa desiderasse per il suo compleanno. Il bambino non seppe
rispondere: il padre era ricco e avrebbe potuto permettersi di
comprargli qualsiasi cosa. Ma il ragazzino disse soltanto: ‘Papà,
voglio te!’. Il padre era sempre troppo occupato e non aveva tempo per
la moglie e i figli. Per dimostrare vero amore, dobbiamo renderci
disponibili. Se quel padre imparasse a respirare consapevolmente e a
essere presente per suo figlio, potrebbe dire: ‘Figlio mio, sono
veramente qui per te’.
Il dono più grande che possiamo fare agli altri è la nostra vera
presenza. Sono qui per te è un mantra da pronunciare in perfetta
concentrazione. Se siete concentrati, corpo e mente uniti, si rivelerà
una vera presenza e qualsiasi cosa diciate diverrà un mantra. Non è
necessario usare mantra sanscriti o tibetani, potete usare la vostra
lingua: ‘Caro, sono qui per te’. E se sarete davvero presenti, il
mantra compierà un miracolo. Voi, l’altra persona, la vita stessa
diventeranno reali in quel momento. In questo modo, porterete felicità
a voi stessi e all’altro.
So che ci sei e sono molto felice è il secondo mantra. Quando guardo
la luna, respiro profondamente e dico: ‘Luna piena, so che ci sei e
sono molto felice’. Faccio lo stesso con la stella del mattino. La
scorsa primavera ero in Corea e camminavo consapevolmente tra le
magnolie. Guardai un fiore di magnolia e dissi: ‘So che ci sei e sono
molto felice’. Essere lì davvero e comprendere che anche l’altro è lì
è un miracolo. Se, contemplando un tramonto, ci siete davvero, lo
riconoscerete e lo apprezzerete profondamente. Guardando il tramonto,
mi sento molto felice. Ogniqualvolta siete davvero lì, potete
riconoscere e apprezzare la presenza dell’altro: la luna piena, la
stella polare, le magnolie e la persona che amate di più.
Prima di tutto praticate l’inspirazione e l’espirazione profonda, per
recuperare voi stessi, poi sedetevi vicino alla persona che amate e,
in quello stato di profonda concentrazione, pronunciate il secondo
mantra. Sarete felici voi e l’altro insieme. Questi mantra si possono
praticare nella vita quotidiana, ma perché funzionino davvero, dovete
praticare la consapevolezza del respiro, la meditazione seduta e
camminata, di modo da rendere la vostra presenza una vera presenza.
Il terzo mantra è: Caro, so che soffri. Ecco perché sono qui per te.
Se siete consapevoli, noterete che la persona che amate soffre. Se,
quando soffriamo, la persona che ci ama non se ne rende conto,
soffriamo di più. È sufficiente praticare il respiro profondo e
sedersi vicino, dicendo: ‘Caro, so che soffri. Ecco perché sono qui
per te.’ e la sola presenza allevierà molta della sua sofferenza.
Siete in grado di farlo qualsiasi sia la vostra età, anche se siete
dei bambini.
Il quarto mantra è il più difficile. Si deve praticare quando siete
voi a soffrire e credete che la persona che amate sia la causa della
vostra sofferenza. Il mantra è: Caro, soffro. Per favore, aiutami.
Sono solo cinque parole, ma sono molte le persone che non sono in
grado di pronunciarle a causa del loro orgoglio. Se qualcun altro
avesse fatto o detto quella cosa, non soffrireste così tanto. Ma
proprio perché è stata la persona che amate, vi sentite profondamente
feriti. Vorreste solo andare a piangere nella vostra stanza. Ma se
l’amate veramente, quando soffrite tanto, dovete chiedere il suo
aiuto, dovete vincere l’orgoglio.
In Vietnam c’è la storia famosissima di un marito che dovette andare
in guerra, lasciando la moglie che era incinta. Tre anni dopo, fu
congedato e poté tornare a casa. La moglie andò ad accoglierlo
all’ingresso del villaggio, portandosi il figlioletto. Quando marito e
moglie si videro, non riuscirono a trattenere le lacrime. Si sentirono
grati verso gli antenati che li avevano protetti, perciò il giovane
chiese alla moglie di andare al mercato a comprare frutta, fiori e
altre offerte da porre sull’altare degli antenati.
Mentre lei era a fare spesa, il giovane chiese al bambino di chiamarlo
papà, ma il figlio rifiutò: ‘Signore, voi non siete il mio papà. Il
mio papà veniva ogni sera e la mamma parlava con lui e piangeva.
Quando la mamma si sedeva, anche papà si sedeva. Quando la mamma si
coricava, anche papà si coricava’. Nell’udire queste parole, il cuore
del giovane si fece di pietra.
Quando la donna tornò, egli non riusciva nemmeno a guardarla. Offrì i
frutti, i fiori e l’incenso agli antenati, fece le prosternazioni e,
poi riavvolse il materassino, senza permettere alla moglie di compiere
gli stessi riti, poiché non la considerava degna di presentarsi
davanti agli antenati. Ella non comprese il perché di quel modo di
agire. Nei giorni successivi, il marito non rimaneva a casa, andava a
bere e non tornava che a notte fonda. Alla fine, dopo tre giorni di
quella vita, ella non riuscì più a sopportare la situazione e si buttò
nel fiume, annegando.
La sera stessa del funerale, quando il padre accese la lampada a
kerosene, il bambino esclamò: ‘Ecco il mio papà!’ e indicava l’ombra
che il padre proiettava sul muro. ‘Così veniva papà ogni sera e la
mamma parlava e piangeva con lui. Quando la mamma si sedeva, anche lui
si sedeva. Quando la mamma si coricava, anche lui si coricava’. ‘Caro,
da quanto tempo sei lontano. Come farò a crescere tutta sola il nostro
bambino?’ diceva piangendo alla sua ombra. E una sera che il bambino
le chiese chi e dove fosse suo padre, ella indicò la sua ombra sul
muro e disse: ‘Ecco tuo padre’. Sentiva così tanto la sua mancanza!
D’improvviso il giovane padre comprese, ma era troppo tardi. Se appena
il giorno prima fosse riuscito ad andare dalla moglie a dirle: ‘Cara,
soffro tanto. Nostro figlio parla di un uomo che veniva ogni sera, con
cui parlavi e piangevi, che si sedeva quando tu ti sedevi. Chi è?’ la
donna avrebbe avuto la possibilità di chiarire la situazione. Ma non
l’aveva fatto, per orgoglio. Lo stesso era stato per la donna. Anche
lei si era sentita ferita profondamente dal comportamento del marito,
ma non aveva chiesto il suo aiuto. Avrebbe dovuto praticare il quarto
mantra: ‘Caro, soffro tanto. Per piacere, aiutami. Non capisco perché
non mi guardi e non parli con me. Perché non mi permetti di
prosternarmi agli antenati? Ho fatto qualcosa di male?’. Se lo avesse
fatto, il marito le avrebbe riportato le parole del bambino. Ma
anch’ella, prigioniera del suo orgoglio, non chiese nulla.
Nel vero amore, non c’è posto per l’orgoglio. Non cadete nella stessa
trappola. Quando vi sentite feriti dalla persona che amate, quando
soffrite per causa sua, ricordate questa storia. Non agite come la
madre e il padre del bambino. Non fatevi bloccare dall’orgoglio,
praticate il quarto mantra: ‘Caro, soffro. Per piacere, aiutami’. Se
realmente pensate che l’altro sia la persona che più amate nella vita,
dovete farlo. Quando l’altro udrà le vostre parole, tornerà a se
stesso e praticherà lo sguardo profondo. Insieme potrete risolvere la
questione, riconciliarvi e dissolvere quella percezione.
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