I bramavihara: gentilezza infinita 1
di Fred Von Allmen
“La mia religione è la gentilezza” – S. E. il XIV Dalai Lama
I quattro brahmavihara sono l’amore (metta), la compassione (karuna), la
gioia compartecipe (mudita) e l’equanimità (upekkha).
Tali stati o qualità del cuore e della mente sono chiamati brahmavihara,
cioè “luoghi dove dimorano i Brahma”, dato che i Brahma, le massime divinità
dell’esistenza, dimorano in tali stati. Il termine brahmavihara viene
tradotto anche con dimora ‘sublime’ o ‘elevata’.
Queste qualità o stati mentali vengono chiamati anche apamanna, cioè
illimitati, in quanto si riferiscono a un numero illimitato di esseri, e
cioè a tutti gli esseri, senza eccezione.
Il primo dei brahmavihara è la gentilezza amorevole (metta). La metta è una
delle qualità più importanti e potenti della pratica spirituale. L’apostolo
Paolo ne parla in maniera convincente:
La carità è la più eccellente delle virtù.
Quand’anche io parlassi le lingue
degli uomini e degli Angeli,
se non ho la carità –
io sono un bronzo che suona
o un cembalo che squilla.
Di più, avessi pure il dono della profezia
e conoscessi tutti i segreti di Dio
e avessi una fede tale da spostare la montagne,
se non ho la carità –
io sono un niente.
Anzi se distribuissi anche tutti i miei beni
e dessi il mio corpo ad essere bruciato,
se non ho la carità –
tutto questo non mi giova a nulla .
Per amore o gentilezza amorevole si intende ‘una morbidezza del cuore’. La
radice della parola pali metta è ‘mid’, che significa ‘morbido’ o
‘amorevole’.
La parola in sanscrito mitra vuol dire ‘amico’. Il termine metta indica
dunque “una morbida, amorevole benevolenza o gentilezza”.
I quattro brahmavihara rappresentano l’opposto di determinati stati mentali
poco salutari, i kilesa. Si potrebbe anche dire che, quando sono presenti i
brahmavihara positivi, mancano le corrispondenti emozioni difficili e
negative. Nel caso della metta esse sono l’odio e l’avversione in tutte le
sue forme, dunque l’ira, la rabbia, i sentimenti di vendetta, l’ostinazione,
la gelosia, la resistenza, lo spirito giudicante e i pregiudizi come pure la
noia.
Accanto a tale forza di opposizione anche chiamata ‘il nemico lontano’
esiste pure un cosiddetto ‘amico vicino’ o falsa apparenza di quella virtù.
Per la metta esso è l’amore personale, caratterizzato da attaccamento e
desiderio, l’amore passionale come pure l’amore che mira a ottenere qualcosa
in cambio.
È molto facile riconoscere queste qualità. La metta infatti non causa mai
dolore o sofferenza. Qualunque cosa una persona possa fare o non fare, che
essa ci sia amica o meno, vicina o lontana, che si sia insieme o separati,
che essa la pensi come noi o meno, la metta non pone condizioni né dipende
da condizioni.
In presenza di desiderio, attaccamento e passione le cose sono molto
diverse, in quanto tali stati mentali sono invece motivo di dolore. “La
passione è una forza che produce sofferenza”, si dice. Siamo portati a
soffrire non appena una persona a noi vicina non fa quello che noi vorremmo
o che ci serve.
Nel distinguere tra la metta da un lato e l’attaccamento o passione
dall’altro
non esprimiamo un giudizio di valore, non affermiamo che l’uno è bene e
l’altro
è male, ma pensiamo piuttosto al loro diverso effetto. L’amore inteso come
passione, desiderio e attaccamento produce dolore ogniqualvolta la
situazione data non corrisponde alle nostre idee, aspettative e speranze,
mentre l’amore inteso come metta produce apertura, equilibrio interiore e
gioia.
La metta può esser paragonata ad acqua fresca versata in un recipiente
arroventato contenente un liquido ribollente. Così come l’acqua, la metta
rinfresca e acquieta le emozioni dell’odio e dell’avversione che bruciano e
tormentano il nostro cuore e la nostra mente. La meditazione e la pratica
servono dunque a esercitarci ad affrontare persino emozioni difficili come
ira e rabbia con un atteggiamento di gentilezza spaziosa e amorevole. Ed è
proprio questo atteggiamento che ha, in ultima analisi, la forza di guarire
e trasformare. Esso ha anche un effetto terapeutico sull’ambiente e sulle
persone attorno a noi.
In un insegnamento il Buddha elogiò i benefici che possono derivare dalla
pratica di meditazione di metta:
Dormirai bene, ti risveglierai contento
e non farai sogni spiacevoli.
Gli uomini ti ameranno
e gli esseri celesti ti apprezzeranno.
I Deva ti proteggeranno e
il fuoco, le sostanze velenose e
le armi non ti faranno del male.
Ti concentrerai facilmente
e la tua mente sarà serena.
Morirai quieto
e qualora tu non fossi ancora completamente
liberato rinascerai
in regni felici.
La metta non è però in primo luogo una bella sensazione calda di amore nel
cuore, anche se a volte ciò può accadere. È piuttosto un atteggiamento
interiore o addirittura una decisione e un giudizio verso quello che è, così
com’è , si tratti di esseri viventi, cose o situazioni.
Il poeta Erich Fried scrive a questo proposito:
Cosa è
È pazzia
dice la ragione
È quello che è
dice l’amore
È una disgrazia
dice il calcolo
Non è altro che dolore
dice la paura
È senza speranza
dice il senno
È quello che è
dice l’amore
È ridicolo
dice l’orgoglio
È sconsiderato
dice la prudenza
È impossibile
dice l’esperienza
È quello che è
dice l’amore
Metta significa dunque accettazione, rispetto e stima incondizionati per
creature e cose, così come sono, e per la vita così com’è.
La metta è anche l’augurio che tutti gli esseri viventi possano essere
felici e stare bene. Nella meditazione si usano frasi come queste:
Possano tutti gli esseri viventi essere felici.
Possano tutti gli esseri viventi essere in buona salute.
Possano tutti gli esseri viventi vivere nella sicurezza.
Possano tutti gli esseri viventi vivere con agio.
Tale forma di meditazione non vuol dire sognare, né si tratta dell’ “Io sono
felice” del training autogeno. Non dobbiamo neppure credere che i
‘beneficiari’ della nostra gentilezza amorevole diventino felici e siano
sani o privi di preoccupazioni solo perché noi glielo auguriamo.
È piuttosto un modo per esercitarsi a incontrare gli altri e affrontare la
vita in maniera giusta e salutare. Così facendo rafforziamo anche la
tendenza positiva che è in noi a esprimere gentilezza amorevole, indebolendo
allo stesso tempo le tendenze negative e di avversione presenti in noi.
Nella tradizionale meditazione di metta si inizia col rivolgere amore e
simpatia a noi stessi: “Possa io essere felice… Possa io vivere con agio”.
È importante essere veramente convinti di quello che si dice. La metta
rivolta a noi stessi, se praticata nella maniera giusta, ha un effetto
terapeutico straordinario. Infatti se non proviamo alcuna simpatia, amore e
stima per noi stessi, anche il nostro amore per gli altri non potrà essere
autentico, ma solo superficiale. L’intenzione potrà essere buona ma il
sentimento non sarà né spontaneo né profondo.
Successivamente scegliamo una persona che ci è stata di grande aiuto e ci ha
dato tanto, che conta molto per noi, in cui abbiamo fiducia e per cui
proviamo spontaneamente e facilmente sentimenti di simpatia, stima e amore.
Ci immaginiamo questa persona e ripetiamo la frase: “Possa tu essere
felice…”.
È importante fare attenzione ai seguenti tre punti: ripetere le frasi,
ricordarsi in continuazione del loro significato e visualizzare la persona o
immaginarsela in altro modo. Continuiamo a fare ciò il più spesso possibile
e senza interruzione. Non occorre altro.
Alcune volte emergono sentimenti piacevoli, altre no, così come possono
sorgere persino sentimenti di resistenza e di avversione, di tristezza e di
isolamento. Anche ciò va bene. Continuiamo a praticare serenamente e senza
interruzione. Saremo così in grado di incontrare i sentimenti difficili con
lo stesso atteggiamento interiore di benevolenza accettante insita nella
qualità della metta verso tutti gli esseri viventi: con amorevole protezione
ma senza coinvolgimento.
Una volta constatato che ci troviamo sufficientemente a nostro agio con
questa parte della meditazione, cominciamo a rivolgerla a un amico,
un’amica,
a qualcuno per cui ci è abbastanza facile provare simpatia amorevole, senza
sentire un’attrazione particolare.
Le persone verso cui proviamo desiderio, attaccamento e sentimenti di
passione non sono particolarmente adatte a essere oggetto della metta, dato
che, meditando su di loro, potremmo facilmente allontanarci
dall’atteggiamento
di gentilezza incondizionata.
Una volta che non abbiamo più difficoltà con questa categoria, passiamo a
una persona che non ci sta molto a cuore o che ci lascia indifferenti. Per
taluni questo esercizio risulterà più difficile data la mancanza di un
rapporto personale. Per altri invece la meditazione sarà più facile,
considerato che le persone con cui non abbiamo un rapporto stretto si
prestano meglio a tale scopo. In ogni caso continuiamo a tenere presenti i
tre punti di cui sopra e a praticare con perseveranza.
Per finire possiamo scegliere una persona che ci risulta difficile amare,
qualcuno che ci irrita, ci contraria o ci fa arrabbiare. Se ci costa fatica
rivolgere simpatia a questa persona, può giovare ricordarsi di un’azione
positiva o di un tratto simpatico di questa persona, per quanto poco
importante esso possa sembrarci. La causa immediata per il manifestarsi
della metta è proprio la percezione e il riconoscimento di buone qualità
umane. Perciò quando si medita su una persona difficile è particolarmente
importante non farsi prendere da ricordi negativi, che potrebbero rafforzare
l’avversione e la distrazione, invece di sviluppare gentilezza amorevole.
Qualora ciò risultasse difficile è opportuno ritornare a una persona a cui
ci riusciva facile rivolgere la metta.
È tuttavia importante non farsi fuorviare dalla varietà di sentimenti che
possono emergere, e continuare a praticare con interesse e costanza.
Alla fine estendiamo la nostra simpatia a tutti gli esseri viventi senza
eccezione. Come è detto nel Metta Sutta, l’insegnamento del Buddha sulla
gentilezza amorevole:
….Deboli o forti,
lunghi, medi o corti,
piccolissimi o enormi
visibili o invisibili
vicinissimi o lontani,
nati o ancora non nati,
possano tutti gli esseri viventi, senza eccezione,
essere felici e contenti.
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