I cinque impedimenti (nivarana )
(del venerabile Ajahn Brahmavamso)
© Ass. Santacittarama, 2005. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Traduzione di Simone Schiaratura.
I MAGGIORI OSTACOLI PER UNA MEDITAZIONE EFFICACE e una visione profonda
liberatoria prendono la forma di uno o più dei cinque impedimenti. L’intera
pratica che conduce all’Illuminazione può essere ben espressa come lo sforzo
di superare i cinque impedimenti, all’inizio sopprimendoli temporaneamente
al fine di sperimentare i jhana e la saggezza intuitiva, e poi superandoli
permanentemente tramite il pieno sviluppo del nobile ottuplice sentiero.
Quindi, quali sono questi cinque impedimenti? Sono:
KAMACCHANDA: desiderio sensoriale
VYAPADA: malevolenza
THINA-MIDDHA: pigrizia e torpore
UDDHACCA-KUKKUCCA: inquietudine e rimorso
VICIKICCHA: dubbio
1. Il desiderio sensoriale si riferisce a quel particolare tipo di bisogno
che cerca la felicità attraverso i cinque sensi (vista, udito, odorato,
gusto e contatto fisico). Più specificatamente esclude una qualsiasi
aspirazione alla felicità attraverso il solo sesto senso: la mente.
Nella sua forma estrema, il desiderio sensoriale è l’ossessione di cercare
il piacere in attività come l’intimità sessuale, del buon cibo o della buona
musica. Ma include anche il desiderio di rimpiazzare irritanti o persino
dolorose esperienze dei cinque sensi con altre piacevoli, cioè il desiderio
per il benessere fisico.
Il Buddha paragonava il desiderio sensoriale al ricevere un prestito.
Qualunque piacere si sperimenti attraverso questi cinque sensi deve essere
restituito attraverso la sgradevole sensazione della separazione, della
perdita o del vuoto famelico che segue incessantemente una volta che il
piacere si è consumato. Come per ogni prestito, c’è anche la questione degli
interessi e quindi, come disse il Buddha, il piacere è piccolo se
confrontato alla sofferenza restituita.
Nella meditazione, si trascende il desiderio sensoriale per un certo periodo
lasciando andare la preoccupazione per questo corpo e l’attività dei suoi
cinque sensi. Alcuni immaginano che i cinque sensi siano là per servire e
proteggere il corpo ma la verità è che il corpo è là per servire i cinque
sensi poiché essi agiscono nel mondo cercando in continuazione piaceri. Il
Buddha, una volta infatti disse, “i cinque sensi SONO il mondo” e per
lasciare questo mondo e godere dell’altra beatitudine mondana dei jhana, è
necessario rinunciare per una volta a TUTTE le preoccupazioni per il corpo e
i suoi cinque sensi.
Quando il desiderio sensoriale è superato, la mente di colui che medita non
ha interesse nella promessa di piacere e neppure nel benessere di questo
corpo. Il corpo sparisce e i cinque sensi si spengono. La mente diventa
calma e libera di guardare all’interno. La differenza tra l’attività dei
cinque sensi e il suo superamento è simile alla differenza tra guardare
fuori da una finestra e guardare in uno specchio. La mente che è libera
dall’attività
dei cinque sensi può veramente guardare all’interno e vedere la sua vera
natura. Solo in questo può emergere la saggezza relativa a ciò che siamo, da
dove veniamo e perché?!
2. La malevolenza si riferisce al desiderio di punire, nuocere o
distruggere. Include il puro odio verso una persona, o persino verso una
situazione, e può generare così tanta energia da essere allo stesso tempo
attraente e dare assuefazione. Quando si esprime appare sempre giustificata
perché il suo potere è tale che facilmente corrompe la nostra capacità di
giudicare correttamente. Include anche la malevolenza verso se stessi,
meglio nota come senso di colpa, che nega a se stessi ogni possibilità di
felicità.
Nella meditazione, la malevolenza può apparire come disgusto verso l’oggetto
stesso di meditazione, rifiutandolo tanto che la propria attenzione è
costretta a vagare altrove. Il Buddha associava la malevolenza all’essere
malati.
Proprio come l’infermità priva della libertà e della felicità della salute,
così la malevolenza nega la libertà e la felicità della pace. La malevolenza
è superata applicando Metta, gentilezza amorevole. Quando c’è malevolenza
verso una persona, metta insegna a vedere in quella persona più di tutto ciò
che ci urta, per capire perché quella persona ci ferisce (spesso perché si
ferisce intensamente da sola) e incoraggiare a mettere da parte il proprio
dolore per guardare gli altri con compassione.
Ma se questo è più di quanto si possa fare, metta verso se stessi conduce a
rifiutarsi di dimorare nella malevolenza verso quella persona, così da
impedire di nuocerci nuovamente ricordando quei fatti. Allo stesso modo, se
c’è della malevolenza verso se stessi, metta vede oltre i nostri sbagli, può
capirli e trovare il coraggio di perdonarli, imparando una lezione e
lasciandoli andare. Inoltre, se c’è malevolenza verso l’oggetto di
meditazione (spesso è il motivo per cui coloro che meditano non riescono a
trovare pace) metta abbraccia l’oggetto di meditazione con attenzione e
piacere.
Proprio come una madre, ad esempio, ha una naturale metta verso il proprio
figlio, allo stesso modo coloro che meditano possono guardare al proprio
respiro con la stessa qualità di attenzione amorevole. Quindi sarà
abbastanza improbabile perdere il respiro a causa della dimenticanza come è
improbabile per una madre dimenticarsi il proprio figlio in un centro
commerciale, e sarà altrettanto improbabile lasciare cadere il respiro a
causa di alcuni pensieri distraenti come è improbabile per una madre
distratta lasciar cadere il proprio figlio! Quando la malevolenza è
superata, allora sono possibili relazioni durature con altre persone, con se
stessi e, nella meditazione, una relazione duratura e piacevole con
l’oggetto
di meditazione, che può maturare nell’abbraccio pieno del completo
assorbimento.
3. Pigrizia e torpore si riferiscono alla pesantezza del corpo e
all’intorpidimento
della mente che trascinano l’individuo verso un’inerzia disabilitante e una
profonda depressione. Il Buddha li paragonava all’essere imprigionati in una
cella buia e stretta, impossibilitati a muoversi liberamente nello splendore
della luce esterna. Nella meditazione questa condizione mentale provoca
debolezza e consapevolezza intermittente e può persino portare, senza
neppure accorgersene, ad addormentarsi!
La pigrizia e il torpore sono superati da un’energia risvegliante. L’energia
è sempre disponibile ma pochi sanno come accendere l’interruttore, ammesso
che ce ne sia uno. Stabilire un obiettivo, un obiettivo ragionevole, è un
modo saggio ed efficace di generare energia, poiché sviluppa deliberatamente
un interesse nel compito assegnato. Un bambino ha un interesse naturale, e
di conseguenza energia, perché il suo mondo è del tutto nuovo.
Quindi, se possiamo imparare a guardare alla nostra vita, o alla nostra
meditazione, con la mente del principiante, possiamo vedere sempre nuove
prospettive e possibilità che ci tengono lontani dalla pigrizia e dal
torpore, vivi e pieni di energia. Allo stesso modo, possiamo sviluppare
piacere in qualunque cosa stiamo facendo; allenando la nostra percezione nel
vedere il bello nell’ordinario generiamo un interesse che evita la
semi-morte della pigrizia e del torpore. La mente ha due funzioni
principali, “fare” e “conoscere”. La via della meditazione è calmare il “
fare” fino alla completa tranquillità mentre viene mantenuto il “
conoscere”.
Pigrizia e torpore si hanno quando calmiamo senza attenzione il “fare” e il
“conoscere”, incapaci di distinguere tra di loro. Pigrizia e torpore sono un
problema comune che può insinuarsi e soffocarci lentamente. Un abile
meditatore mantiene un’attenzione vigile ai primi segni di pigrizia e
torpore e quindi è in grado di individuarli mentre si avvicinano e fare
mosse difensive prima che sia troppo tardi.
Come giungere ad un bivio, possiamo prendere quel sentiero mentale che
conduce via dalla pigrizia e dal torpore. Pigrizia e torpore sono uno
sgradevole stato mentale e fisico, troppo rigido per saltare nella
beatitudine dei jhana e troppo cieco per distinguere delle visioni profonde.
In poche parole determinano una completa perdita di tempo.
4. L’irrequietudine si riferisce ad una mente che è come una scimmia, che
salta in continuazione da un ramo all’altro, non riuscendo mai a soffermarsi
a lungo in nessun luogo. E’ causata da uno stato mentale che cerca difetti,
il quale non può essere soddisfatto dalle cose così come sono, e quindi deve
continuare a muoversi con la speranza di qualcosa di meglio, sempre altrove.
Il Buddha paragonava l’irrequietudine all’essere schiavi, che devono
continuamente scattare agli ordini di un padrone tirannico che esige sempre
la perfezione e non gli permette di fermarsi. L’irrequietudine è superata
sviluppando la contentezza, che è l’opposto del trovare difetti. Impariamo
la semplice gioia di essere soddisfatti con poco, piuttosto che volere
sempre di più. Siamo grati per questo momento, piuttosto che andare a vedere
le sue mancanze. Per esempio, nella meditazione l’irrequietudine è spesso
l’impazienza
di muoversi velocemente allo stadio successivo. I progressi più veloci sono
conseguiti da chi è contento dello stadio in cui al momento si trova, ed è
nell’approfondire questa contentezza che matura lo stadio successivo.
Quindi siate attenti al ” voler andare avanti”, ed invece imparate come
fermarvi in una apprezzante contentezza. In questo modo, il “fare” sparisce
e la meditazione fiorisce.
I rimorsi si riferiscono a quello specifico tipo di irrequietudine che è
l’effetto
kammico dei propri misfatti. Il solo modo di superare il rimorso,
l’agitazione
di una cattiva coscienza, è purificare la propria virtù e diventare gentili,
saggi e amorevoli. E’ virtualmente impossibile per gli immorali o gli
auto-indulgenti fare profondi progressi nella meditazione.
5. Il dubbio si riferisce alle domande interne che disturbano nel momento in
cui dovremmo silenziosamente muoverci più in profondità. Il dubbio può
mettere in discussione la propria abilità “Posso fare questo?” o mettere in
discussione il metodo “E’ questo il modo giusto?” o mettere in discussione
persino il significato “Che cos’è?”.
Dovremmo ricordarci che tali domande sono ostacoli alla meditazione perché
vengono poste al momento sbagliato e quindi diventano un’intrusione,
oscurando la nostra chiarezza. Il Buddha collegava il dubbio all’essere
perso in un deserto, senza avere dei punti di riferimento. Un tale dubbio è
superato raccogliendo indicazioni corrette, avendo una buona mappa, così da
riconoscere i segni impercettibili nel territorio non familiare della
meditazione profonda e sapere quindi quale direzione prendere. Il dubbio
nelle proprie capacità è superato col nutrire autostima mediante l’aiuto di
un buon maestro.
Un insegnante di meditazione è come un allenatore che convince la squadra
che può farcela. Il Buddha affermava che possiamo raggiungere i jhana e
l’illuminazione
se seguiamo attentamente e pazientemente le istruzioni. L’unica incertezza è
“quando” ! Anche l’esperienza vince il dubbio sulle proprie capacità e anche
il dubbio se questa sia o no la strada giusta. Quando abbiamo da noi stessi
capito i bellissimi passaggi del sentiero, scopriamo che di fatto siamo
capaci delle cose più sublimi, e che questo è il sentiero che conduce in
quella direzione.
Il dubbio che prende la forma di una costante valutazione “E’ questo un
jhana?” “Come sto andando?” è superato comprendendo che tali domande è
meglio lasciarle alla fine, ad un paio di minuti dal termine della
meditazione.
Un giuria si pronuncia solo alla fine del processo, quando tutte le prove
sono state presentate. Allo stesso modo, un meditatore esperto persegue una
raccolta silenziosa di prove, valutandola solo alla fine, per svelarne il
significato.
La fine del dubbio, in meditazione, viene descritta da una mente che ha
piena fiducia nel silenzio, e quindi non interferisce con nessun altro
discorso esterno. Come avere un buon autista, durante il viaggio sediamo in
silenzio affidandoci a lui.
Per quanto vari possano essere i problemi che emergono nella meditazione,
saranno riconducibili ad uno di questi cinque impedimenti, o ad una loro
combinazione. Così, se sperimentiamo qualche difficoltà, usiamo lo schema
dei cinque impedimenti come una “lista di controllo” per identificare il
problema principale.
Poi conosceremo il rimedio appropriato, lo applicheremo attentamente e
andremo oltre l’ostacolo verso una più profonda meditazione.
Quando i cinque impedimenti sono pienamente superati, non c’è barriera tra
il meditatore e la beatitudine dei jhana. Quindi, il test sicuro che indica
che questi cinque impedimenti sono superati è l’abilità di accedere ai
jhana.
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