I ciechi non possono guidare i ciechi

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I ciechi non possono guidare i ciechi

Da: “L’eterna Ricerca dell’Uomo”

di Yogananda Paramahansa

I ciechi non possono guidare i ciechi

Questa unità di spirito è dimostrata dai grandi uomini, quelli che hanno
realizzato Dio. I ciechi non possono guidare i ciechi; solo un Maestro[1],
cioè uno che conosca Dio, può legittimamente istruire altre persone su di
Lui. Per riguadagnare la propria divinità si deve avere un tale Maestro, o
Guru[2]. Colui che fedelmente segue un vero Guru diviene simile a lui perché
il Guru contribuisce a elevare il discepolo al proprio livello di
realizzazione. Quando trovai il mio Guru, lo Swami Sri Yukteswarji[3] presi
la risoluzione di seguire suo esempio: di porre, cioè, Dio solo sull’altare
del mio cuore e di condividerLo con altri.

I Maestri indù hanno insegnato che, per conquistare la più profonda
conoscenza, bisogna focalizzare lo sguardo attraverso l’onnisciente occhio
spirituale. Quando ci si concentra fortemente, anche chi non sia uno yoghi
aggrotta la fronte nel punto fra le sopracciglia: il centro della
concentrazione e dello sferico occhio spirituale, sede dell’intuizione
dell’anima. Questa è la vera “sfera di cristallo” in cui guarda lo yoghi per
apprendere i segreti dell’universo. Coloro che andranno abbastanza profondo
nella loro concentrazione penetreranno quel “terzo occhio” e vedranno Dio. I
ricercatori della verità dovrebbero perciò sviluppare la facoltà di
proiettare la loro percezione attraverso l’occhio spirituale. La pratica
dello Yoga aiuta l’aspirante ad aprire l’occhio singolo della coscienza
intuitiva[4].

L’intuizione, o conoscenza diretta, non dipende da alcun dato fornito dai
sensi. Per questo la facoltà intuitiva è spesso chiamata il “sesto senso”.
Tutti hanno questo sesto senso, ma la maggior parte delle persone non lo
sviluppa. Tuttavia, quasi tutti hanno avuto qualche esperienza intuitiva,
forse l’intuizione che una determinata cosa sarebbe dovuta accadere, sebbene
non ci fosse alcun segno percepibile dai sensi a indicarlo.

E’ importante sviluppare l’intuizione, la conoscenza diretta dell’anima,
perché colui che è conscio di Dio è sicuro di sé. Egli sa, e sa di sapere.
Dobbiamo essere certi della presenza di Dio come siamo certi di cono­scere
il gusto di un’arancia. Fu solo dopo che il mio Guru mi ebbe insegnato a
comunicare con Dio e dopo che ebbi cominciato a sentire ogni giorno la Sua
presenza, che mi assunsi l’incarico spirituale di parlare agli altri di Lui.

L’Occidente ha costruito vasti templi di adorazione, ma ce ne sono pochi in
cui si insegni ai fedeli come si può trovare Dio. In Oriente si è invece
posto l’accento sulla formazione di uomini dalla divina realizzazione; ma
questi, in molti casi, sono inaccessibili ai ricercatori spirituali, poiché
rimangono isolati in dimore remote e solitarie. Centri spirituali in cui la
gente possa comunicare con Dio, e insegnanti che possano mostrare alla gente
come farlo, sono entrambi necessari. Come potrebbe una persona acquistare la
conoscenza di Dio da un istruttore che non conosca Dio egli stesso? Il mio
Guru impresse in me la necessità di conoscere il Padre Celeste prima di fare
il tentativo di parlare agli altri di Lui. Quanto gli sono grato per avermi
dato il suo insegnamento! Egli stesso, invero, comunicava con Dio.

Il Signore deve essere percepito innanzitutto nel proprio tempio corporeo.
Ogni ricercatore dovrebbe disciplinare quotidianamente i propri pensieri e
deporre sull’altare della propria anima i fiori, sbocciati spontaneamente,
della propria devozione. Colui che trova Dio dentro di sé sarà capace di
sentire la Sua presenza in ogni chiesa o tempio in cui entrerà.

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[1] Uno che è padrone di se stesso: della mente, delle emozioni, dei sensi,
delle passioni. Le sue azioni, non offuscate da motivi egoistici, sono in
armonia con la volontà di Dio, ed egli conosce se stesso come una cosa sola
con Dio, non nell’immaginazione, ma nell’esperienza reale della Divina
Onnipresenza.

[2] Maestro spirituale. La Guru-Gita (17-19) descrive appropriatamente il
Guru come “colui che dissipa le tenebre” (da gu, “tenebre”, e ru “ciò che
dissipa”). Per diritto divino il titolo di Guru è conferito soltanto a
quelle anime altissime che sono qualificate, per la loro stessa
realizzazione dei Sé e unità con Dio, a condurre altre anime dal buio
dell’ignoranza alla luce perenne della Verità.

[3] Nell’Autobiografia di uno Yoghi, Paramahansa Yogananda descrive il
proprio rapporto coi suo divino Guru, che definì uno Jnanavatar,
“incarnazione della saggezza”. Il suffisso ji aggiunto alla fine di un nome
proprio indica rispetto

[4] Durante la meditazione profonda, l’occhio singolo o spirituale diviene
visibile come una splendente stella circondata da una sfera di luce azzurra
che, a sua volta, è circondata da un one brillante di luce dorata.
Quest’occhio onnisciente è nominato variamente nelle Scritture come terzo
occhio, stella d’Oriente, occhio interiore, colomba che discende dal cielo,
occhio di Shiva, occhio dell’intuito. “Se perciò il tuo occhio è singolo,
tutto il tuo corpo sarà illuminato” (Matteo, 6, 22). (“Singolo” è la parola
riportata dai testi originali; l’incomprensione di questo termine ha fatto
si che esso venisse variamente modificato nelle Bibbie cattoliche). (N.d.T).

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