I cinque Skandha
di F. Bertagni
Secondo la filosofia buddhista originaria l’identità personale è in realtà illusoria. Mentre l’induismo crede all’esistenza di un atman, cioè un nocciolo duro presente all’interno dell’uomo, immutabile ed eterno, per il buddhismo invece nulla di tutto questo esiste. Anatman, come dicono i buddhisti: cioè non-atman; non esiste – in altre parole – nulla di permanente e stabile dentro di noi.
Cosa è allora che costituisce questa apparente identità personale? La risposta buddista è: i cinque skandha. Essi sono aggregati che compongono la personalità e precisamente sono:
Rupa (forma): è il corpo fisico di per sé.
Vedana (sensazioni): sono gli effetti prodotti dai sensi, una volta che essi (o uno di essi) siano venuti a contatto con un suono, un odore, un’immagine, ecc.
Sanna (percezioni): è la consapevolezza delle sensazioni, la loro concettualizzazione: la mente così le identifica e si forma giudizi su di esse.
Sankhara (formazioni karmiche): sono tutta quella serie di abitudini, riflessi inconsapevoli, complessi mentali, ricordi inconsci, reazioni automatiche, che derivano dal nostro karma, accumulato anche attraverso le vite precedenti.
Vinnana (coscienza): è ciò attraverso cui si conoscono i fenomeni e si ha esperienza del mondo.
I cinque skandha sono condizionati a loro volta: cioè, ovviamente, non godono di stabilità, ma sono mutevoli continuamente, istante dopo istante.
Lo stato in cui l’uomo vive – l’ignoranza (avidya) – gli fa credere di avere un’identità personale, che in realtà è prodotta, in modo del tutto contingente, dai cinque skandha, con i quali dunque l’uomo si immedesima. L’ignoranza produce dolore, sofferenza: l’uscita da essa è ovviamente l’esperienza del vuoto, nella quale anche l’illusione dell’io viene abbandonata.
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